Dai grandi classici alla Street Art. Intervista a Ravo
Parola allo street artist originario di Varese che trasforma i grandi classici dell’arte in opere dal sapore fortemente contemporaneo.
Andrea Ravo Mattoni, in arte Ravo, è uno street artist di Varese con una grande passione per la storia dell’arte e per grandi pittori del passato, in particolare verso il Barocco e Caravaggio, con il sogno di riuscire a realizzare il prima possibile una sorta di museo a cielo aperto. Il suo desiderio di creare un ponte tra passato e presente ha dato vita al suo progetto del recupero del classicismo nel contemporaneo
La sua la formazione è quella di uno studente uscito dall’Accademia di Brera con un’adolescenza da “graffitaro”, pur avendo alle spalle una famiglia di artisti affermati. Dai disegni con matite e pastelli, fin dall’adolescenza, l’artista ha avuto modo di comprendere quale fosse la sua personale visione creativa.
La tua definizione di Street Art.
Premesso che io mi reputo un artista che si confronta con l’arte pubblica, credo che il termine Street Art sia utilizzato spesso in maniera errata, o più semplicemente utilizzato come etichetta generica per definire un mondo molto più vasto e differenziato di quanto si possa immaginare. Innanzitutto c’è una sostanziale differenza fra il mondo del writing e la Street Art (Urban art), anche se non esiste una netta linea di confine. Ad esempio io provengo dal mondo del writing, ho iniziato nel 1995, faccio parte della seconda generazione di writer italiani, ero legato al mondo dell’hip hop degli Anni Novanta e successivamente, nel 2002, quando ho iniziato a frequentare l’Accademia di Brera ho abbandonato l’utilizzo delle bombolette spray e dei graffiti per dedicarmi a una ricerca in ambito prettamente pittorico. Poi ho unito questi due mondi, lo spray e la mia passione per la pittura classica, non sono ripartito lavorando in un contesto di illegalità, ma confrontandomi con istituzioni, musei o festival che accogliessero il mio progetto.
Tutto ciò che valore ha per te?
Questo, secondo il mio punto di vista, non fa di me uno street artist, piuttosto un “pittore che utilizza le bombolette spray” e che sta sviluppando un progetto d’arte pubblica. Detto questo, credo che per definire il termine Street Art ci sia bisogno di conoscere a fondo la storia e lo ricerca di ogni singolo artista che sia “etichettato” con questo termine, creando degli strumenti per poter analizzare al meglio tale macro mondo. Saranno la storia e la ricerca a dettare una definizione sicuramente molto più precisa di quanto possa fare io.
Perché proponi opere classiche? Cosa possono raccontarci i classici oggi?
Il mio progetto è nato da un’esigenza ben precisa, creare un ponte tra la strada e le istituzioni museali. Porto avanti una tradizione antica, quella della copia, la stessa che veniva praticata nelle botteghe di pittura, la stessa che ha permesso la diffusone di molte correnti e stili in tutta Europa; ho riletto questa pratica in chiave contemporanea con una tecnica moderna e su macro dimensioni, e valutando di volta in volta la correlazione con il territorio. Questo è un aspetto fondamentale. Quando mi viene proposto un progetto, valuto quale potrebbe essere il dipinto da riproporre, come è successo in Sardegna con Il maestro di Ozieri, a Gaeta con Scipione Pulzone detto il Gaetano o a Varallo Sesia con Tanzio da Varallo e Gaudenzio Ferrari. Un altro aspetto chiave del mio progetto è quello didattico.
Spiegati meglio.
Durante la realizzazione dei miei interventi, svolgo regolarmente delle lezioni sulla strada, in accordo con i Comuni o i musei che mi ospitano. Vengono organizzati degli incontri con scuole elementari, medie o superiori; l’aspetto più interessante è creare una sorta di cortocircuito. I ragazzi giovani o giovanissimi sono affascinati dall’utilizzo dello spray e si trovano di fronte a una vera e propria lezione di storia dell’arte a cielo aperto. Le maestre o professoresse e professori, che magari vedono in questo mezzo qualcosa di negativo, rimangono sorpresi dal fatto che si possano utilizzare gli spray per ricreare dei grandi classici.
E dunque cosa possono raccontare i classici oggi riproposti in questa maniera?
Possono unire generazioni, far amare la grande storia dell’arte e dare più senso al patrimonio artistico e culturale di cui è intriso il territorio europeo. Incuriosire sconosciuti, far comprendere a chi non ha avuto la fortuna di studiare, e che ha una sorta di timore reverenziale nei confronti dell’arte, che i musei sono aperti a tutti e sono lì anche per loro. Si può apprezzare una grande opera di Bach o Mozart anche senza aver studiato musica e solo dopo ci si può appassionare. Vale lo stesso per l’arte classica e la grande pittura, è per questo che molte volte mi definisco un direttore d’orchestra che presenta una grande opera. Infine credo che la pittura classica riproposta in questa chiave sia fortemente contemporanea e attuale.
I tuoi maestri, i tuoi punti di riferimento…
Provengo da una famiglia di artisti, i miei punti di riferimento sono stati in primis mio padre Carlo, artista concettuale e comportamentale, mio nonno Italo Giovanni, pittore e illustratore di alcune delle più importanti serie di figurine Liebig e Lavazza, e mio zio Alberto, illustratore e creatore del personaggio di Lillibeth sotto lo pseudonimo Matal. Anche un caro amico da poco deceduto, il grande Luciano Giaccari.
Cosa secondo te è importante nel rapporto tra social network e diffusione dell’arte?
Internet ha cambiato molti aspetti della diffusione dell’arte, se penso a come avevo accesso alle informazioni negli Anni Novanta, quando facevo graffiti, dove una fanzine o una rivista di settore erano per me come dei tesori da custodire gelosamente e da cui carpire informazioni. Penso anche alla documentazione fotografica dei miei lavori, che doveva passare prima dalla macchina fotografica a pellicola poi dal fotografo per lo sviluppo e infine nelle mie mani (sempre che fossero venute bene le fotografie). Mi sento di dire che tutto è radicalmente cambiato, ora il mio lavoro può essere visto in tutto il mondo nell’arco di pochi secondi, ho accesso illimitato a informazioni e immagini. I social network hanno agevolato e stanno agevolando il mio percorso, e sono un aspetto fondamentale del mio progetto. Pochi anni fa Facebook era la piattaforma più importante, oggi Instagram sta diventando fondamentale per il mondo dell’arte. Che piaccia o no, musei, galleristi, critici, curatori e artisti possono “osservarsi”, scambiarsi messaggi dalla stessa piattaforma in pochi secondi, e ciò fa sì che il mio lavoro ne tragga vantaggio. Ovviamente dipende tutto da come lo si utilizza, ma lo trovo estremamente interessante e stimolante.
Ci racconti del tuo incontro con il direttore del dipartimento educazione del Louvre?
Il mio incontro con Cyrille Gouiette è avvenuto inizialmente con uno scambio di email. Era molto interessato al mio lavoro e poco tempo dopo è venuto in Italia (nello specifico a Varese) per vedere due muri che avevo realizzato. Da lì è nato un rapporto professionale e di amicizia che dura tuttora; sono andato in Francia a lavorare per la prima volta a inizio 2018 e Gouiette mi ha messo in contatto con varie persone che si occupano di Urban art in Francia, fra cui Nicolas Laugero Lasserre, collezionista, direttore di Icart e di Art42 e fondatore di Fluctuart a Parigi. Successivamente sono entrato in contatto con Bob Jeudy, presidente dell’associazione le M.U.R. Oberkampf, una vera e propria istituzione dell’arte urbana francese. Ho collaborato con il museo del Louvre per due importanti progetti, uno all’università di Nanterre e uno nei Jardin des Tuileries (davanti alla piramide del Louvre). Quest’anno sarò impegnato nella realizzazione di sei muri in Francia per vari progetti.
Che evoluzione intravedi per il prossimo futuro della Street Art?
Credo che l’arte urbana o Street Art avrà un ruolo importante per il futuro, innanzitutto perché ha rappresentato e rappresenta un periodo storico molto ampio, ma l’aspetto più importante sarà il ruolo di chi studia questo “fenomeno”, chi scrive a riguardo, chi cataloga e chi cerca di trovare un fil rouge in questa immensa foresta. Ciò non vuol dire che tutto quello che appare sulla strada sia di conseguenza valido o degno di nota, ci sono molti aspetti sopravvalutati e molti altri invece sottovalutati, ma credo sia arrivato il momento di fare un po’ di chiarezza. Questo sarà il miglior aspetto nell’evoluzione del fenomeno, ma non sono io a doverlo decidere, non è il mio mestiere. Il mio mestiere è dipingere, il mio mestiere è fare pittura e far sì che la pittura torni a parlare.
Italia vs. Estero. Dove hai trovato situazioni migliori, secondo la tua esperienza, e perché?
Ho trovato situazioni eccellenti sia in Italia sia all’estero, mi sono trovato benissimo in Francia, Spagna, Belgio, Inghilterra, Svizzera. Il mio sogno fin dall’inizio era trovare un confronto e una collaborazione con le istituzioni museali, e prima del Museo del Louvre c’è stata la collaborazione con la Pinacoteca e il Comune di Varallo Sesia, la prima istituzione museale con cui ho lavorato, ed è stata un’esperienza magnifica. In Francia la differenza principale è che le persone sono molto più abituate a confrontarsi con l’arte urbana; basti pensare ad artisti come Ernest Pignon-Ernest, Popay o Speedy Graphito (questi ultimi due miei cari amici, con cui ho dei progetti in cantiere) ‒ solo per citarne alcuni ‒ o semplicemente osservare in che anni hanno iniziato a confrontarsi con l’arte urbana per capire come un’intera nazione sia più preparata.
Cosa si potrebbe fare di più per diffondere e far conoscere l’arte?
Penso che quando si inizia pensare a un progetto di arte urbana o a un festival sia bene affidarsi a dei bravi curatori che lavorino nel settore, in Italia ne abbiamo tanti, e non affidarsi esclusivamente a una ricerca da “social network” per fare una selezione. Ma è solo un mio modesto parere, non essendo neanche questo il mio mestiere
Una tua opera alla quale sei particolarmente legato.
Le opere a cui sono più legato sono due: una è Le Tricheur a l’as de carreau di Georges de la Tour, realizzato a Parigi in collaborazione con il Museo del Louvre presso l’università di Nanterre, perché è stata la prima collaborazione con il museo e in secondo luogo perché è stata una sfida realizzare un dipinto così complesso di un pittore estremamente raffinato come La Tour utilizzando lo spray. Il secondo lavoro a cui sono particolarmente legato è il Sant’Andrea di Pier Francesco Mola, realizzato su un muro della galleria Artrust di Patrizia Cattaneo Moresi in Svizzera. L’opera si trovava all’interno della mia esposizione personale presso la galleria. È un progetto che rivivo con grande soddisfazione, soprattutto perché all’interno dell’esposizione era collocata anche un’opera originale del Mola.
Progetti per il futuro?
Ho molti progetti in cantiere, ho un calendario molto fitto che copre già parte del 2020, sarò impegnato in Francia in diverse città, tra cui un grande progetto a Parigi, e avrò diversi appuntamenti in Italia e Svizzera, fra cui la Urban Art Fair con la galleria Artrust. Ho appena concluso un grande progetto al Chateau Royal d’Amboise, dove è sepolto Leonardo da Vinci per celebrare i 500 anni dalla morte.
‒ Alessia Tommasini
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