Cambiare il mondo con la Street Art. Intervista a ZED1
Parola allo street artist fiorentino impegnato da anni in una ricerca creativa che mescola atmosfere oniriche e sperimentali.
Diviso tra l’Italia e il resto del mondo, Marco Burresi (Firenze, 1977), in arte ZED1, è un artista che riesce a passare con disinvoltura dalla parete alla tela alla realizzazione di lavori di grafica per brand e pubblicità. Quando la sua creatività si manifesta sulla parete, però, emerge tutta la sua vena creativa. Ha sempre usato la tecnica a spray, a cui oggi ha affiancato rulli, vernici e pennelli, che gli permettono di ottenere nuance simili ad acquerelli. Ama la sperimentazione, la sua tecnica può essere repentina, schizzata, non finita, ma anche attenta al dettaglio.
Burattini, elfi, clown, personaggi immaginari popolano i lavori di ZED1, al limite tra l’onirico e il surreale, in un’atmosfera sognante e melanconica.
Ci racconti le esperienze che hai sviluppato di recente, come, ad esempio, quella del Festival Veregra a Montegranaro, con la realizzazione di Un viaggio per le stelle?
Il 2017 è stato un anno movimentato, ho avuto la fortuna di viaggiare molto dipingendo i muri di varie città del mondo come Miami, Denver, San Francisco, Fortaleza in Brasile, Béja in Tunisia e Saint-Paul in Réunion. Quindi nell’ultimo anno ho preferito stare più vicino a casa, dipingendo principalmente in Italia. Il Veregra Street è un festival delle arti di strada che, nell’ultima settimana di giugno, anima le strade di Montegranaro con spettacoli di ballo, di giocoleria, con concerti, cibo e teatro. Nella mia città natale si svolge il Mercantia [a Certaldo, N.d.R.], un festival simile che negli anni ha influenzato molto la nascita dei miei personaggi, ispirati a delle marionette.
Da dove trae origine questa passione?
La prima “marionetta umanoide” che ho dipinto fu un Pinocchio ingarbugliato nei propri fili, rimasto vittima delle proprie scelte. Avevo visto un bravissimo marionettista durante Mercantia e avevo voluto provare a dipingerne uno. Probabilmente i ragazzi del Veregra Street, vedendo i miei dipinti sui muri, avranno intuito qualcosa e mi hanno subito contattato proponendomi il progetto. Ho visionato la foto dell’edificio, dove era evidenziata la porzione di muro che avrei dovuto dipingere. Li ho raggiunti per un sopralluogo e quando ho visto dal vivo il cinema-teatro me ne sono innamorato e ho chiesto di poter dipingere tutta la struttura. Loro sono stati d’accordo. Era diverso tempo che avevo in mente il tema del “Viaggio tra le stelle”, ma non ero ancora riuscito a trovare il contesto giusto dove realizzarlo. Quando ho visto la struttura architettonica de “La perla”, ho capito che si trattava di un teatro dove spesso si svolgono saggi di danza e ho dunque deciso di riprendere in mano l’idea e di trasformarla in una storia. Ai ragazzi del Veregra il bozzetto è piaciuto subito.
Come si è sviluppato il progetto?
Fra temporali e ritardi vari, c’è voluto circa un mese per dipingere l’intera parete ed è stato davvero stancante. Un disegno così grosso su di un muro molto in vista in un paese come Montegranaro è stata una scelta coraggiosa, che ha diviso la città tra chi non lo riteneva necessario e a chi invece piaceva. Dei ragazzi del posto sono venuti a darmi una mano e così sono riuscito a completarlo. Ho trovato subito feeling coi “committenti” e mi è piaciuto molto come si è sviluppato questo progetto, c’è stata una bella sinergia. Nonostante tutti i problemi, penso che Un viaggio per le stelle sia uno dei muri più importanti che ho realizzato fino a questo momento, sia per contenuto che per dimensioni.
Personalmente sono rimasta molto colpita dalla forza espressiva e sognante delle tue opere, e mi chiedo, anzi ti chiedo come è scoccata la scintilla che ti ha fatto iniziare e, a oggi, proseguire in questa attività.
Ho iniziato a dipingere in strada facendo writing all’inizio degli Anni Novanta. Nella mia crew ero specializzato negli sfondi, perché avevo una buona mano per il figurativo. Con il tempo il lettering del mio nome ha iniziato a non bastarmi più, sentivo l’esigenza di narrare storie che, con le sole lettere, non potevo raccontare. Il figurativo è un linguaggio più ampio e diretto che mi consente di far arrivare meglio i miei messaggi alle persone. Dipingere il Pinocchio di cui parlavo prima credo sia stata la prima vera svolta che ho avuto. Mi piaceva molto il gioco delle “articolazioni impossibili” che oggi accompagna tutta la mia produzione artistica, dando un fascino surreale ai miei lavori. I miei personaggi mi piacciono, anche perché mi conferiscono una sorta di “licenza di uccidere”, ovvero di trattare argomenti forti facendoli percepire sempre come fiabeschi.
C’è quindi una componente autobiografica?
Le storie nel tempo sono cambiate, questo penso sia normale perché sono sempre molto introspettive e variano al variare del mio umore. Uso l’arte un po’ come terapia, perché tutte le volte che mi succede un brutto evento, tento di esorcizzarlo in un’immagine delicata e la cosa più bella che mi può capitare è che altri si rivedano nei miei racconti. Mi piace che quando riguardo i miei lavori, ripercorro i passi della mia vita e li rivivo come fosse un diario scritto sui muri.
Com’è lo stato della Street Art oggi in Italia, rispetto all’estero, secondo te? Cosa si potrebbe fare in più (o diversamente)?
In Italia sono cambiate molte cose rispetto a prima, quando tutto questo era molto meno accettato. Comunque restano poche le città illuminate che rispettano e agevolano questo genere di pratiche artistiche e sono quasi sempre piccoli paesi. Quello che all’estero sicuramente funziona meglio è un sistema di norme più snelle e veloci, che consentono la realizzazione di murales in tempi umani. In Italia, al contrario, la burocrazia rallenta molto i lavori e se non si trova un ente pubblico determinato è difficile venirne a capo.
Di recente hai partecipato all’opening patrocinato dal Comune di Firenze dal titolo Art can change the world: in che modo può succedere?
Art can change the world era un opening organizzato dai ragazzi della Street Levels Gallery di Firenze in collaborazione con la Florence Biennale, con il patrocinio del Comune di Firenze. Era una mostra collettiva dove, oltre alle tele esposte, ho realizzato la performance Second Skin su un cubo di 3 metri x 2 per lato. Il Second Skin è una tecnica dove a un disegno realizzato direttamente sul muro viene applicato un secondo strato sul quale, con l’ausilio di varie tecniche, viene realizzata una “seconda pelle”. In questo modo col passare del tempo, grazie agli agenti atmosferici o all’intervento diretto dell’uomo, lo strato superficiale si deteriorerà rivelando lo strato sottostante. In quell’occasione ho dipinto alcuni passaggi fondamentali nella vita di un artista di strada. Non so se l’arte può cambiare il mondo, ma il mio di certo l’ha cambiato.
Come definisci il tuo stile? Nel corso degli anni sono cambiate le tecniche che utilizzi?
Non saprei dare un nome al mio stile, sicuramente è fortemente ispirato al Surrealismo, portato su un piano illustrativo. I primi anni usavo sempre gli spray come da migliore tradizione, poi invecchiando ho scoperto la gioia di usare rulli, pennelli e vernici. Ma non ho mai perso l’abitudine alle bombolette. In occasione di Art can change the world ho dipinto a spray dopo tanto tempo e ho avuto modo di sperimentare alcune nuove tecniche che adesso sto tentando di riprodurre su altri supporti. Recentemente ho iniziato a fare anche attacchinaggio di poster per le strade di Firenze e mi diverte molto. Mi ricorda quando, da ragazzo, dipingevo in strada con la mia crew e ho riscoperto quel senso adrenalinico che negli anni un po’ si perde. In generale, comunque, adoro sperimentare continuamente con varie tecniche e materiali. Anche adesso sto portando avanti dei progetti legati alla scultura, che mi stanno regalando nuovi stimoli.
Il punto più alto in cui sei stato (metaforico e non).
Il punto più alto nel quale sono stato penso sia in Belgio, sulla cima di una torretta dei pompieri dipingendo un muro. Mentre il punto metaforico non saprei, magari lo devo ancora raggiungere.
Come prende forma il processo creativo? La scelta del soggetto da realizzare è frutto di un lavoro metodico o l’intuizione è improvvisa e ti lasci guidare?
Moltissime volte improvviso e mi piace creare sul momento, cogliendo ispirazione dalle persone, dal luogo o dagli avvenimenti che mi ci hanno portato. Altre volte ho idee già abbozzate in cerca del muro giusto e altre volte ancora gli organizzatori mi suggeriscono tematiche care sulle quali costruire le mie storie. In ogni caso, ho sempre bisogno di avere libertà di manovra nell’intervento che mi dia modo di affrontare le tematiche come vorrei, oltre che di sfruttare il muro al meglio.
Cos’è la creatività? Tre aggettivi per descriverla.
Citando Amici miei, “è fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione“.
Cosa farai domani?
A partire da questo mese di settembre, dipingerò due muri, uno a Torino e l’altro a Santander nei Paesi Baschi. Poi sarà tutto in divenire, ma sicuramente tornerò negli States. In ogni caso ho in serbo diverse belle sorprese.
‒ Alessia Tommasini
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