Murales a Palermo. Santi, migranti, razzismo, censura. L’arte nel dibattito politico
Palermo ha un nuovo, imponente murale, dedicato a un santo africano, tra i patroni della città. Un altro piccolo dipinto, dello stesso artista, torna sulle vicende di cronaca più spinose, legate ai migranti e alla criminalità. Dissenso, allarme censura, testimonianze tra i muri e le vie di una metropoli europea, mediterranea, antirazzista.
Palermo multietnica, accogliente, anarchica, generosa, sincretica per configurazione geografica e per destino. Consumata dall’inerzia, vivificata dalla sua stessa narrazione irregolare: è la città-manifesto di un’isola che non conosce isolamento e che i confini li interpreta da sempre come soglie, più che come argini di protezione. Così è in larga parte, storicamente, e così il Sindaco Leoluca Orlando la continua a raccontare. L’anima plurale di questa terra araba, normanna, spagnola, francese, greca, bizantina, diventa una bandiera. Un manifesto provocatorio. La risposta a un’insofferenza diffusa, che è oggi razzismo di ritorno, pregiudizio riemerso.
Capitale Italiana della Cultura 2018, sede di Manifesta 12 – col suo riferimento programmatico alla biodiversità – Palermo riprogetta in questi anni la sua immagine sulla base di alcuni temi cari al Sindaco: l’immigrazione come bene comune, il centro storico libero dalle automobili, la viabilità sostenibile, la produzione culturale, i diritti umani e civili. Una larga fetta di cittadinanza applaude, altri evidenziano i nodi irrisolti e non si fanno bastare il raffronto con un prima assai modesto, persino rovinoso. E il problema migranti è prioritario anche qui. Soprattutto qui.
Non si è fatta attendere, lo scorso weekend, la risposta a Salvini, Toninelli e Di Maio: il Primo Cittadino di Palermo si è detto disponibile (pur non avendone facoltà) a far attraccare la nave Acquarius, con i 600 naufraghi salvati al largo delle coste libiche, e ha condannato la chiusura dei porti stabilita dal governo. Poca, pochissima politica, in questa uscita Lega-Cinque Stelle, e molta propaganda (Salvini si prepara a sostituire Conte, prima o poi, dopo aver fagocitato gli alleati). Nel mentre, un raduno di palermitani ha affollato la zona del porto, in segno di protesta contro le scelte maturate tra i palazzi romani. Stessa determinazione per i sindaci di Cagliari, Bari, Napoli, Messina, Reggio Calabria. Il Sud, in questo teatrino disumano, ha marcato una differenza.
UN MURALE PER SAN BENEDETTO IL MORO. SCHIAVO, SANTO E STRANIERO
È in una simile cornice travagliata che vanno collocati i due interventi pittorici realizzati in centro storico da Igor Scalisi Palminteri, artista palermitano molto attivo sul territorio, con un immaginario legato a un forte sentimento religioso e a un’estetica sospesa tra pop e iperrealismo. Così, nell’euforia per la girandola dei prossimi opening ed eventi culturali, e nella preoccupazione per l’ascesa al potere di un populismo di destra piuttosto radicale, anche gli artisti dicono la loro. Nello spazio pubblico, per esempio.
Palminteri ha appena completato un imponente murale nel cuore del mercato storico di Ballarò: 16 metri di altezza, 3 giorni di lavoro, 2 secchi di colore oro. Il dipinto raffigura San Benedetto il Moro, il frate nero nato nel 1524 a San Fratello, in provincia di Messina, da una famiglia di schiavi giunti dall’Africa. “L’opera nasce da una chiamata che mi hanno fatto gli organizzatori della manifestazione Mediterraneo Antirazzista”, ci racconta. “Ho scelto San Benedetto il Moro perché era africano, nero e schiavo. Insomma, un immigrato perfetto, però santo e patrono della nostra città”.
Il bel ritratto frontale a figura intera si staglia sul muro di una chiesa diroccata: splendida quinta scenografica per le quotidiane partite di calcetto multiethiche. Fondo dorato, a richiamare la tradizione delle icone sacre, un paio di sneaker che spuntano dalla tonaca azzurra e un volto autentico, contemporaneo, restituito con la finezza di un realismo fotografico.
Quasi uno scatto rubato ai vicoli del centro storico, là dove i migranti cercano solidarietà e riscatto, tra irregolarità, disagio, operosità, tentativi di integrazione. E dove conoscono lo sfregio di una mafia di piccolo cabotaggio, sedotta dai nuovi venti razzisti, in qualche caso diventando fronte di denuncia e di resistenza. Qualcuno ha rischiato la vita per aver reagito ai soprusi: nel 2016 lo studente e mediatore culturale del Gambia Yusupha Susso si beccò un proiettile in testa, alla luce del sole, a pochi passi dalla Vucciria. Vivo per miracolo, fu avvolto dall’abbraccio della comunità locale. Il Moro di Palminteri, oggi, ha anche la sua faccia, la sua storia, il suo sorriso, la sua determinazione.
E i residenti lo hanno accolto con quell’entusiasmo che è figlio di un’attitudine naturale alla convivenza, alla mescolanza. “Mentre dipingevo, nel campetto di calcio antistante giocavano a pallone decine di giovani provenienti da molte parti dell’Africa e non solo”, ci dice ancora l’artista. L’accoglienza come fatto culturale, prima che come questione umanitaria. Accogliere persone, opere, simboli e racconti sui muri: “Quando raccontavo alla gente la storia di San Benedetto rimanevano colpiti. Alcuni passavano con lo scooter, mi suonavo e urlavano: “minchia, è bello!”. Poi mi portavano una birra. Ho fatto amicizia con un sacco di ragazzini, con cui ho dipinto il marciapiede. Adesso giocano lì intorno”. Nella capacità di favorire la partecipazione, di attivare una narrazione integrata al tessuto locale, Scalisi Palminteri regala alla città una nuova metafora collettiva; sentinella di quartiere, immagine sacra, frammento di vita vissuta tra le strade di un borgo popolare.
IN MEMORIA DI SACKO SOUMAILA. QUANDO UN’OPERA DISTURBA
Il secondo dipinto si trova a pochi isolati, lungo la nuova area pedonale che costeggia il Teatro Massimo, dove un’infilata di jersey barrier funge da (teorico) argine a possibili attacchi terroristici su quattro ruote. Quando esplose il dibattito tra sostenitori e avversari dell’invasiva misura di sicurezza, il Sindaco Orlando chiese agli artisti di reinventare in libertà gli orribili oggetti in cemento armato. E così accadde. Igor, che ne aveva già realizzati diversi insieme ai bambini, in questo incipit di giugno è tornato in azione.
“Ho dipinto il dissuasore perché ho creduto che la vicenda terribile avvenuta in Calabria, con l’uccisione di Sacko Soumaila, non aveva avuto la giusta attenzione. Mi aveva colpito profondamente”. Il riferimento è al giovane migrante regolare del Mali, sindacalista e bracciante agricolo, ucciso brutalmente a fucilate dentro una fabbrica abbandonata di laterizi. Indignazione massima, da un capo all’altro del Paese, mescolata con osceni rigurgiti di odio razziale e mortificata dal silenzio prolungato del governo appena insediato.
“Quel pomeriggio ero lì perché si inaugurava la mia mostra in vetrina da Bisso Bistrot”, ci spiega. “Così, pensando al Sindaco che qualche mese fa aveva lanciato un invito agli artisti, perché colorassero i grigi blocchi in cemento, mi sono lasciato inspirare da un affiche di Demetrio Di Grado, al quale avevano strappato la testa. Ho dipinto così il volto di un uomo africano, su quel corpo femminile chinato a raccogliere i pomodori. L’ho intitolato “Pomodori killer”. Un fucile, puntato contro la bizzarra figura, è subito memento e denuncia contro i fatti di Vibo Valentia e contro la piaga del caporalato.
Il piccolo disegno, a quanto pare, ha scosso. Facendo in effetti il suo mestiere: tenere vivo il ricordo, pungolare, ‘aggredire’ con l’innocente delicatezza di una manciata di linee e di colori. Suscitare reazioni. La mattina del 12 giugno, secondo diverse testimonianze raccolte sui social e sul luogo, un camion del COIME (Coordinamento Interventi di Manutenzione Edile del Comune) era giunto sul posto addirittura per rimuovere il dissuasore. Poi la notizia di un possibile, alternativo intervento di riverniciatura. E intanto l’anonimo sfregio: una parte del poster è stata strappata via. I vigili, intervenuti per coordinare le operazioni, avrebbero risposto così: “I cittadini si sono lamentati. Noi stiamo solo eseguendo gli ordini”. Ordini di chi?
La reazione su Facebook monta alla velocità della luce, con toni d’allarmismo a tratti fuori fuoco, per un episodio dalle dinamiche poco chiare, di cui tutti parlavano ma che nessuno capiva, risoltosi comunque nel giro di niente. Ma il nervo, comprensibilmente, era e resta scoperto. I palermitani difendono l’opera e condannano quel rigurgito di perbenismo borghese, velato di intolleranza razzista: gli occhi dei passanti non reggono la ferocia della cronaca, riportata in forma d’illustrazione? Sono ore difficili, in cui la vicenda della nave Aquarius infiamma il dibattito, mentre monta lo spettro del pugno duro salviniano, con l’omicidio in Calabria che è ancora una ferita fresca, dolorosa.
LA DINAMICA DEI FATTI
L’allarme in realtà è subito rientrato. L’opera, se pur sfregiata, è ancora là. “Mi piacerebbe sapere da chi è arrivato l’ordine di rimuoverla”, si domanda Palminteri. “Quanto al turbamento delle persone, lo rispetto. Ma vorrei capire. Era troppo cruenta? Il tema dava fastidio? In ogni caso, io non potevo tacere”. Orlando, commentando i fatti, non ha usato mezzi termini: “Se qualcuno lo tocca lo vado a rifare io”. E la questione si chiude così, con le parole lapidarie del sindaco, paladino dei migranti e primo supporter di una rinascita culturale perseguita non senza lacune e difficoltà, ma con costanza.
In ogni caso, secondo prassi, l’intervento dei Vigili e del COIME non avviene senza che vi sia una determina dirigenziale: rimuovere un ostacolo o un elemento di arredo urbano, ricoprire un una scritta o censurare un murale, spostare un dissuasore antiterrorismo, sono cose che competono l’assessorato alla Viabilità, all’Urbanistica o al Centro Storico. E che un dirigente deve autorizzare. Da qui la frase del vigile: “Eseguiamo gli ordini”. Tutto questo, naturalmente, fa parte di iter amministrativi minuti, quotidiani, frettolosi, magari automatici, che sfuggono al controllo del Primo Cittadino, spesso anche degli assessori. Molto probabilmente qualcuno ha compreso in tempo la leggerezza, col rischio di un danno d’immagine per l’amministrazione, ed è arrivato il dietrofront.
Due opere che raccontano storie, sensibilità, dinamiche collettive; una vicenda piccola ma simbolica, in una città europea che è insieme centro e periferia, oggi sotto i riflettori del mondo della cultura, nel cuore di un’isola investita dai flussi migratori. La temperatura, nel resto del Paese, è bollente. E l’arte si fa, ancora una volta, termometro, detonatore.
– Helga Marsala
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