Sono lontani i tempi in cui la Street Art era relegata al mondo dell’underground e gli street artist erano considerati al pari di criminali. Oggi questa forma espressiva è diventata mainstream ed è protagonista di eventi nelle più importanti istituzioni culturali del mondo, Ma non ha perso la sua vocazione alla critica sociale e a una radicale innovazione del linguaggio artistico. La mostra in corso al Brooklyn Museum, dedicata allo street artist francese JR (Parigi, 1983), ha tutta la carica rivoluzionaria di un evento in grado di attirare grandi folle e allo stesso tempo annientare le barriere tra l’artista, i suoi soggetti e il suo pubblico, tra l’arte e la strada.
LA MOSTRA
Intitolata JR: Chronicles, la mostra ripercorre quindici anni della ricca produzione artistica di JR, fino ad arrivare a The Chronicles of New York City in cui l’artista compone un ritratto multimediale collettivo della città, raccogliendo le immagini e le storie di oltre 1000 persone fotografate e intervistate a New York, nel corso dell’estate 2018. La mostra, che occupa l’intero piano terra del museo di Brooklyn, inizia con un’immagine del 2004 che lo stesso JR ha definito emblematica del suo lavoro e rappresentativa del momento in cui decise di diventare un artista. Al centro della fotografia c’è il videomaker, amico e collaboratore, Ladj Ly, che impugna una telecamera come fosse un fucile, mentre alle sue spalle un gruppo di adolescenti posa, dandosi arie da ragazzi di strada. Quell’immagine fu la prima che JR stampò nelle dimensioni di un cartellone pubblicitario e incollò su uno dei fatiscenti palazzi de Les Bosquets, il “ghetto” di Montfermeil, un sobborgo di Parigi. Sarebbe poi diventata parte della serie Portrait of a Generation. Quando, infatti, nel 2005, nello stesso quartiere, due ragazzi immigrati morirono nel tentativo di nascondersi durante un raid della polizia, le banlieue di Parigi furono sconvolte da tre settimane di rivolte che media e politici non riuscirono a interpretare se non come cieca distruzione e violenza. JR decise così di tornare a Les Bosquets e raccogliere ritratti di quella popolazione cui l’opinione pubblica non sapeva dare un volto. Scattate con un obiettivo 28 millimetri, le fotografie della serie ritraggono molto da vicino volti catturati in espressioni fintamente e buffamente minacciose che l’artista poi stampò e, nottetempo, incollò sui muri (e non solo) della città. Le strade di Parigi furono la galleria della sua prima grande mostra e l’inizio di una carriera artistica in cui la collettività è al centro dell’opera.
FOTOGRAFIA E OLTRE
La passione di JR per la fotografia cominciò per caso, quando nel 2000 trovò una macchina fotografica (qui in mostra) sulla metropolitana di Parigi e cominciò a scattare immagini dei suoi amici street artist, all’opera sui tetti e nei tunnel della città. Nonostante la fotografia sia rimasta il suo mezzo prediletto, JR non si considera un fotografo, il suo lavoro è sempre stato all’intersezione tra diversi mezzi espressivi e l’atto di incollare le immagini sui muri è parte integrante dell’opera. La mostra al Brooklyn Museum tiene conto di questa molteplicità di piani intrinseca al lavoro di JR: molte delle opere in mostra sono infatti accompagnate da un QR code attraverso il quale si può accedere a video (accessibili online) che espandono l’opera e mettono il visitatore in contatto diretto con l’artista stesso che racconta i retroscena del suo lavoro.
Grazie alla visibilità internazionale ottenuta col lavoro sulle banlieue, JR cominciò ad allargare il proprio sguardo al mondo, viaggiando per incontrare comunità caratterizzate da forte conflittualità sociale, emarginazione, povertà, ingiustizia. È del 2007 il suo progetto Face 2 Face, in cui l’artista incollò sui due lati del muro che divide Israele dai territori palestinesi della West Bank, ritratti di israeliani e palestinesi che facevano lo stesso lavoro. A questo progetto la mostra al Brooklyn Museum dedica un’intera parete, richiamando la sensazione del muro divisorio. Una stanza è dedicata alla serie Women Are Heroes, iniziata nel 2008, nella favela di Morro da Providencia, a Rio de Janeiro, in cui l’artista ha fotografato volti e occhi delle donne locali, poi incollati in stampe giganti sulle facciate di 40 case della favela, rivolte verso la città. Al centro della stanza, un’installazione a quinte mobili riproduce l’effetto complessivo dei volti che si affacciano tra le baracche della favela. Negli anni successivi, JR ha poi ripreso il progetto fotografando donne in Cambogia, Kenya, Liberia e Sierra Leone. Altre stanze e corridoi sono dedicati ai tanti progetti realizzati in giro per il mondo: dal video-murale che racconta lo spettro di opinioni sul controllo delle armi negli USA (The Gun Chronicles: A Story of America, 2018) a The Wrinkles of the City (2008-15), con cui l’artista celebra gli abitanti più anziani di diverse città del mondo.
Ognuna delle opere in mostra è un progetto che si sviluppa attraverso diversi mezzi e forme espressive, è la storia di una comunità, è un mondo. Ce n’è abbastanza da trascorrerci un’intera giornata, ma il vero cuore della mostra è al centro dello spazio espositivo, dove ci si ritrova come in una piazza urbana, delimitata sui quattro lati dalle gigantografie dell’ultimo progetto newyorchese di JR, quello da cui la mostra prende il titolo. The Chronicles of New York City è un omaggio alla variegata popolazione della Grande Mela, che JR ritrae in un collage di figure che si accalcano su uno dei palazzi classici dello skyline della città. L’opera è parte di un più ampio progetto, chiamato semplicemente Chronicles, in cui, ispirandosi ai murales di Diego Rivera, JR compone scene di massa che, mentre danno vita a una collettività, suggellano l’individualità di ognuna delle figure che le compongono. Un’individualità che, in questa installazione, l’artista racconta anche attraverso interviste che lo spettatore può ascoltare cliccando sulle singole figure, attraverso dei tablet posizionati al centro della sala del museo.
MURI E COMUNITÀ
Dirigendosi verso l’uscita, si incontra uno dei progetti più d’impatto di questa mostra, quello che ha come protagonista il piccolo Kikito, un bimbo che, con la sua famiglia, abita nella città messicana di Tecate, in una casa affacciata sul confine con gli USA. Nell’opera realizzata da JR nel 2017, sull’onda delle dichiarazioni del neo-eletto presidente americano Trump riguardo l’intenzione di costruire un muro al confine con il Messico, una gigantesca sagoma del bambino spunta da dietro la barriera che divide i due Paesi. Con il fare giocoso del bambino, Kikito sbircia verso gli Stati Uniti, appoggiando le mani sulla barriera, come a volerla tirare giù. Per celebrare la fine dell’installazione, JR ha organizzato un picnic su entrambi i lati della recinzione: una tavolata a cui si sono seduti americani e messicani sui due lati del confine, condividendo un pasto servito su una gigantografia di due occhi. Le immagini in mostra raccontano quel momento di condivisione e convivialità. Anche in questo caso, un’installazione con sagome mobili riproduce l’originale ed enfatizza l’effetto delle barriere che l’uomo innalza tra comunità.
Contemporaneamente, altre espressioni e altri momenti della Street Art, la cui storia è legata a doppio filo con quella di New York, trovano spazio in altri borough della città. Al Bronx Museum è in corso fino all’8 marzo la mostra Henry Chalfant: Art vs. Transit, 1977-1987, dedicata al fotografo che ha documentato gli albori di questa forma d’arte, quando, in una New York in piena crisi, i writer avevano scelto i treni della metropolitana come tela. Le immagini di Chalfant compongono un saggio di antropologia visiva, documentando uno dei momenti cruciali dell’evoluzione della cultura pop occidentale. Chalfant iniziò a interessarsi all’arte dei graffiti al suo arrivo a New York nel 1973 e negli anni successivi sviluppò una tecnica che gli permetteva di catturare immagini in rapida successione, riuscendo a fotografare interi treni in movimento. Fu lui a immortalare alcuni dei graffiti più iconici di quegli anni, tra cui opere di Dondi, Futura, Lady Pink, Blade, Crash, DAZE. La mostra è ricca di fotografie e memorabilia dell’epoca e, attraverso una timeline, ricostruisce i momenti più significativi di un paio di decenni che cambiarono la cultura globale. In una delle gallerie, corridoi formati da pareti su cui sono stampate fotografie a grandezza naturale riproducono la sensazione di camminare tra le coloratissime carrozze dei treni immortalate da Chalfant.
Ma se la Street Art è ormai arrivata nei musei degli outer borough, è a Manhattan che trova le sue espressioni più commerciali. In questi giorni decine di artisti stanno lavorando, su commissione, per trasformare un edificio simbolo della vecchia New York in un’icona del vivere moderno. Come parte di un progetto di ristrutturazione da 60 milioni di dollari, sulle pareti dell’Equitable Building, un edificio del 1915 al 120 di Broadway, sono comparsi graffiti dai colori sgargianti: un modo per portare vita dentro gli spazi, hanno detto dalla proprietà dell’edificio, spiegando che l’idea è di attrarre le nuove generazioni. Ed è ironico, quanto forse ovvio, che proprio a Manhattan, dove la Street Art una volta prendeva di mira il real estate, oggi contribuisca a farne aumentare il valore.
‒ Maurita Cardone
New York // fino al 3 maggio 2020
JR: Chronicles
BROOKLYN MUSEUM
200 Eastern Parkway
https://www.brooklynmuseum.org
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