L’arte urbana raccontata da Luca Rancy
Nuovo appuntamento con i protagonisti della scena street italiana contemporanea. Stavolta a prendere la parola è Luca Rancy.
Luca Rancy è uno street artist italiano, designer pluripremiato, illustratore.
Laureato al Politecnico di Milano, ha studiato graphic design, interior design, web design, pubblicità e moda. Ha all’attivo numerose collaborazioni in Italia e all’estero ‒ tra le tante collaborazioni, ricordiamo quelle con Elio Fiorucci (2011 e 2012), Mr. Wany, Zoow 24. Ha esposto in numerose mostre, come ad esempio alla Triennale di Milano (2006 e 2011) e al PAC. Sarà presente quest’anno alla Design Week di Milano dal 9 al 14 aprile con il progetto Poli Urban Colors.
Vorrei partire da una domanda che di solito si rivolge alla fine: ci racconti cosa hai in cantiere adesso? Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Concluso il lavoro in via Gallarate con Smart Milano, mi sto occupando, sempre in città, di un progetto di rivitalizzazione con il Politecnico nel campus di design e ingegneria nel quartiere Bovisa, Poli Urban Colors, previsto per la Design Week. Dipingerò con 2501, Luca Barcellona, Zedz e venti studenti del Politecnico, selezionati attraverso una call inoltrata dall’Ateneo, il tutto patrocinato dal Municipio 9 e dal Comune di Milano.
Altre idee sono in cantiere, non solo a Milano, ma è troppo presto per parlarne. Di sicuro mi darò sempre più da fare per promuovere l’arte e rinfrescare culturalmente il contesto urbano.
Da anni ti occupi di graffiti e Urban Art. Quanto è cambiata nel tempo?
Nel 2003, quando ho iniziato a fare graffiti, la scena era molto diversa. Il modo di vivere questo movimento culturale era più spontaneo, più vero, con tanti valori; ci si trovava in strada, in piazza, in stazione a guardare chi rollava nella linea e a fotografare quello che si dipingeva, le situazioni in metropolitana… Poi muovevamo come agenti segreti. Le riviste sui graffiti erano preziosissime, collegarsi a internet era un’impresa e qualche sito stava nascendo, ma appunto si viveva molto di più la strada rispetto a oggi.
Poi sono arrivati il web e ancora di più i social, che hanno rivoluzionato il modo di vivere i graffiti e successivamente l’Urban Art. Da un lato hanno contribuito a dare quella visibilità che ha permesso una maggiore accettazione e riconoscimento da parte della società; dall’altro, però, hanno fatto sì che ci si riempisse di copie, fake ed esperti da divano, rendendo fondamentale esercitare una necessaria distinzione fra chi è credibile e chi no, chi ha un background reale e chi usa quello degli altri per presentarsi per quello che non è. Una volta giravi in strada e chi c’era, c’era. In ogni caso, i graffiti, poi successivamente l’urban art, hanno avuto un aumento di attenzione positiva, grazie alla diffusione virale sul web, promuovendo tutto il movimento.
La tua definizione di Street Art e Urban Art.
La Street Art è un opera d’arte che lancia un messaggio disegnato senza autorizzazione per strada da qualcuno con un background di graffiti writer. L’Urban Art è in parte un’evoluzione: arte autorizzata, sempre in strada, che riqualifica una strada, una piazza, un non luogo. Non deve necessariamente lanciare un messaggio di protesta come fa la Street Art. La mission è l’estetica urbana rivalorizzata e rinfrescata; se poi si aggiunge un messaggio o un tema che faccia ragionare su un certo argomento, tanto meglio. Per me è fondamentale che l’artista abbia un background di graffiti /writer perché ciò dà credibilità: troppo facile svegliarsi una mattina, prendere in mano un pennello, farsi autorizzare un muretto dietro casa e definirsi street artist / urban artist. Per me si chiama decoratore murale.
Cosa ti piacerebbe venisse fatto di più nelle città italiane per valorizzare e diffondere l’Urban Art?
In Italia siamo indietro sulla cultura dell’arte urbana in generale, sia legale sia non autorizzata. Paesi come Francia, Germania, ma anche Paesi dell’Est Europa, sfoggiano da anni opere d’arte a cielo aperto e sono meta di turismo artistico, per non parlare poi di altri continenti; mi piacerebbe che l’Italia, il Paese dell’arte per eccellenza, smettesse di pensare quasi solo al passato e creasse maggiori opportunità per una “rinfrescata” all’ambiente urbano. Abbiamo tantissimi talenti artistici: pensare che, anche in quest’ambito, debbano crescere all’estero, mi rende triste.
Quali sono i tuoi riferimenti artistici?
Prendo ispirazione prima di tutto dalla New York Anni Settanta e Ottanta, per poi guardare un po’ ovunque. I miei riferimenti sono tutti legati al mondo dei graffiti, poi guardo anche urban artist come i Lowbros, Sobekcis, Orphe, Pantone, Rime, Muro, Pichiavo e molti altri. Tutti a ogni modo con un background di graffiti.
Chi ti piace fra gli emergenti?
Negli ultimi anni l’arte visiva si sta evolvendo su diverse strade, una fra tutte attraverso la video arte. Mi piace molto il mio amico Aloha Project, perché stimo la sua dedizione nei progetti. Tornando all’Urban Art, stanno cambiando stili e modi di lasciare l’impronta sulla superficie: mi piacciono sia opere con linee molto dinamiche sia chi propone qualcosa di geometrico, con uno studio di base sotto.
Un lavoro, una realizzazione o un’opera tua alla quale sei particolarmente affezionato e perché.
Ne dico due: la prima è la sedia Milano disegnata insieme a Elio Fiorucci ed esposta in Triennale. Tutto il processo di creazione e il tempo con lui sono stati importanti per me. La seconda è quella del progetto Volere è potere, simbolico per molti aspetti. Dipingere insieme a Ozmo e Zed1 è stato fantastico: la zona ha visto recapitarsi tre bombe artistiche in un colpo solo!
Il futuro della Urban Art nei prossimi tre anni, secondo te.
Gli artisti non street che vorranno fare Urban Art aumenteranno sempre più, starà ai curatore scegliere che tipo di carattere dovranno avere gli interventi. La speranza è di un’Italia colma/traboccante di Urban Art, di un nuovo linguaggio contemporaneo che si aggiunge al suo immenso patrimonio artistico.
‒ Alessia Tommasini
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