Riqualificare Palermo, tra grandi vuoti e piccoli passi. Murales (con polemiche) a Ballarò

Spuntano nuovi muri dipinti in uno dei mercati più antichi di Palermo. Ma è davvero riqualificazione? Nel bisogno ancora forte di opere pubbliche, servizi efficienti, investimenti economici, la città lentamente rinasce, col bisogno di riprogettare i suoi luoghi e potenziarne l’identità. L’arte intanto si attrezza. Lancia messaggi, simboli, codici. E qualcuno polemizza, a proposito di razzismo e integrazione…

Angoli di Palermo rinascono, ci provano, s’inventano pezzo e pezzo, attaccati a una memoria porosa, fatta d’innesti e di crateri, di fallimenti e contaminazioni, di ostinazioni e crolli. I mercati storci ad esempio. Che per certi versi agonizzano e per altri si impegnano a fronteggiare crisi, conflitti, carenze. Ballarò, col suo attivissimo comitato di quartiere SOS Ballarò, è uno di quei luoghi che stanno mettendo in atto processi virtuosi, a partire dai cittadini. Si lavora in dialogo con le circoscrizioni, si monitora l’attività comunale, si punta su promozione e valorizzazione, si raccolgono proposte per migliorare spazi comuni. E anche gli artisti a volte si trovano nel mezzo, chiamati a una sana partecipazione.

Comune di Palermo e SOS Ballarò, percorso ondiviso per il coinvolgimento dei residenti, attraverso operatori sociali e volontari di associazioni del territorio

Comune di Palermo e SOS Ballarò, percorso ondiviso per il coinvolgimento dei residenti, attraverso operatori sociali e volontari di associazioni del territorio

OPERE PUBBLICHE, TRA RITARDI E BUONE INTENZIONI

Riqualificare con l’arte, con la buona volontà, con la bellezza e la solidarietà? C’è una bella fetta di autenticità politica sul fondo di questa narrazione, ma in parte la sensazione è quella di una retorica stanca, che riempie le bocche e alleggerisce le responsabilità, a colpi di belletto. A Palermo come in mille altri posti difficili. Emergenza abitativa, dispersione scolastica, povertà, servizi carenti, periferie tutte da reinventare: si riqualifica sul serio a partire da qua.
E Palermo, come il resto dell’isola, annega nella disoccupazione, non ha industrie e non attrae capitali, si ammala ogni giorno di assistenzialismo e burocrazia, colleziona opere incompiute, lotta per rinnovare vecchie infrastrutture. E dunque fa fatica a spingere verso una progettazione urbanistica di livello, che passi dall’arte e dall’architettura contemporanea internazionale, e che risolva le profonde questioni legate alla vivibilità, all’integrazione, ai servizi, alla sostenibilità.
Poche le eccezioni, con alcune importanti opere pubbliche finanziate e in progress – viabilità e trasporti – ma segnate da clamorosi ritardi, carenze estetiche e qualche criticità funzionale, mentre nuovi cospicui finanziamenti arrivano (21 milioni di euro dei fondi Pon-Metro) per progetti legati al sociale. L’amministrazione ci sta provando e anche l’Università fa la sua parte: tra tavoli tecnici, unità di ricerca, laboratori, alcune figure chiave continuano ad alimentare il dibattito e a immaginare una ‘città pubblica’, contemporanea, rigenerata, ripensata nella forma e nella struttura.

Il muro di Crazyone a Ballarò

Il muro di Crazyone a Ballarò

MURALES A BALLARÒ. RIGENERARE DAL BASSO

E poi c’è l’altra riqualificazione. Quella fatta di poco, di niente, di relazioni umane, di simboli invisibili ma vitali, di stupore e di formazione, di volontà, lentezza, empatia. Facendo quel che si può: si riparte e ci si organizza da sé. Riqualificare è allora spesso un fatto di comitati civici, di progetti dal basso, di piccole abitudini che mutano, di convivenza tra residenti e migranti, di palazzi nobiliari scippati alla decadenza qui e là. E di opere d’arte che ogni tanto sbucano sui muri. Illegali e anche no. Palermo è uno di quei luoghi in cui la Street Art si mette davvero a raccontare storie e ad amplificarne la voce.
Nel 2015 fu la volta del bel progetto “Borgo Vecchio Art Factory orchestrato dall’associazione Push, più di recente altri muri sono fioriti tra la Cala (il mega ritratto di Falcone e Borsellino firmato da Rosk Loste), la Vucciria, lo Sperone (l’astrazione botanica di Tellas,Terra e mare).
Oggi i riflettori si accendono su Ballarò. L’ultimo muro, risalente agli inizi di luglio, lo firmava Igor Scalisi Palminteri come omaggio alla città e al suo patrono nero: San Benedetto il Moro. L’alto dipinto si erge nell’antico quartiere popolare di Albegheria, in prossimità di un campetto di calcio dove si affrontano quotidianamente piccoli giocatori di varie etnie. Il Santo veglia sui bambini, sui loro destini di conflitto, d’amicizia, di riscatto e di miseria. La parete l’aveva individuata la Confraternita dei Fornai, proprio accanto alla loro chiesa. Quindi, dagli stessi frati è arrivato un suggerimento: dopo il santo con la pelle scura, simbolo antirazzista incastonato nel cuore della borgata, perché non omaggiare anche Santa Rosalia, la mitica patrona regina? Detto fatto. Spunta un nuovo muro, sempre di Palminteri, tra vicolo dei Benedettini e via Mongitore, a due passi da San Giovanni degli Eremiti. Due figure sacre svettano ora tra le case basse di Albergheria e ne impreziosiscono lo scenario; sono scorci popolari, in cui il degrado e il pittoresco descrivono le operose comunità locali e insieme la marginalità più nera, innestandosi su straordinari scorci monumentali.
I residenti accolgono con gioia e il progetto cresce, decolla. Igor e i confratelli accarezzano l’idea di avviare una raccolta fondi per finanziare altri muri, di altri artisti. Poi trovano un supporter, Francesco Galvagno, collezionista e patron di Elenka, uno sponsor tecnico per la materia prima (Tommaso Piazza Colori) e l’appoggio della Prima Circoscrizione. Tutto autorizzato e coordinato a dovere insieme a SOS Ballarò.

Il muro di Alessandro Bazan a Ballarò

Il muro di Alessandro Bazan a Ballarò

SANTI, UCCELLINI E ICONE POP

Vede la luce così un delizioso muro verticale di Andrea Buglisi, in di Via Luigi Villanueva, che su uno sfondo blu-cielo disegna un colibrì in volo, impegnato a sollevare col becco un masso legato a un filo: il senso delle sfide quotidiane, la vocazione per la libertà e l’utopia del cambiamento si racchiudono in un’immagine efficace, che è già un nuovo simbolo di Palermo e del quartiere. Fra tenerezza e caparbietà.
Alessandro Bazan, maestro di quella che un tempo fu la Scuola di Palermo (insieme a De Grandi, Di Piazza e Di Marco), sceglie una larga parete orizzontale in Corso Tukory per dipingere una calca di teste col naso all’insù e lo sguardo puntato chissà dove. Il tappeto umano variopinto è rapito da una misteriosa scena spettacolare, lasciata fuori dal campo visivo: un’apparizione sacra, una festa religiosa, le acrobazie delle Frecce Tricolori, il concerto di una star neomelodica… È La gente di Ballarò, restituita con tratti guttusiani, a raccontare la vita vissuta nel brusio di una verità che unisce cronaca e letteratura.
Un vortice dinamico di pesci per Fulvio Di Piazza, che è un frammento fantasy subacqueo e insieme un’evocazione dei tipici banchi ittici al mercato, mentre è tutto in chiave amarcord il pezzo di Crazyone: bella soluzione non invasiva, giocata in monocromo e in trasparenza, affidando a un grigio effetto-pixel l’apparizione iconica del compianto attore palermitano Franco Franchi.
E in questo fiorire di immagini dipinte, come nella sala sgarrupata di un museo senza soffitto né pareti, la città applaude contenta, coinvolta, grata. Ballarò non rinasce con dei muri ma cambia in parte i suoi connotati. E qualcosa si muove tra le persone, come spesso accade in questi casi: il concetto di presa in cura dello spazio pubblico, a Palermo, in Sicilia, è un fattore chiave. Sulla cui consapevolezza tutti dovrebbero investire: artisti, intellettuali, imprenditori, amministrazioni.

Palermo, Ballarò, il muro di Igor Scalisi Palminteri dedicato a San Benedetto il Moro

Palermo, Ballarò, il muro di Igor Scalisi Palminteri dedicato a San Benedetto il Moro

LA POLEMICA

Idilliaco quadretto estivo, in cui s’innesta immancabile la polemica. Camillo Langone, accumulatore seriale di provocazioni da perfetto conservatore nazionalista catto-talebano, scrive sul Foglio un pezzo di critica, scagliandosi contro il San Benedetto il Moro in scarpe da tennis e contro il suo autore, accusato di essere un ex frate al servizio del processo di islamizzazione del Paese. E rivolgendosi idealmente al Santo, scrive: “Il pittore palermitano Igor Scalisi Palminteri, un tempo francescano e adesso tatuato, ti ha dipinto in un grande murale nel famoso quartiere Ballarò. Un maiuscolo esempio di propaganda invasionista e razzista, dichiaratamente tale. “Lo abbiamo realizzato perché è nero”, ha detto l’artefice. Mica perché andavi in estasi durante la preghiera, resuscitavi i bambini e facevi apparire gli angeli: per il colore della tua pelle. Chissenefrega della fede, per costoro come per gli zootecnici la prima cosa è il sangue”. La classica accusa di “razzismo al contrario”, che da un certo mondo di destra arriva nei confronti dei buonisti e radical-chic di sinistra, fissati col mito del multiculturalismo, dell’accoglienza e dell’integrazione.
A replicargli, con uno energico post su Facebook, è Adrea Cusumano, assessore alla cultura di Palermo, subito intervenuto per rimettere a posto i termini della questione: San benedetto il Moro è metafora sana di una città-porto che è sempre stata ed è, inevitabilmente, aperta. Lo straniero qui è cittadino, al di là di questioni politiche e giuridiche. “San Benetto il Moro era nero, cristiano”, precisa Cusumano, “ed è uno dei Santi patroni di Palermo. Assimilare la presenza di una sua immagine ad un processo di “islamizzazione dell’Italia” e di “propaganda invasionista e razzista” è dunque, oltre che errato, profondamente razzista e Palermo è per altro felicemente piena di palermitani neri. La sua affermazione associa l’Islam alla pelle nera, atto che per altro manifesta ignoranza sul fatto che in Siria, Libano, Egitto, Iraq, Palestina, Turchia… non soltanto non sono neri, ma vi sono cospicue percentuali di cristiani”. E in effetti che ci azzecca l’Islam con la pelle nera e con la vicenda di un Santo cristiano?
Qui non abbiamo paura di accogliere San Francesco, San Benedetto, i tatuati, la comunità LGTB, gli zingari, i neri, gli islamici”, prosegue l’assessore, “perché a Palermo siamo da secoli abituati ad accogliere. Palermo ha la fortuna di poter raccontare gli altri parlando di se stessa. Ed è per questo che oggi siamo Capitale Italiana della Cultura, perché oggi per essere capitali di qualcosa bisogna avere qualcosa di sensato da scrivere nel libro della storia”. Poi la chiosa perfetta, con un riferimento alla Madonna di Lepanto citata dallo stesso Langone: “Di certo suo figlio Gesù non diceva di amare il prossimo tuo ‘bianco’ come te stesso, ma il prossimo, semplicemente il prossimo”.
Scontro educato, graffiante, colto, anche divertente, tra due teste pensanti, lontanissime per approccio e per cultura. Scontro che ha scatenato reazioni e messo un po’ di pepe, incarnando il conflitto politico-culturale più feroce del momento in Italia. E a proposito di riqualificazione, in fatto di arte pubblica e di artisti che intervengono nel tessuto metropolitano, ecco uno degli aspetti cruciali: quando i muri accendono dibattiti, sospingono idee, solleticano l’immaginazione, rimettendo in discussione i luoghi e sintonizzandosi col sentire contemporaneo, un processo è già in atto. Riqualificare è un’altra storia, nel suo senso più ampio e meno edulcorato, oltre la decorazione e dentro i processi di vera riprogettazione urbana. Ma intanto qualcosa accade, ed è già corpo sociale vivo, presenza collettiva, occasione.

 – Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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