Capire la Palestina. Le foto dell’unico Premio Pulitzer italiano sono in Romagna
Nell’ex convento di San Francesco, a Bagnacavallo, arrivano 40 scatti inediti del photoreporter Lorenzo Tugnoli, accompagnate dall'elaborazione visiva di dati e statistiche. Per documentarsi oltre la propaganda di guerra

“Se dovessi morire / fa che porti speranza / fa che sia un racconto”: con queste parole il professore, poeta e intellettuale palestinese Refaat Alareer chiudeva il suo ultimo componimento poetico. Non ne avrebbe scritti altri, prima di essere ucciso da un bombardamento mirato israeliano, il 6 dicembre 2023, nella Striscia di Gaza. Dalle sue parole, e dalla sua esortazione a “farsi storia”, prende il via la narrazione per immagini della mostra fa che sia un racconto, che porta nell’ex convento di San Francesco a Bagnacavallo (fuori Ravenna) gli scatti di Lorenzo Tugnoli, unico Premio Pulitzer italiano, sull’aggressione israeliana contro la Palestina e il Libano.










Le fotografie di Lorenzo Tugnoli
Le manipolazioni mediatiche, i silenzi ufficiali, le complicità internazionali: capire la tragedia della Palestina – ancora di più nell’ultimo anno e mezzo di genocidio su ampia scala – è un lavoro complesso, che richiede tempo ed energia. Per avvicinare il grande pubblico alla comprensione ampia del fenomeno in corso, e quindi non solo capire l’attacco ma anche riconoscere l’apartheid e il colonialismo che l’hanno preceduto, gli spazi dell’ex convento si trasformano in un percorso a episodi, ciascuno dei quali guida i visitatori attraverso la documentazione, l’evidenza, la testimonianza e infine l’idea di Sumud, cioè resistenza. Non a caso l’inaugurazione della mostra, realizzata insieme all’Istituto storico della resistenza e dell’età contemporanea della provincia di Ravenna, cade in occasione dell’ottantesimo anniversario della Liberazione dal nazifascismo.
Con allestimento dell’architetto e designer Diego Segatto, la mostra prende il via dalla documentazione fotografica del Premio Pulizer 2019 Lorenzo Tugnoli, raccolta a partire da ottobre 2023 tra Palestina e Libano: sono 40 fotografie inedite di grande formato, che sono mostrate insieme all’apparato di ricerche della scrittrice e curatrice Francesca Recchia, che abbiamo raggiunto.

L’intervista alla curatrice Francesca Recchia
Come convivono nella mostra il registro primario della fattualità documentaria e il sottotesto poetico e riflessivo?
fa che sia un racconto è una mostra di ricerca che propone un incontro esperienziale e non filtrato con i fatti. Il percorso è silenzioso e quasi meditativo, una sorta di viaggio interiore che ci auguriamo risulti in una presa di coscienza collettiva. La mia pratica curatoriale si fonda su un processo di sottrazione: cerco di “asciugare” il superfluo per arrivare a ciò che è essenziale. In questo caso: il diritto all’informazione, il dovere della solidarietà, l’importanza della memoria e della Resistenza.
Presentando la mostra denunciate “la mancanza di testimonianze e voci di credibilità a cui si è assistito in questo arco temporale”: come è cambiato questo con le testimonianze dirette su TikTok e Instagram di giornalisti istituzionali ma anche di civili da Gaza, dalla Palestina e dai Paesi confinanti?
Il problema fondamentale è quello dell’attribuzione della credibilità, che ovviamente apre una discussione molto più ampia su questioni di imperialismo politico e culturale. Non è che non ci siano o non ci siano state testimonianze e voci locali, c’è stato un processo deliberato dei media mainstream di delegittimazione delle vittime e dei testimoni a beneficio dei proclami di propaganda di guerra. La mostra riflette su questo: su chi controlla gli strumenti della narrazione.

La dignità delle vittime palestinesi e libanesi negli scatti di Lorenzo Tugnoli
La mostra si propone di realizzare il “diritto di conoscere i fatti”: in un contesto in cui persino Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, viene censurata, e le informazioni ufficiali fornite dalle IDF vengono smentite dai fatti, come possono gli scatti di Tugnoli venire in soccorso di chi non ha una formazione storica o non è esperto in materia?
Il lavoro di Lorenzo Tugnoli ha al suo centro uno sguardo attento alla dignità delle persone e delle situazioni che fotografa e non indulge mai sulla spettacolarizzazione gratuita della violenza. Le fotografie in mostra offrono semplicemente accesso all’evidenza dei fatti: quello che proponiamo ai visitatori è di incontrarle faccia a faccia e poi trarre da sé le conclusioni.
Giulia Giaume
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati