JR e la Piramide del Louvre. Riflessioni sull’effimero, la strada, i musei

Un progetto complesso, un cantiere faticoso, un esercito di aiutanti, un’opera monumentale. Eppure effimera. Durata niente. L’illusione ottica progettata da JR per la piazza del Louvre non esiste più. Se non nelle fotografie e nei video. La legge della strada torna a far riflettere. E a innescare cambiamenti. Anche nei grandi musei.

La Piramide di vetro del Louvre è emersa da un cratere come un oggetto mistico, un’apparizione magica. Fenomeno impossibile nel cuore della metropoli, il tromp l’oeil monumentale ha avuto vita breve: giusto il tempo di imparare a crederci, con uno sguardo dall’alto, e poi è svanito, così com’era arrivato.
JR (Parigi, 1986), aiutato da una squadra di 400 persone, ci ha lavorato per giorni, senza sosta: costruire l’immagine, striscia dopo striscia, carta su carta, pezzo a pezzo, ricoprendo l’intera area attorno alla Piramide di Ieoh Ming Pei, dal pavimento della piazza alle scalinate reali, dalle panchine fino alle piccole piramidi satelliti… È l’ultima impresa di uno tra gli artisti francesi più noti, mago del collage fotografico en plein air e infaticabile viaggiatore, che a ogni latitudine ha seminato i suoi esperimenti visivi e sociali. Uno che – arrivato dal milieu dei graffiti parigini – ha sempre lavorato in strada: allo spazio pubblico, alle comunità umane, alle differenze tra i popoli e le persone, ai segni condivisi e ai volti genuini, continua a riservare il suo sguardo affettuoso e il suo impegno civile. Il cinema, il teatro, i musei e gallerie sono arrivati via via, a livelli altissimi. Ma è la sua street photography, concepita in forma installativa e partecipata, che ha costantemente guidato il cammino.

La Piramide del Louvre modificata da JR nel 2016. Ph. Flickr CC by fdecomite

La Piramide del Louvre modificata da JR nel 2016. Ph. Flickr CC by fdecomite

LA PIRAMIDE CAMBIA VOLTO. UN MIRAGGIO DA IMMORTALARE

L’inganno ottico progettato per il trentesimo compleanno della Piramide del Louvre è rimasto top secret fino alla fine. Tenendo col fiato sospeso i media, il pubblico, gli estimatori. E tutti i parigini, naturalmente. A partire dai pochi fortunati che lo spettacolo hanno potuto goderselo dal vivo. Carta, semplicemente carta. A comporre un’illusione fatta di segni, linee e volumi in bianco e nero, simulando l’enorme cavità da cui l’architettura mitologica sarebbe affiorata, in un tempo aurorale, in un mondo parallelo: chissà quando, chissà come, per mano di chi. La finta prospettiva cava ha mutato l’aspetto del celebre scorcio parigino, ma solo per pochissimo tempo.
L’immagine era opposta a quella ideata nel 2016, quando JR volle far sparire la Piramide, incollando – stavolta su una delle sue tre facce – centinaia di porzioni di carta raffiguranti il prospetto del museo alle spalle. L’effetto anamorfico generava una perfetta sovrapposizione, tanto che il monumento pareva assorbito dal palazzo. Tre anni fa la sparizione, colta da un punto preciso della piazza; quest’anno l’emersione, con vista a volo d’uccello: un concept unico, la cui fruizione ideale resta quella iconografica, attraverso la foto-documentazione realizzata dalla giusta angolazione e poi diffusa sul web. Immagini di immagini, per lasciare testimonianza di costruzioni effimere a misura di uno spazio pubblico trasparente, liquido, metamorfico.

JR, l'intervento sulla Piramide del Louvre, Parigi 2019

JR, l’intervento sulla Piramide del Louvre, Parigi 2019

IMMAGINI EFFIMERE, COME LA VITA

E in effetti, dopo mesi di progettazione e giorni intensi di cantiere, il sipario è calato. Niente è rimasto: già all’indomani dell’opening l’installazione veniva distrutta, strappata, smontata, rovinata. Qualcuno portava via con sé dei frammenti, come feticci o memorie preziose. Carta, sotto il cielo di Parigi, tra i passi di migliaia di persone. Un peccato? Un delitto? Ma no. Semplicemente lo spirito con cui JR concepisce il suo lavoro, in forma di evento, epifania, traccia potente e fragile. Opere consegnate al mondo, alla pioggia e al vento, agli occhi di tutti, alle loro buone o cattive intenzioni, ai progetti successivi, ad altre immagini che verranno, ai muri, alle piazze, ai monumenti e agli edifici, che – come temporanee superfici da risignificare – torneranno a essere quel che sono o qualcos’altro ancora.
Lo ha scritto, l’artista, in uno splendido post pubblicato lo scorso 31 marzo sulla sua pagina Facebook, a commento della nuova impresa: “Le immagini, come la vita, sono effimere. Una volta incollata, l’opera d’arte vive da sola. Il sole asciuga la colla leggera e con ogni passo la gente strappa pezzi della fragile carta. Il processo è tutto nella partecipazione di volontari, visitatori e cacciatori di souvenir. Questo progetto riguarda anche la presenza e l’assenza, la realtà e i ricordi, l’impermanenza“.
Il 2 aprile un altro post: “Quello che resta adesso sono i ricordi delle persone di tutto il mondo, venute qui per incollare l’opera, o per camminarci sopra e strapparla, facendola sparire“.
Una micro lezione sull’arte pubblica, vista dalla parte di un fotografo-graffitaro, riconquistando luoghi pronti ad accogliere scritture minime o capolavori ardimentosi. Luoghi che sono, anche e soprattutto, occasioni di partecipazione: quello che conta, e quello che resta, sono i passaggi, gli incontri, le relazioni. Che si tratti di immagini sotterranee oppure mainstream, illegali o su commissione, urlate o sottili, impenetrabili o da decodificare al volo. In ogni caso la chiave è in quella rapidità, nella forza del miraggio e nel coraggio di poterne fare a meno. Presupporre la fine e lasciarla venire, se viene.

L'opera di JR distrutta, nel tweet del giornalista Stéphane Joby

L’opera di JR distrutta, nel tweet del giornalista Stéphane Joby

IL MUSEO E LA STRADA. L’ARTE SECONDO JR

Concetto ribadito dall’artista, a voce, in un micro video lanciato in forma di “storia”: nella fugace ripresa della piazza del Louvre l’opera appare ridotta a brandelli. La gente strappa, raccoglie pezzetti, ci cammina sopra. JR parla e si sofferma ancora sul senso della gioiosa sparizione. In contrasto, per altro, con la solenne missione conservativa del museo. Da un lato un tempio grandioso, intitolato alla memoria e alla custodia del sapere e della bellezza; dall’altro un’idea dell’arte che è tutta nei processi aperti e contaminati, nelle forme di riappropriazione urbana, nell’istanza identitaria e nel suo superamento, nell’esercizio di riscrittura dello spazio condiviso, nel gioco dei codici e degli stili, nel continuo transitare, scrivere, dipingere, fotografare. Così il paesaggio cambia, ancorato all’incisività dell’immagine e alla sua dissoluzione, al gesto intellettuale e alle linee ingovernabili del caso.
L’opera di JR, la cui vocazione monumentale è pari alla sua rivendicata fragilità, risuona oggi come intelligente testimonianza nel perimetro di un dibattito complesso sul Writing, la Street Art e i molti cambiamenti in corso. Passata dall’underground al sistema ufficiale, dalla logica della rivolta alla liturgia dei permessi e delle committenze, l’arte del graffiti e dei murales è oggi ripensata nel solco del mercato e di tutto ciò che ne consegue: collezionata, commissionata, musealizzata, staccata dai muri, conservata, restaurata (persino quando rimane in strada). Fino a quanto e con quale senso? Dov’è il limite tra naturale evoluzione e deriva?

JR fa una sua sintesi personale. E dal cuore del sistema, a 36 anni, oltre ribellismi e retoriche clandestine, prosegue il suo viaggio. Nell’impegno di un lavoro culturale che può contribuire a modificare immaginari, percezioni, stereotipi, narrazioni, contesti del vivere comune.
E magari, a proposito di sistema dell’arte, a cambiare talvolta sono proprio i musei, le istituzioni: la spinta di certe immagini e di certi approcci riconnette al presente e rimette in discussione i format, le collezioni, i palinsesti, la retorica dei monumenti. Vero detonatore di mutazioni radicali, l’opera torna al centro: un dispositivo aperto, che muta i meccanismi della visione, della fruizione e della simbolizzazione del reale. Il Louvre, in fondo, ha messo sotto i riflettori del mondo un’idea di antimonumento perfettamente in armonia col suo contrario, piazzando l’iconico corpo piramidale dentro a un teatro collettivo, effimero, visionario, intitolato alla festa, all’utopia e alla distruzione. Un modo diverso di celebrare. E il museo, tutt’intorno, vegliava. Imponente, sontuoso, sul bordo (lieto) del conflitto.

– Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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