Street e Urban Art. Intervista a Vesod
Più che street artist, si definisce urban artist. Conosciuto in tutto il mondo per i suoi interventi sulle superfici delle città, Vesod ripercorre la propria storia.
Vesod, classe 1981, torinese di nascita, è un artista che ha cominciato con il writing nel 1998, quando dipingeva graffiti in Italia e all’estero e partecipava ai più importanti eventi del settore, come il Picturin Festival ed il Meeting of Style. È membro della SCO crew, partnership artistica torinese in cui si fondono musica e disegno. Dopo aver conseguito la laurea in matematica, sceglie di intraprendere in modo definitivo la carriera artistica. Segnato dalle opere del padre Dovilio, si avvicina alla tela conciliando diversi mezzi, come lo spray e l’olio. Tra mostre collettive e personali, a oggi è considerato uno dei migliori artisti contemporanei della Street Art internazionale.
Ho letto che preferisci definirti urban artist rispetto a street artist. Puoi raccontarci il perché, o per meglio dire, perché hai scelto di seguire l’Urban Art?
Trovo sempre molto scomode le definizioni, perché richiedono coerenza, senso di appartenenza e regole. Vengo da un piccolo paese della provincia di Torino e ho iniziato a dipingere a fine Anni Novanta vedendo i “pezzi” sulla linea ferroviaria che passava vicino a casa. Posso dire quindi di aver iniziato con il “writing”. Rispetto a tanti amici che scrivono il proprio nome in strada, pochi pezzi illegali non fanno certamente di me un “writer”.
Penso inoltre che la “Street Art” contempli anch’essa la componente illegal e riproponga l’arte “Pop” in strada, per questo devo dire di non essermi mai sentito “street artist”. Il mio, negli ultimi anni, è un percorso pittorico e realizzare dipinti legali in spazi pubblici fa di me un muralista, come tanti altri pittori del passato. Diciamo che se dovessi scegliere un nuovo termine per definirmi potrei utilizzare “urban artist”.
Come avviene il tuo processo artistico-creativo? Come scegli i soggetti da realizzare?
Il mio processo artistico-creativo non è sempre stato lineare, perché spesso, quando si interviene in uno spazio pubblico, è necessario interfacciarsi con le esigenze del committente. Solitamente quando arrivo in una città mi piace avere il tempo di viverla e fotografarla in modo da dipingere qualcosa che sia connesso al suo contesto di appartenenza. Se ciò non è possibile, perché ad esempio mi viene richiesto di creare anticipatamente un bozzetto, cerco comunque di trarre ispirazione da leggende o storie del luogo.
Una tua opera alla quale sei particolarmente legato.
Beh, mi viene da sorridere nel risponderti FILI, un murale di circa 22 metri realizzato a Milano. Mi sento legato a questa pittura perché ho utilizzato elementi, come i fili, che erano ricorrenti nei dipinti di mio padre Dovilio Brero, pittore surrealista. Nelle sue opere i soggetti erano intrappolati tra i fili in cui si contorcevano i corpi; nel mio murale, invece, uno dei due soggetti ha in mano le forbici per tagliarli. Credo che quest’opera rappresenti l’affermazione della mia identità.
Provieni da una famiglia di artisti, tuo padre è Dovilio Brero; tua sorella si è occupata di arte. Quindi posso immaginare che tutto questo mondo tu l’abbia vissuto e assorbito sin da piccolo. Come si è conciliato e coniugato con la tua vita, considerando anche i tuoi studi matematici?
Sì, fin da piccolo son cresciuto in mezzo ai dipinti, respirando vernici e conoscendo tutte le difficoltà che un artista incontra sulla sua strada. Nel mio percorso di studi ho cercato quindi di crearmi un’alternativa dedicandomi alla matematica, altra passione trasmessa da mia madre, insegnante.
Pensavo infatti che l’arte sarebbe rimasta un passione e non che avrei potuto trasformarla in un lavoro, così non è stato. Credo che dopo la morte di mio padre e mia madre, la voglia di portare avanti un discorso che sentivo viscerale e radicato nella mia famiglia abbia prevalso. È stato così che ho deciso di dipingere a tempo pieno.
Una volta Keith Haring ha dichiarato: “Un muro è fatto per essere disegnato, un sabato sera per far baldoria e la vita è fatta per essere celebrata”. Qual è il tuo pensiero rispetto a questa “visione”?
Mi piace questa visione “godereccia”, e mi ci rivedo: dipingere muri mi stimola e mi piace far festa, non solo il sabato però. Spero che qualsiasi essere possa celebrare la vita e so che la passione è un buon modo per farlo.
Quale è il rapporto con la tua città da un punto di vista professionale e artistico?
Come ho detto prima, vengo da un paese della provincia e non ho mai avuto un rapporto vitale con la città. Torino mi ha però dato la possibilità di conoscere pittori, street artist e writer che son diventati una seconda famiglia. Torino mi ha permesso di vivere di pittura, devo tanto alla mia città e alle persone che ci vivono.
Parlando di Urban Art, hai iniziato con i graffiti: che ricordi hai di quel periodo? Quanto e come è cambiata l’arte in strada, secondo te?
I ricordi delle jam a cui ancora oggi appena posso partecipo mi fanno pensare all’amicizia, alle sbronze, al confronto. Penso che per varie ragioni, con la mercificazione dell’arte di strada, ci si muova in generale verso il “decorativismo” che poco ha a che vedere con i graffiti. Questo con tutte le eccezioni del caso, naturalmente. Ritengo comunque che lo scenario dell’arte di strada sia decisamente confuso, ed è impossibile individuare tutti i cambiamenti. Tanti writer, per dire, sono rimasti “autentici”, alcuni, cambiando, sono migliorati e altri sono peggiorati. Ci sono poi quelli che non hanno avuto un passato nei graffiti o nella Street Art e si sono approcciati al muralismo. Per quel che mi riguarda penso che il cambiamento mi abbia migliorato. Non penso infatti di aver avuto mai un buon “flow” quando disegnavo le mie lettere.
Che tecniche utilizzi? Cambiano o sono cambiate nel tempo?
Naturalmente il cambiamento di stile ha fatto in modo che anche la mia tecnica cambiasse. Da 4-5 anni utilizzo solo più pennelli e pittura murale per i miei dipinti. Questo mi permette di avere maggiori soluzioni tecniche rispetto allo spray. Le bombolette sono comunque lo strumento con cui ho imparato a dipingere, anche se penso che siano più adatte alla gestualità. Il mio modo di utilizzarle, nell’ultimo periodo, era diventato noioso e non mi divertivo più, questo mi ha spinto al cambiamento. Sono aperto a qualsiasi tipo di cambiamento tecnico pur di riuscire a esprimermi al meglio su muro.
La Street Art in Italia e all’estero: affinità e divergenze.
Da quando c’è internet credo che sia difficile distinguere in generale tra un artista italiano e uno estero. Per quel che mi riguarda, penso di aver attinto tanto dal passato artistico italiano; nei miei dipinti c’è del Futurismo ma anche l’arte rinascimentale.
Come si evolverà, secondo te, la Street Art nei prossimi tre anni? Cosa ancora può essere fatto, in Italia, per divulgarla e farla conoscere?
È una domanda a cui non vorrei rispondere, ci sono molte persone che si occupano di questo: organizzatori, critici, galleristi, ecc. e penso che loro potrebbero rispondere meglio. Io mi limito a dipingere. Internet rappresenta e rappresenterà sicuramente uno snodo fondamentale.
Il rapporto tra arte e social network in che modo si svilupperà, secondo te?
Difficile capirlo. È un mondo veloce, spero che il web marketing non prevalga sulle capacità degli artisti, o meglio che la gente non si concentri sul “personaggio” ma sull’arte. Abbiamo la possibilità nel palmo di una mano di vedere giovani artisti veramente validi, non concentriamoci sull’aperitivo in piscina a Miami del personaggio che dice di essere uno “street artist”.
Viaggi parecchio per lavoro e hai realizzato opere in tante parti del mondo: in quale luogo vorresti tornare per qualche giorno, oppure magari per viverci?
Mi viene da dire che più che tornare vorrei andare in tanti posti in cui ancora non sono stato. Una città in cui tornerei volentieri è comunque San Francisco, mi ha decisamente lasciato qualcosa, ma anche Parigi, Londra, Roma. So comunque che vorrei continuare a vivere qui, vicino a Torino.
Progetti per il futuro?
Le prossime tappe sono Amsterdam, Milano, Eindhoven, Ottawa, Dormunt e Mosca per i muri, poi a novembre farò una personale a Denver, in Colorado, in cui realizzerò una grande installazione alla quale sto lavorando. Il progetto per il futuro è creare.
‒ Alessia Tommasini
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