Il femminismo è roba vecchia? Gli street poster di Cheap tra memoria e attualità della lotta
Sono comparsi a Bologna dei poster graficamente molto ben fatti, che attualizzano la memoria femminista. Un progetto del collettivo Cheap. Temi sociali nello spazio pubblico, ricordando quanto sia ancora decisiva la battaglia per la parità di genere.
In molti storceranno il naso dinanzi all’ultima azione del collettivo bolognese Cheap. Alcune battaglie, perduto l’originario appeal, restano bersaglio di una certa categoria di accuse: radical-chic, politically correct, vezzi borghesi fuori dal tempo. Il femminismo non va più di moda. A stupire è soprattutto l’equivoco di fondo: l’equivalente di “maschilista”, eguale e contrario, non è – come molti pensano – “femminista”. Non si tratta, cioè, di un modello sociale fondato sul matriarcato e sulla supremazia delle donne. Non è un’idea di superiorità culturale e biologica, attribuita alla combinazione cromosomica XX, ma battaglia costante per la parità. Femminismo è diritti equi, opportunità equivalenti, pregiudizi archiviati e nessun esercizio del potere connesso all’appartenenza di genere.
A circa 50 anni dall’exploit delle lotte per l’emancipazione femminile in Europa, culmine di un percorso secolare di consapevolezza collettiva, il senso di quella sfida sembra perduto, confuso, precipitato nell’insofferenza, probabilmente perché ormai al di fuori dalla zona rossa, oltre lo stato d’emergenza. Femminismo, per molti, è parola demodé, persino antipatica, ideologica, pretestuosa.
I POSTER DI CHEAP: SABOTARE CON GRAZIA
Lo sanno bene le ragazze di Cheap, progetto di poster art tutto al femminile lanciato a Bologna nel 2013, costruito intorno a valori, eredità, spunti e riflessioni che dal femminismo attingono, in diverse forme e misure. Artiste, attiviste, affezionate allo spazio pubblico, tra politica e creatività, osservatrici e commentatrici delle dinamiche socio-culturali, sintonizzate sull’attualità ma attente al dato della memoria: sulle grandi conquiste di ieri si imbastisce il senso delle battaglie di domani.
Ogni anno, per dirne una, lanciano una call for artist offrendo una suggestione sempre diversa a graphic designer, fotografe, illustratrici e visual artist, le quali risponderanno inviando dei poster digitali: i migliori verranno stampati su carta e affissi sulle bacheche del circuito CHEAP on BOARD, centinaia di bacheche urbane dismesse, riportate in vita dal collettivo stesso. La strada come casa comune, veicolo di pensiero, identità e immaginazione. Nel 2019 la call ha suggerito il tema “SABOTAGE”, veicolato attraverso poster in strada e post sui social network, con efficaci formule d’invito: “SABOTATE con grazia”, “DISOBBEDITE con generosità̀”, “DEMISTIFICATE con stile”. Un effetto virale fra guerriglia urbana, strategie di comunicazione e finezze di linguaggio.
I POSTER DI CHEAP PER LE LOTTE FEMMINISTE
L’ultima iniziativa è comparsa sul muro dell’autostazione di viale Masini, ancora nel capoluogo emiliano. Grafica semplice, efficace ed incisiva, testi brevi e perentori, scritte a caratteri cubitali, immagini in forma di loghi, brand, illustrazioni essenziali. “Se sei donna e puoi votare, ringrazia una femminista”, ma anche “se sei donna e puoi divorziare”, “sde sei donna e puoi avere una carica politica”, “se sei donna e non perdi il lavoro perché sei incinta”, “se sei donna e puoi sposare chi vuoi”: e via così, per una quarantina circa di street poster, ringraziando chi quei diritti, qualche decennio fa, li aveva difesi strenuamente, contribuendo al loro radicamento nell’immaginario collettivo, prima, e sul piano delle leggi e della politica, poi.
Pare un’era geologica fa, ma era giusto ieri, incredibilmente: la legge che abrogava l’orrido matrimonio riparatore – grazie a cui si estingueva il reato di stupro – veniva approvata nel 1981, grazie alla coraggiosa battaglia della giovane siciliana Franca Viola, vittima di violenza carnale; l’abuso sessuale diventava reato penale, e non più offesa alla morale pubblica, solo nel 1996; il delitto d’onore, che riduceva la pena per chi avesse ucciso il coniuge adultero (maschio o femmina, in teoria), oppure “la figlia o la sorella, al fine di difendere l’onor suo o della famiglia”, era abrogato anch’esso nell’81; del 1974 era il referendum sul divorzio e del ’78 quello sull’aborto.
E ancora, nel 1971 la Corte Costituzionale italiana abrogava l’articolo 553 del codice penale, che vietava la produzione, il commercio e la pubblicità degli anticoncezionali, mentre i consultori nascevano nel 1975 con lo scopo principale di assicurare alle donne supporto psicologico, sociale e sanitario. Quanto al suffragio universale, che dava alle donne la possibilità di votare, veniva istituito nel 1945, appena 74 anni fa.
Il residuo di una millenaria cultura ostile, iniqua, discriminatoria e repressiva resta oggi incagliato nei vizi e negli inciampi del linguaggio, dei comportamenti quotidiani, del sistema mediatico, delle dinamiche familiari e professionali, mentre l’eco di quelle lotte decisive risuona nel lavoro di chi, ancora oggi, coltiva il senso della memoria storica e il pungolo della coscienza, anche a favore di quei luoghi del mondo in cui la conquista dei dritti civili è cosa lontana.
CAMPIONESSE E DILETTANTI
Non a caso, al margine di ogni manifesto della campagna di Cheap, una nota chiarisce il perché di questa attenzione ostinata, per un principio che non tramonta e per una condizione di equità concreta, trasversale e universale, non raggiunta appieno, nonostante la sconfitta di irriducibili stereotipi: “Ci sono ancora molti diritti per cui lottare per raggiungere l’uguaglianza reale tra donne e uomini in tutto il mondo. La lotta continua”. In fondo il link al sito schooloffeminism.org, piattaforma web senza scopo di lucro, impegnata nella diffusione del pensiero femminista attraverso iniziative educative e progetti di comunicazione.
E c’è anche, come lo stesso collettivo ha evidenziato, una forzatura o una non verità tra quella galleria di affiche intitolati all’ideale femminista. Su uno di questi si legge: “Se sei donna e puoi praticare uno sport professionistico, ringrazia una femminista”. Tutto vero, in apparenza, ma nella realtà le cose non stanno proprio così. Le grandi atlete italiane, per l’unica legge vigente che disciplina la materia (91/1981), non sono riconosciute come professioniste, o meglio, non esiste una distinzione chiara tra e dilettantismo e professionismo, indicando con quest’ultima categoria “gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi e i preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse”. I criteri per la distinzione, però, non sono mai stati fissati dal CONI e ad oggi sono solo quattro le Federazioni Sportive Nazionali – Calcio, Basket, Golf, Ciclismo – che hanno riconosciuto al proprio interno il professionismo, ma solo per certi livelli e solo per gli uomini. Le atlete tesserate presso una federazione nazionale sono cioè giuridicamente inquadrate come dilettanti, senza considerare che nessuna disciplina tipicamente femminile prevede una categorizzazione professionistica.
Il vuoto normativo lasciato tra le righe del testo di legge (articolo 2) non trova dunque nessuna contromisura da parte del mondo sportivo. Facile comprendere che il ruolo del mercato e degli sponsor non sia secondario: gli investimenti arrivano là dove l’attenzione popolare è più alta, a discapito delle società minori, degli sport meno seguiti e del salto necessario verso standard professionali (anche sul piano dei compensi).
Tutto questo si traduce in una netta disparità di tipo economico, contrattuale, sanitario, assicurativo e naturalmente di carriera. L’azione di guerriglia creativa lanciata da Cheap riporta l’attenzione su questo assurdo ritardo legislativo: “Il poster è un errore? CHEAP preferisce pensare che sia un memo: il femminismo è più che mai necessario, così come è necessario ricordare che i diritti delle donne sono stati conquistati attraverso anni di lotte politiche e sociali per cui dovremmo tutt* ringraziare chi le ha guidate”. L’arte, l’impegno intellettuale e il lavoro di comunicazione sociale non modificano, direttamente e rapidamente, certe storture. Ma il lento lavoro di semina e di mutazione culturale passa anche e soprattutto da lì.
– Helga Marsala
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