Una statua per Bud Spencer a Livorno. L’arte pubblica nell’era dei populismi
A Livorno compare un omaggio al mitico attore italiano, amatissimo da generazioni di fan e simbolo di un certo cinema commerciale, ingenuo, artigianale. Buffa, lontana da qualunque estetica contemporanea, l’opera è in buona compagnia. A Livorno, come in tutta Italia. L’arte pubblica, al di là di una certa piega populista e ruffiana, perché non interessa più le amministrazioni?
È comparso sul lungo mare di Livorno, all’altezza dello Scoglio della Regina, incorniciato da un radioso tramonto. 2 giugno, Festa della Repubblica: con una cerimonia ufficiale, in presenza delle autorità locali e della folla plaudente, tra degustazioni di salsicce e fagioli, si accoglieva un fiero Bud Spencer, icona pop legata a quel mondo dei b-movie e dei filmetti commerciali, che a suon di sganassoni, risate, ammiccamenti sexy e tenerezze sentimentali, avevano incollato allo schermo generazioni di adulti e ragazzini.
E rieccolo Bud, celebrato da un monumento popolare in cui riconoscersi, tutti insieme, fra ricordi d’infanzia, trastullamenti televisivi, dvd, giornaletti, poster alle pareti. Un profluvio di feticci leggeri, interscambiabili, immortali.
Un po’ la versione plastica di quel che accade in molte città italiane, con una Street Art divenuta infinita collezione di facce note, omaggi a personaggi di ogni sorta, tra sport, cinema, musica, politica, social network o salotti tv, concepiti nel segno di un enfatico fotorealismo o di una pessima mimesi artigianale. Enormi pop up, maxi figurine, replicanti a una dimensione, saturando metropoli e assecondando l’immaginario fluido, il divismo al ribasso, il gentismo ruffiano, le nuove forme di nevrosi devozionale, i gusti e gli stereotipi diffusi, amplificati dal ventre della macchina mediatica. In assenza di distanza storica e rielaborazione culturale. Il web, del resto, lo fa ogni giorno in modo virale.
CIAMPI? MEGLIO BUD SPENCER. UN’OPERAZIONE DAL BASSO
In questo caso non è un murale ma una statua. Un pupazzone in vetroresina dipinto di blu e abbigliato da marinaio, piazzato in strada con tutto il disagio di una presenza goffa, tra il sinistro ed il kitsch. Talmente fuori contesto, così stucchevolmente ingenuo, da arrivare a possedere una strana aura maldestra, dolciastra. Seduzione al rovescio. A suo modo in corrispondenza con quel coté amatoriale, scanzonato, pasticcione, anti-intellettuale, volutamente alla buona, che i film di Bud Specer e Terence Hill incarnavano con candore.
E lo ha voluto fortemente, il sindaco Nogarin, questo giocattolo grezzo a dimensioni reali, che pare uscito da un lunapark anni ‘80 o da un corteo carnevalesco. E che una ricerca formale di altro tipo avrebbe forse potuto rendere più intrigante, più interessante.
Non che a Livorno ci sia nato, il compianto attore ed ex nuotatore di origini partenopee, all’anagrafe Carlo Pedersoli, il cui mitico nome è legato a titoli cult del genere spaghetti-western o dei classici polizieschi alla amatriciana, da I Quattro dell’Ave Maria a Miami Supercops. Niente a che spartire con la città toscana, a parte due film, girati proprio sul litorale livornese: Lo chiamavano Bulldozer (’78) e Bomber (’82).
E a contare è la stata anche la dichiarata passione per Bud del Primo Cittadino di Livorno, eletto col M5S nel 2014 e oggi alla fine del suo mandato. Chiudere la propria esperienza amministrativa con un omaggio pubblico all’eroe d’infanzia: e quando ti ricapita? Non la stessa solerzia e lo stesso entusiasmo per la statua intitolata all’ex Presidente della Repubblica e Governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi – lui sì livornese di nascita – che un comitato civico avrebbe desiderato per la città, col sostegno di alcune istituzioni universitarie. A realizzarla lo scultore Antonio Vinciguerra, ma tra lungaggini burocratiche e intoppi d’ogni sorta, il progetto non è mai decollato. Così come si è arenata l’idea di intitolare a Ciampi la frequentatissima Rotonda d’Ardenza, autorizzata da una delibera da giunta, ma poi ritirata per via delle proteste dei consiglieri grillini: all’autorevole statista non potevano perdonare la vicinanza al sistema bancario e il contributo all’ingresso dell’Italia nell’eurozona. Tra ideologia e perenne campagna elettorale, la cifra populista colpisce ancora.
Anche l’iniziativa in memoria dell’attore è stata spinta da un gruppo di cittadini, riunitisi sulla pagina Facebook “In Onore di Bud Spencer”. Un’altra operazione dal basso – contro cui non sono mancati i giudizi severi, va detto – che ha ottenuto il Patrocinio e la collaborazione del Comune di Livorno, dell’Assessorato alla Cultura e di quello allo Sport. I 18mila euro necessari sono stati raccolti tramite crowdfunding. Autore dell’opera il famoso carrista viareggino Fabrizio Galli.
ARTE PUBBLICA A LIVORNO. QUELLA MADONNINA SUL MOLO
Peccato che l’idea Nogarin non l’abbia prima condivisa con qualche esperto del settore. Un critico autorevole, un curatore, un urbanista, qualcuno abituato a progettare interventi d’arte contemporanea per gli spazi pubblici. Qualcuno da cui prendere consigli, suggerimenti, riflessioni sensate. Del resto, non è prassi quasi per nessuna amministrazione italiana dedicare attenzione e cura agli spazi condivisi e al ruolo che l’arte, rispetto ai luoghi e alle comunità, potrebbe e dovrebbe avere. E non basterebbero i giorni per censire tutte le presenze artistiche, che tra le strade e le piazze di ogni dove, da nord a sud del Paese, ricamano un atlante del brutto, del non senso, dell’improvvisazione, della retorica o della banalità. Lo scintillante Bud Spencer blu cobalto, eseguito da un pur apprezzato e rispettabile artigiano, è l’ennesima nota stonata che lo spazio pubblico di una grande città deve scontare, in assenza di qualunque piano professionale di progettazione, riqualificazione, reinvenzione delle aree urbane, articolazione fra memoria e tradizione.
E a proposito di Livorno, non si tratta di un caso isolato. Nel dicembre del 2014 veniva installata all’imboccatura del porto, davanti alla Torre della Vegliaia, una grande statua della Madonna, a vegliare simbolicamente sugli attracchi e le partenze, gli equipaggi e le imbarcazioni, cuore pulsante dell’antica città marinara. L’opera policroma, alta dieci metri, fu inaugurata in pompa magna, con tanto di benedizione del Vescovo; ne avevano promosso la realizzazione – intercettando anche fondi privati – le varie realtà marittime e portuali livornesi, affezionate all’idea di questa sentinella benedicente, figura verginale che mette subito in connessione il popolo del mare con la sfera celeste.
L’autore è il maestro Paolo Grigò, nato nel ’54 in quel di Cascina, in provincia di Pisa, onesto esponente di quella schiera di figurativi legati a una schietta prassi accademica, localistica: la sua Madonnina è un esempio grazioso e modesto di artigianato sacro, buono per ispirare le Ave Maria degli uomini di mare, in cerca di una benedizione prima di salpare, e per confortare i cuori di credenti, passanti, estimatori di totem religiosi e feste patronali. Arte contemporanea? Ricerca sui temi e i linguaggi del presente? Riflessioni di natura estetica? Non pervenute. Restiamo ancora nel perimetro del gusto popolare e nell’equivoco di uno spazio pubblico intitolato al caso, all’omologazione, alla più scontata idea di tradizione e rappresentazione.
IN MEMORIA DI SNOOPY
Altro esempio? Risale al 4 febbraio 2018 la cerimonia per la presentazione della statua dedicata al povero Snoopy, un cane meticcio ucciso a Livorno nel 2015 da un colpo di carabina, mentre si trovava sul balcone di casa. Un posto d’onore gli fu riservato all’interno del Parco pubblico di Villa Fabbricotti. Presenti all’evento il sindaco Nogarin, i padroni del defunto animale e l’associazione Animalisti Italiani Onlus, che volle supportare il progetto. L’autore è il giovane scultore e scenografo Alessandro Di Cola, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Roma, la cui ricerca – si legge nel suo statement – si concentra “sull’espressione dell’anima che reagisce a vissuti, a sensazioni provate e completate attraverso la loro stessa realizzazione”. E ci avrà sicuramente messo anima e cuore, in questo omaggio cinofilo, come pure in quello collocato dentro al parco Ravizza, nel quartiere romano Monteverde: un monumento ad Angelo, altro cane ucciso e impiccato da un gruppo di balordi, a Sangineto, in Calabria. Nobile il pensiero, quanto discutibile il risultato, nell’esercizio di una riproduzione plastica nutrita di ingenuità, nell’accezione più fiacca di “retorica pop”, scambiata per ricerca contemporanea.
Cagnolini nei parchi come gattini suoi social; madonnine nei porti come crocifissi branditi nei comizi, tra appelli elettorali al cuore immacolato di Maria: tutto torna, a proposito di ruffianerie, populismi e immancabili stereotipi. Accade ovunque, di continuo, tra grandi città e piccole province. Programmi seri d’arte pubblica, guardando alla scena internazionale, progettando, investendo, favorendo nuove semantizzazioni, nuove linee di stile e di pensiero, nuovi ragionamenti tra estetica, urbanistica, storia dell’arte e discorso sociale? Manco a parlarne. Meglio il santino collettivo, che sia cane, madonna, marinaio, Padre Pio, supereroe, beniamino sportivo o televisivo, che sia statua o illustrazione murale.
ESOTISMI E POPULISMI
E per non farsi mancare niente, rimanendo a Livorno – ma potremmo fare altri mille esempi in Italia – ci sono pure le statue lignee realizzate nell’estate del 2018 da una delegazione di artisti di Rapa Nui, meglio nota come Isola di Pasqua, affezionati frequentatori delle spiagge livornesi: il dono suggellò i rapporti d’amicizia tra le comunità locale e quella polinesiana. I monumentali volti, tipici della tradizione scultorea di quei luoghi, presero posto lungo la spiaggia; successivamente uno fu installato al centro della Rotonda di Ardenza (sì, proprio quella che dovevano intitolare a Ciampi), mentre il ritratto della Principessa Moana fu inserito nella hall dell’Acquario pubblico di Piazzale Mascagni.
Se non altro un lieto scambio tra popoli e culture. Per il resto, stessa solfa: possibile che in fatto d’arte pubblica ci si limiti a regali esotici, pittoresche iniziative di comitati civici, passioni private, cliché religiosi e buoni sentimenti collettivi? Quale patrimonio lasceremo, che possa raccontare di noi, di questo passaggio storico, dei conflitti, dei grandi temi, delle dinamiche sociali, dei linguaggi attuali e delle memorie sedimentate, di cui l’arte dovrebbe dare testimonianza e fare continua elaborazione?
Una cosa è certa. Tra il ricordo del cagnolino morto, il pupazzo di Bud Spencer o il celebre ritratto di Maradona a Napoli, da un lato, e – giusto per fare un esempio – l’installazione del ghanese Ibrahim Mahama sui bastioni doganali di Piazza Venezia, a Milano, che alterava un monumento-simbolo misurandosi con globalizzazione, immigrazione e post-colonialismo, è chiaro come si dividano lodi della folla e polemiche superficiali, esultanze popolari e diffidenze. Con la politica a cavalcare queste e quelle, in modo opportunista, pretestuoso, a favore di consenso. E a prescindere dalla qualità tecnica (Jorit è certamente un virtuoso) e dalle estetiche più o meno polverose, moderne, concettuali o artigianali, il tema resta. Populismi d’oggi, per l’appunto: fra arte e politica, ancora una volta, un riflesso necessario.
– Helga Marsala
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati