In ricordo di Giovanni Falcone. Arte pubblica a Palermo, il 23 maggio. Il brutto dell’antimafia
23 maggio, l’Italia ricorda Giovanni Falcone. E Palermo ci prova anche con l’arte pubblica. Prendendo due brutte cantonate. Opere abusive? Macché. Le istituzioni, per l'ennesima volta, autorizzano progetto deboli, sbagliate.
ANTIMAFIA E ARTE ENGAGÉ
Palermo e il brutto dell’antimafia. E non c’entrano, stavolta, considerazioni politiche in chiave sciasciana, tra ambigui “professionisti” del settore. Qui parliamo d’arte e impegno civile. E di comunicazione. Perché per quanto sacrosanta possa essere una causa, niente – tanto meno un tema sociale – giustifica un’opera brutta, scadente, fuori luogo. La delicatezza è d’obbligo, quanto la qualità.
Trascorso questo 23 maggio in mezzo ai consueti slogan, alle cerimonie, le citazioni e i ricordi commossi, resta l’eco di quell’esplosione sulla Palermo-Capaci, rinnovata ogni anno. E poi restano, nel mucchio, certe iniziative mediocri, inspiegabilmente promosse e autorizzate.
UN RICORDO SPLATTER PER GIOVANNI FALCONE
Tra il 22 e il 24 maggio, mentre tutta l’Italia ricordava Giovanni Falcone, il giovane “maestro scultore” – così ufficialmente definito – Salvatore Gottuso piazzava la sua installazione dal titolo 17 e cinquantotto a Palermo, sulla centralissima via Cavour, a due passi dal Teatro Massimo. Un perimetro di macerie, con un manichino-salma coperto da un lenzuolo e i resti della deflagrazione intorno. Inclusi brandelli di corpo, macchie di sangue e porzioni di lamiera. In poche parole: la gratuità dell’orrore, il cattivo gusto, la voglia – dichiarata – di “aggradire” emotivamente il passante. Nessuno spostamento concettuale, nessuna finezza intellettuale, trasposizione simbolica o seduzione narrativa. Semplicemente la brutta copia di un evento tragico, scimmiottato con attitudine splatter. La domanda è: perché? E soprattutto, com’è possibile siano stati concessi i permessi, con tanto di partecipazione all’opening di alcuni consiglieri comunali? Agghiacciante.
STREET ART IN MEMORIA DI NINNI CASSARÀ
Più digeribile, ma altrettanto evitabile, l’episodio che ha riguardato il liceo linguistico palermitano Ninni Cassarà, dove in questi giorni è spuntato un murale dedicato al commissario di polizia, vittima di mafia trent’anni fa. L’autrice, che ha cercato di tradurre in pittura alcune suggestioni elaborate dagli studenti, si chiama Marisa Polizzi, ex studentessa dell’Accademia di Belle Arti. Di murales progettati nelle scuole se ne vedono sempre più spesso; ed è, in generale, una pratica intelligente, fortemente educativa. Nei casi migliori, almeno. Laddove esiste un percorso didattico adeguato, ma soprattutto il talento di un artista, la sua testimonianza esemplare e la bellezza del suo lavoro. In questo caso, invece, l’istituto palermitano si ritrova in dono un wall painting malamente tirato via, dal sapore amatoriale, tecnicamente e iconograficamente debolissimo.
Inaugurato anch’esso il 23 maggio, il muro nasce nell’ambito del progetto S.O. S. Scuola lanciato da L’Alveare Cinema, in collaborazione – addirittura – con il Ministero dell’Istruzione: a proposito di garanzie istituzionali.
In definitiva, che bisogno c’è di tanti murales, di tanta arte urbana, di tante installazioni a cielo aperto, quando la qualità manca? E perché mai le amministrazioni pubbliche rinunciano alla selezione e al controllo, addirittura sponsorizzando senza alcun criterio? La retorica del bene comune e dello spazio pubblico si lascia dietro, sovente, un’insopportabile scia d’approssimazione. Dimenticando che se l’arte è sempre eccellenza, quella engagè viaggia su un crinale difficile. Il populismo è un’altra storia. Il dilettantismo anche.
Helga Marsala
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