Street Art e Situazionismo. Intervista a Hogre
Parola allo street artist romano noto per i suoi interventi di subvertising sui manifesti pubblicitari.
Hogre è uno street artist romano, cresciuto in strada seguendo le orme di graffitari come JBrock, Zibe, Pible. Il suo esordio risale al 2006, durante la campagna elettorale per le elezioni nazionali. Con alcuni amici ha aggiunto nasi rossi e parole goliardiche ai manifesti di Berlusconi che trovava al Tufello. Poi sono arrivate le lettere, gli stencil. Firma nota della Street Art italiana e internazionale, è balzato agli onori delle cronache per aver rivendicato manifesti definiti “blasfemi” o “sovversivi” e non solo.
Così scrive la Treccani: “Subvertising: termine derivante dalla crasi dei vocaboli anglosassoni subvert (sovvertire) e advertising (pubblicità) che indica la pratica di “vandalizzazione creativa” di manifesti pubblicitari e forma di culture jamming (sabotaggio culturale) adoperata da diversi collettivi e movimenti contro il sistema consumistico della società e il monopolio della pubblicità nello spazio visuale urbano“. Che ne pensi? Ci racconti cosa significa per te, anche rispetto ad azioni come l’adbusters o il brandalism?
Oggi gli oggetti vivono al di là del loro valore d’uso, poiché consumarli significa essenzialmente manipolarli in quanto segni distintivi. A metà del secolo scorso il linguaggio che investiva gli oggetti di consumo costituiva una novità, la stessa che la Pop Art raccontava attraverso un umorismo gelido. Il subvertising (meglio noto come adbusting negli Stati Uniti) invece parte dal presupposto che questo linguaggio sia già stato assorbito. Stravolgendone la grammatica, mette a nudo l’imperativo al consumo nascosto dalla pseudo scelta del prodotto. È un’arte dall’umorismo sovversivo, ma anziché ribaltare gli oggetti nella loro funzione, come fecero il Surrealismo e il Dadaismo, qui il cortocircuito è spostato sul livello segnico.
Questa attività trova le proprie origini nel movimento delle Internazionali lettrista e situazionista degli Anni Cinquanta. In cosa si differenzia e in cosa invece è simile?
C’è sicuramente una contiguità tra subvertising e Situazionismo, ma ovviamente il contesto è ben diverso: gli Anni Cinquanta e Sessanta erano caratterizzati da quello che Debord definiva lo “spettacolo diffuso”, che ha aperto le strade al baratro dello “spettacolo integrato” nel quale siamo immersi, con tutti i valori tipici dei totalitarismi (“spettacolo concentrato”) tornati a essere onnipresenti a livello globale. I situazionisti erano pensatori lucidi, io non sento di esser giunto ad alcuna verità, ma trovo comunque molto utile la lente del Situazionismo per osservare la realtà.
Spiegati meglio.
Per esempio lo scorso 14 settembre, durante la presentazione del mio libro a Roma, mi sono scambiato di ruolo con l’amico Ermes Maiolica, così che io mi sono seduto tra il pubblico e lui ha tenuto la presentazione al posto mio, accompagnato da Guerrilla Spam e Andrea Natella. Ermes non aveva nemmeno letto quel libro, ma è riuscito comunque a convincere tutti i presenti della sua falsa identità. Alla fine della conferenza, una giornalista gli ha anche chiesto di lasciarle un autografo con un disegno, commentando poi quello scarabocchio come “geniale”. Abbiamo sfruttato il mio anonimato per creare una performance in stile situazionista, dimostrando che è il contesto sociale a determinare l’artista contemporaneo più che le sue reali capacità.
Qual è il tuo messaggio? Cosa vorresti arrivasse alle persone?
Niente ‒ sarò pure spocchioso, ma non così pretenzioso. Forse un po’ in adolescenza, ma ora non mi pongo più questo problema: Mi piace interrompere il chiacchiericcio del commerciale e dirottarlo verso qualcos’altro per un piacere tutto personale. Non voglio fare alcun proselito.
Quali tecniche utilizzi?
Quella che ultimamente preferisco consiste nel fingere di essere un altro, infilarmi nei suoi panni e quando il travestimento risulta convincente cambio i connotati a questa identità acquisita. Un caro amico dei tempi del liceo le chiama “le pannocchiate”; un altro amico, che è anche collezionista, le chiama “marachelle”. Qualcuno lo chiama subvertising.
Perché hai scelto di operare in una città “complicata” come Londra? Che differenze trovi rispetto all’Italia?
Londra è la capitale europea del consumismo e le dinamiche che legano la commercializzazione della Street Art alla gentrificazione di quartieri come Shoreditch o Hackney è inequivocabile. Cambiando medium dal graffito sul muro al “vandalismo creativo” sulle pubblicità, ho ritrovato intenti originari nel piacere di creare disturbo.
In Italia dipingere illegalmente un muro può essere ancora un’operazione di rottura, ma d’altra parte la pubblicità nello spazio pubblico ha una necessità e un’origine ben distinte. Basti pensare che a Roma metà della cartellonistica è abusiva, gestita da aziende mafiose a cui conviene pagare una multa piuttosto che una tassa per occupazione di suolo pubblico.
Come concili i tuoi lavori in strada con quelli realizzati per una galleria o una fondazione?
Sono sinceramente appassionato di design e amo disegnare sia con la matita che con una tavoletta grafica su Photoshop. Appendendo una tela in galleria posso contemporaneamente finanziare le mie attività in strada e lasciare un segno che non sia effimero, mentre un intervento non autorizzato nello spazio pubblico ha tutt’altre dinamiche. Piratare un billboard significa ragionare sulla sua struttura ponendo in questione la sua esistenza. Non firmo quasi mai i miei interventi di subvertising: è una ricerca sulla visibilità e non per la visibilità.
Il tuo prossimo lavoro? Ci puoi anticipare qualcosa?
Domenica 3 febbraio alle 18.00 inaugurerò una mia personale nella neonata C21, all’interno di Palazzo Brami, a Reggio Emilia. Sarà una mostra con tanti pezzi inediti, ma la comunicazione è stata sovvertita, questa volta dal curatore Jacopo Gonzales, così il pubblico che arriverà sarà convinto di trovare un vernissage di tutt’altro genere. Lo spazio rimarrà aperto al pubblico solo il 3 febbraio, mentre alcune installazioni saranno visibili dalle vetrine della C21 per i prossimi due mesi. Il 15 febbraio, invece, inaugurerò Dildo alla Street Levels Gallery di Firenze, una mostra sugli aspetti pornografici del consumo alla quale sto lavorando con Doublewhy e Illustre Feccia.
‒ Alessia Tommasini
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