La brandizzazione della politica americana vista attraverso l’obiettivo di Lucia Buricelli
Com’è la società americana dopo il mandato di Trump? Una fotografa ha documentato per il nuovo Focus Moda di Artribune l’uso dell’abbigliamento, degli accessori e dei colori come strumenti di affermazione politica e sociale

Lucia Buricelli (Venezia, 1994), fotografa con base a New York, esplora il paesaggio urbano e le dinamiche sociali su testate come The New York Times, The New Yorker, Time, e The Wall Street Journal. Per noi, ha documentato il concetto di comunità negli Stati Uniti agli albori del secondo mandato di Donald Trump, soffermandosi su estetica, simbolismo e identità collettiva. Attraverso il suo obiettivo ha esplorato l’uso dell’abbigliamento, degli accessori e dei colori come strumenti di affermazione politica e sociale, delineando un ritratto complesso di un paese diviso tra esibizione identitaria ed esuberanza visiva.
Intervista alla fotografa Lucia Buricelli
Nei tuoi scatti emergono simboli estetici e culturali dell’America trumpiana al suo secondo mandato. Quali dettagli ti hanno colpito?
La capacità di esprimere idee politiche e identità attraverso l’abbigliamento e gli accessori, spesso con un mix di patriottismo e ironia. Ho notato un uso massiccio della bandiera americana: l’ho ritrovata su abiti, cappellini, perfino nei dettagli più piccoli come spille o decorazioni per capelli. C’erano cravatte rosse, vestiti con pattern a stelle e strisce, cappelli da baseball con la scritta “Trump” ricoperti di glitter. Anche il make-up era un veicolo di espressione: unghie dipinte con i colori della bandiera, rossetti accesi, ombretti vistosi. Tutti questi elementi rivelano un’estetica costruita per comunicare appartenenza e posizionamento politico.
Hai notato elementi ricorrenti?
Sì, il cappello da baseball è sicuramente il simbolo più iconico. Il MAGA con lo slogan “Make America Great Again” è ovunque, non solo nei comizi, ma anche nei negozi di souvenir, nelle strade di New York, nelle piccole città. Il rosso è diventato dominante, accompagnato da un’esibizione quasi ossessiva della bandiera. Ma oltre a questi elementi ripetuti, ho notato dettagli più personali: borse clutch con la scritta “Trump”, kippah con il suo volto, T-shirt con slogan personalizzati. È evidente come la politica sia diventata parte di un sistema commerciale in cui tutto può essere brandizzato e messo in vendita, trasformando l’identità politica in un prodotto di consumo.
Le tue immagini ci restituiscono un’America frammentata. Quali costanti emergono?
Dal 2018, quando mi sono trasferita a New York, ho osservato quanto il consumismo sia centrale nella cultura americana. Ogni cosa è eccesso: supermercati vasti come città, parate continue, centri commerciali con piste da sci. La società americana è costruita sull’abbondanza e su una costante sovrastimolazione sensoriale. Questo si riflette nelle immagini che scatto, dove il caos visivo racconta la complessità di un Paese sempre in movimento, in cui la volontà di esprimere sé stessi passa attraverso il consumo e la spettacolarizzazione dell’identità.
La tecnica fotografica di Lucia Buricelli
Il colore e l’uso del flash caratterizzano il tuo lavoro. In che modo influenzano la percezione del contesto?
Il colore è un elemento narrativo centrale. Negli Stati Uniti, il rosso e il blu non sono solo scelte estetiche, ma simboli di appartenenza politica. Osservare i colori in una foto permette di intuire la dinamica del contesto ancora prima di analizzarne il contenuto. Il flash ha una funzione altrettanto cruciale: illumina e intensifica le scene, rendendo i contrasti più evidenti e donando alle immagini un effetto quasi iper-reale. Questa tecnica enfatizza l’energia della folla, il modo in cui le persone si presentano e il carattere teatrale di certi momenti.
Come cambia il tuo approccio in base allo strumento utilizzato?
Uso prevalentemente macchine fotografiche digitali e, occasionalmente, la pellicola. Il telefono quasi mai. Indipendentemente dallo strumento, il mio approccio rimane invariato: osservo senza interferire, lasciando che la scena si sviluppi in modo spontaneo. L’interazione minima con i soggetti è fondamentale per non alterare la realtà che voglio documentare. Anche la post-produzione è coerente con questa visione: prediligo il flash frontale perché mi permette di avere maggiore libertà nei movimenti e di concentrarmi sulla composizione senza distrazioni.
Quali momenti ti hanno colpito di più e come pensi sarà raccontata l’America nei prossimi anni?
L’elemento che mi ha colpito di più è la costruzione estetica del senso di comunità. Le folle, pur avendo elementi comuni, mostrano forti contrasti interni. L’identità politica e culturale viene espressa attraverso il look, l’atteggiamento e gli accessori. È interessante osservare come le diverse prospettive si incontrassero e si scontrassero nello stesso spazio. In futuro, credo che la fotografia continuerà a essere uno strumento essenziale per documentare la realtà sociale statunitense, anche se l’intelligenza artificiale avrà un ruolo crescente nella costruzione dell’immaginario visivo. Questo non significa che AI e fotografia non possano coesistere. L’intelligenza artificiale può portare oltre la rappresentazione del reale, creando visioni alternative che sfidano la percezione comune.
Alessia Caliendo
Libri consigliati:
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati