Per una mappatura dell’arte pubblica a Manhattan (I)
New York è ricca di musei, ma con la bella stagione è un peccato rinchiudersi fra quattro pareti, seppur ricoperte di opere e, col MoMA chiuso per lavori, c’è una ragione in più per restare all’aperto e scoprire che anche le strade della città sono zeppe d’arte. Qui un itinerario su e giù per Manhattan, all’insegna della public art.
A New York sono centinaia le opere disseminate tra parchi, piazze, strade, stazioni della metropolitana e hall di palazzi. Fin dagli Anni Sessanta, la città ha creduto nella potenza dell’arte pubblica, creando decine di programmi e fondazioni per commissionare, produrre e acquisire opere permanenti e temporanee da esporre nel contesto urbano.
IN PRINCIPIO ERA IL PUBLIC ART FUND
Tra i pionieri c’è il Public Art Fund, nato nel 1977 e con all’attivo decine di progetti che hanno abituato la città all’inusuale e alla meraviglia. Fra i tanti, alcuni restano memorabili, come il campo di spighe di grano a Battery Park di Agnes Denes (1982) o la cascata di trenta metri sotto il Brooklyn Bridge di Olafur Eliasson (2008).
“L’obiettivo è portare arte della stessa qualità di quella che si può vedere nei musei negli spazi della vita quotidiana”, ci ha spiegato Susan K. Freedman, presidente del PAF, “creando un dialogo con la popolazione, che è così incoraggiata a vedere la città in modo diverso ma anche a confrontarsi con chi sta vivendo quella stessa esperienza. Aver fatto questo per quarant’anni ci dà il grande privilegio di contribuire a creare una sensibilità artistica nel pubblico. Allo stesso tempo, abbiamo la sacra responsabilità di offrire un’esperienza di arte democratica, molto diversa da quella che si ha quando si paga per andare a vedere delle opere”.
La città diventa parte integrante dell’esperienza artistica e, attraverso l’arte, può reinventare i propri spazi. “Alcuni dei nostri progetti sono davvero riusciti a penetrare nella città. In agosto lanceremo un progetto con Elle Perez che riguarderà cento fermate dell’autobus: l’artista ci ha confidato quanto sia importante per loro [per questioni di gender, Perez si riferisce a se stesso/a con il pronome plurale, N.d.A.] che le opere arrivino nel loro quartiere, dove vivono la famiglia e gli amici. Per questo hanno scelto certe zone, dove presenteremo opere che possano entrare in risonanza con quelle comunità”. Il progetto si chiama from sun to sun ed esplora identità e rappresentazione delle comunità portoricane del Bronx attraverso fotografie installate alle fermate dell’autobus dal 13 agosto al 24 novembre.
Ma tante sono anche le opere permanenti che si incontrano passeggiando per le strade della Grande Mela. Per aiutarvi a scoprire questo museo a cielo aperto, abbiamo ideato un percorso da fare a piedi a Manhattan. La doverosa premessa è che si tratta di una selezione senza pretese di esaustività. C’è molto altro da vedere in città e, a seconda dei gusti, si possono aggiungere o saltare alcune tappe. Questa è una proposta, una passeggiata – pensata per farvi stare all’aria aperta.
DOWNTOWN E LOWER MANHATTAN (DA BATTERY PARK ALLA 14TH STREET)
Diamo per assodato che abbiate già fatto la classica camminata a Battery Park, dove avrete incontrato opere di Tom Otterness (The Real World, 1992) [1], Ned Smyth (The Upper Room, 1987) [2] e Louise Bourgeois (Eyes, 1995) [3], e liquidato l’immancabile foto con toccatina portafortuna ai testicoli del Charging Bull (1989) di Arturo Di Modica [4]. Dopo la tappa d’obbligo a Trinity Church, proseguendo verso nord su Broadway, arriverete a Zuccotti Park, che nell’autunno 2011 fu trasformata in accampamento e centro operativo di Occupy Wall Street. Ai bordi del giardino trovate Joie de Vivre (1998) di Mark di Suvero [5]: venti metri di acciaio rosso che evocano il Costruttivismo russo, in forte contrasto con un quartiere che è il cuore della finanza americana. Dall’altro lato della strada, un’altra nota di rosso: è il Red Cube (1968) di Isamu Noguchi [6]. Appoggiato su un angolo e proiettato verso il cielo, il cubo sembra opporsi alle scure superfici dei grattacieli circostanti e allo stesso tempo, attraverso un foro centrale cilindrico, si apre verso le architetture che lo circondano.
Imboccando Cedar Street verso est e salendo sul piazzale antistante il palazzo Chase, si incontra un’altra opera di Noguchi, Sunken Garden (1961-64) [7], una fontana circolare dal pavimento a mosaico su cui sono appoggiate rocce provenienti dal fiume Uji, in Giappone. Accanto, una sorprendente scultura di Jean Dubuffet, Group of Four Trees (1969) [8], opera in bianco e nero di circa 14 metri di altezza nel riconoscibilissimo stile dell’artista francese capostipite dell’Art Brut. Scendendo su William Street, all’incrocio con Liberty Street, c’è la Louise Nevelson Plaza che, nel 1977, fu la prima piazza di New York mai dedicata a un artista e che, oltre a essere stata originariamente progettata dalla stessa Nevelson, ospita sette sue sculture dal titolo Shadows and Flags (1977) [9], una serie di “alberi” in acciaio corten nero.
Lasciandosi alle spalle Wall Street e dirigendosi verso la City Hall, si passeggia tra grattacieli storici, fra i quali il grandioso Woolworth Building, ai margini del City Hall Park. Dall’11 luglio all’8 novembre il parco ospita cinque opere di Carmen Herrera, parte della serie Estructuras Monumentales (1967-2019) [10], iniziata dall’artista cubana di base a New York negli Anni Sessanta come manifestazione fisica e tridimensionale delle forme già presenti nei suoi dipinti. L’installazione, a cura del Public Art Fund, si compone di tre opere realizzate appositamente per questa mostra più due mai esposte negli USA. Attraversato il parco, sul lato est della piazza, accanto all’imbocco del Brooklyn Bridge, passando attraverso il David N. Dinkins Manhattan Municipal Building, ci si ritrova in uno spiazzo in cui campeggia la scultura Five in One (1973-74) di Tony Rosenthal [11], una composizione alta 10 metri di cinque dischi in corten dipinto di rosso.
Da qui, con un rapido e radicale cambio di paesaggio, ci si trova immersi nella colorita Chinatown. Attraversandola da sud a nord, superata Kenmare, si entra a Soho, un tempo famosa per la sua scena artistica, oggi costellata di negozi di brand internazionali. Tracce del fermento creativo di un tempo esistono ancora in questo quartiere, ma bisogna saperle scovare tra i costosi showroom, i bei palazzi con le facciate in ghisa e, come nel caso dell’opera dell’artista belga Françoise Schein, sul marciapiede. Subway Map Floating on a NYC Sidewalk (1985) [12], nel tratto di Greene Street tra Prince e Spring Street, è una personalissima interpretazione della mappa della metropolitana di New York, disegnata con barre d’acciaio incastonate nell’asfalto e cerchi di vetro illuminato a indicare le fermate. Proseguendo verso nord, superata Houston Street, ci si ritrova davanti a un complesso di palazzi brutalisti. Nel giardino sul lato di Wooster Street troneggia una statua di 11 metri, riproduzione del più piccolo originale, Bust of Sylvette (1934) di Pablo Picasso [13]. L’opera fu creata nel 1967 da Carl Nesjar, collaboratore di lunga data di Picasso, che autorizzò la riproduzione, realizzata con una mistura di cemento e basalto su uno stampo modellato sull’originale. Proseguendo su Houston verso est, sulla parete di un edificio all’angolo con Broadway si incontra The Wall (1973) di Forrest Myers [14], un grande muro blu dell’altezza di circa sette piani, da cui sporgono travi dipinte di verde, come ad aspettare l’espansione del palazzo. Da qui, camminando per circa cinque minuti in direzione nord su Broadway e imboccando poi Astor Place sulla destra, ci si ritrova nella piazza che segna l’ingresso all’East Village, cuore della cultura alternativa di New York. Al centro dello spiazzo ritroviamo Tony Rosenthal con l’iconico Alamo (1967) [15], un cubo di corten nero di 820 chili, appoggiato su un angolo sul quale ruota, se spinto (meglio se da più di una persona) da una delle sue facce. Noto tra i newyorchesi semplicemente come The Cube, fu la prima scultura contemporanea a essere installata permanentemente negli spazi urbani della Grande Mela.
MIDTOWN (DALLA 14TH STREET A CENTRAL PARK)
Se avete ancora forza nelle gambe, proseguite la vostra passeggiata a nord della 14th Street, lasciandovi alle spalle il Village e dirigendovi verso i grattacieli di Midtown. La nostra prima tappa ci porta a Chelsea, quartiere noto per le gallerie e gli studi d’arte [andatevi a rileggere il nostro reportage del 2013, Artribune Magazine #15, e vedete un po’ se ci avevamo visto giusto a proposito della “crisi” della zona, N.d.R.]. Pietra miliare è la Dia Art Foundation, che qui mise radici già negli Anni Ottanta e che oggi gestisce varie installazioni di arte ambientale nel mondo. A Chelsea, di fronte alla sua sede su West 22nd Street, tra la 10th e l’11th Avenue, la fondazione gestisce 7000 Oaks (1982-96) di Joseph Beuys [16], una fila di alberi di specie diverse, affiancati da altrettante pietre di basalto. Il progetto, che prevedeva 7mila alberi, fu inizialmente proposto da Beuys per la città di Kassel in occasione di Documenta 7 e completato nel corso di cinque anni. Dia lo portò sulla 22nd Street a partire dal 1988, arrivando a un totale di 37 installazioni.
Da qui potete proseguire verso nord passeggiando sulla High Line [vedi il box dedicato] fino al nuovo complesso di Hudson Yards, dove concedervi un momento di gloria social, scattando qualche foto all’instagrammabilissimo The Vessel (2019) [17], la scala verso il niente progettata da Thomas Heatherwick. Appena un paio di isolati a nord-est, all’angolo tra la 36th Street e la 9th Avenue, incontrerete una scultura che sembra sfidare le regole gravitazionali. Ascension (2014-16) [18] è un cilindro in corten fatto di vuoti e pieni, organico e astratto al tempo stesso, opera di Jordan Baker-Caldwell, primo afroamericano a realizzare un’opera d’arte pubblica per Midtown e il più giovane artista con una scultura permanente in uno spazio pubblico di New York.
Continuate in direzione nord-est e arriverete a Times Square. Qui, nel punto più settentrionale dell’isola pedonale su Broadway, tra la 45th e la 46th Street, facendo uno sforzo di attenzione selettiva, tra i rumori del traffico e dei tanti passanti, potrete distinguere un suono diverso, quasi di campane, provenire dalla griglia metallica di areazione sul marciapiede. È Times Square (1977) [19], installazione sonora ambientale di Max Neuhaus. Sempre qui, per tutto il mese di luglio, ogni notte a mezzanotte, sugli schermi di Times Square appariranno le coloratissime immagini dei video-dipinti dell’italiano Federico Solmi. Il suo American Circus (2019) [20], è un ritratto massimalista dell’eterno carnevale di Times Square, surreale collezione di icone, insegne, bandiere, giostre, fuochi d’artificio, popolata da una folla festante, costantemente impegnata in uno spettacolo di intrattenimento, consumo e nazionalismo. Il video, commissionato da Times Square Arts, gira a trecentosessanta gradi sui giganteschi schermi di tutti i lati della piazza, avvolgendo il pubblico e amplificando l’effetto stordente delle mille luci di Times Square.
Proseguendo verso nord e imboccando la 55th Street fino a incrociare la 6th Avenue, generalmente vi trovereste di fronte a una delle più fotografate opere d’arte pubblica della città, la scritta rossa LOVE (concepita nel 1964) di Robert Indiana [21]. Al momento della scrittura di questo articolo l’opera è stata però rimossa per manutenzione: se ne attende il ritorno a breve. Nel frattempo, dovrete accontentarvi della speranza: HOPE (2008) [22], dello stesso autore, è infatti ancora al suo posto all’angolo tra la 53rd e la 7th Avenue.
Spostandosi di qualche isolato a est, all’incrocio con Park Avenue, fino a fine luglio si trova una delle cinque sculture gialle, parte della serie Tension Sculptures (2019), di Joseph La Piana [24]. Le opere, disseminate lungo Park Avenue, tra la 53rd e la 70th Street, sono fatte di una gomma sintetica tesa tra armature in acciaio: una metafora della tensione a cui siamo sottoposti, politicamente e dal punto di vista ambientale, ha spiegato l’artista. Proseguendo verso nord-est, tra Madison Avenue e la 57th Street, ai piedi del palazzo IBM, si incontra uno dei famosi stabiles di Alexander Calder. Con i suoi cinque metri e mezzo di altezza e fattezze da rettile, il metallico Saurien (1975) [23] è una presenza imponente: per entrare nell’edificio bisogna passarci attraverso.
Tornate ora verso ovest fino all’ingresso sud-est di Central Park dove, fino al 1° settembre, potrete godere di una delle opere più belle di questa stagione di arte pubblica, commissionata dal Public Art Fund: Tilted Head (2018) [25] dell’olandese Mark Manders, la metà di un volto appoggiato su una guancia e dagli occhi chiusi. La scultura è in bronzo, ma sembra di argilla e trasmette un senso di non finito, come se l’artista fosse andato via a metà dell’opera.
UPTOWN E HARLEM (DA CENTRAL PARK IN SU)
Se siete sopravvissuti al tour de force di Downtown e Midtown, questa vi sembrerà davvero una passeggiata, ma stavolta, tra una tappa e l’altra, meglio prendere la metropolitana: le distanze sono piuttosto ampie.
Iniziamo dal Lincoln Center, cuore culturale dell’Upper West Side, un’opera d’arte di per sé, che ospita diverse sculture. Ci limitiamo a segnalarne una, Reclining Figure (1963-65) di Henry Moore [26], opera site specific installata all’interno della fontana al centro di Hearst Plaza. La massiccia e sinuosa figura in bronzo evoca un corpo di donna che emerge graziosamente dall’acqua.
Camminando lungo Broadway tra la 64th e la 157th Street, vi imbatterete in una delle specie di uccelli nativi della baia di New York e a rischio estinzione. Si tratta delle dieci installazioni realizzate da Nicolas Holiber per il progetto Birds on Broadway, the Audubon Sculpture Project (2019) [27], in corso fino a fine anno. I volatili sono fatti con legno di scarto, dipinto ma non trattato, in modo che reagisca alle intemperie, per sottolineare le sfide ambientali cui le varie specie sono esposte in tempi di cambiamenti climatici.
Restando su Broadway, all’altezza della 114th Street, si aprono i cancelli del campus della Columbia University, che merita una sosta anche solo per le architetture e i giardini. Ma se questo non fosse sufficiente a farvi arrivare fin qui, a convincervi potranno essere le tante sculture disseminate nel campus. Ce n’è abbastanza per passare qualche ora, ma se avete poco tempo cercate di fare una sosta nel giardino sopraelevato che attraversa Amsterdam Avenue tra la 116th e la 118th Street, dove ci sono sculture di Henry Moore, David Bakalar, Kees Verkade e Gertrude Schweitzer [28].
A questo punto siete ufficialmente a Harlem [un affondo sulla zona l’avevamo fatto su Artribune Magazine #30 nel 2016, N.d.R.] e, tra un concerto jazz e una cena soul food, dovete trovare il tempo di rendere omaggio a una delle pochissime donne afroamericane ad aver ricevuto l’onore di una statua. Lei è Harriet Tubman, che consentì a centinaia di schiavi di fuggire verso la libertà lungo la Underground Railroad. La statua, intitolata Swing Low (2008) [29], è opera di Alison Saar che, nel ritrarre l’eroina afroamericana, ha voluto esplicitamente richiamare l’idea di una “inarrestabile locomotiva” che ha dedicato la maggior parte dei suoi 91 anni di vita alla causa dell’abolizionismo e ai diritti delle donne. Il risultato è una statua di grande carattere e dall’estetica marcatamente afroamericana.
Ci piace chiudere questa passeggiata con la statua di una donna. Sono una rarità in città, così poche (esattamente cinque) che è nata una campagna mirata a creare opere di arte pubblica che celebrino il contributo delle donne alla storia di New York. Sostenuta dalla moglie del sindaco de Blasio, Chirlane McCray, l’iniziativa She Built NYC ha già selezionato un gruppo di cinque donne, una per borough, cui dedicare le prime statue che verranno realizzate a partire da quest’anno.
‒ Maurita Cardone
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #50
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