Street Art, città ed equilibri precari. Intervista a ETNIK
Intervista allo street artist ETNIK, attivo da 26 anni in tutto il mondo e impegnato in un dialogo costante con la città.
ETNIK vive e lavora a Torino. Attivo da oltre 26 anni, ha dipinto ampie murate nel mondo, provando sempre superare se stesso, esplorando paesaggi urbani, osservando le città e ricercando luoghi abbandonati.
“Il mio focus come artista si basa sullo studio delle ‘città’ come luogo dove la Street Art trova il suo naturale compimento ed è il mio modo di criticare il mondo dove vivo e cammino ogni giorno: la cementificazione e il poco spazio per la natura mi portano a dipingere e rappresentare il dualismo tra le geometrie e le forme naturali. Il mondo dei graffiti ha ovviamente condizionato il mio punto di vista, infatti tutti i miei lavori spesso hanno più punti di vista o sono ‘upside down’ (sottosopra), così da rappresentare l’equilibrio precario dell’essere umano”, afferma ETNIK.
Quale ricordo hai degli inizi?
Ho iniziato a dipingere nei primi Anni Novanta e si trattava di writing, delle sue origini newyorkesi e dell’evoluzione europea tra Germania, Francia e Olanda. Non si sente parlare di Street Art fino ai primi Anni Duemila, quando alcuni grandi innovatori scardinano le regole classiche del fare graffiti. Dei primi periodi ricordo una gran voglia di esplorare e rapportarmi con chiunque in Italia o all’estero facesse qualcosa di simile. Proprio per questo motivo, oltre a viaggiare moltissimo per dipingere e conoscere le scene di altri Paesi, si iniziava a cercare di organizzare eventi dal basso, per agevolare questo tipo di scambio.
Che tipo di eventi?
Prima piccoli eventi, che col tempo diventano più strutturati con il fine di rimarcare e dare spazio a una sub-cultura assolutamente forte e senza alcuno schema. Importante da citare per la Toscana, dove vivevo, Panico Totale, una grande convention, che oggi, con parametri diversi, chiameremmo festival, dove una manica di giovani tra skater, musicisti e writer hanno messo un tassello nella storia italiana di questo fenomeno organizzando l’evento per cinque anni e favorendo un grande e importante scambio per questa cultura, invitando importanti figure dell’hip hop a dipingere, ballare e suonare.
In che direzione sta andando ora la tua ricerca?
In questi anni il mio lavoro è focalizzato su uno stile architettonico geometrico fatto di forme, volumi e cromatiche che talvolta portano a figure astratte, che però hanno come punto di partenza il lettering, alla base del mondo del writing.
Nel tempo infatti le mie lettere si sono trasformate in forme architettoniche urbane: mi piace trattare il mio lavoro come un illustrazione d’architettura. A me interessa che la città sia il soggetto del mio lavoro, perché è stata il vero e proprio “contenitore” del nostro fenomeno (agli inizi queste pratiche erano espresse su un tessuto più stradale rispetto a oggi, epoca in cui si interviene maggiormente su edifici e facciate di grandi dimensioni.
La tua definizione di Street Art. Che cosa è per te?
Street Art è una parola che a me, come a molti altri, non piace più molto, in quanto ormai è usata, sfruttata e bistrattata da una serie di personaggi sempre più incompetenti e discutibili. Il concetto di intervento sul tessuto urbano a me piace in ogni sua forma, dai palazzi di molti piani ai lungolinea in ferrovia fino alla più piccola tag nascosta su pali o cassette dell’elettricità.
Quello che sta mettendo in crisi tutto il fenomeno artistico è la struttura sovrastante: dai curatori agli organizzatori fino ad arrivare a quegli artisti che, pur di compiacere o guadagnare, iniziano a praticare senza basi questo fenomeno e si trasformano di conseguenza ogni qualvolta che questo muta, non creando così arte, ma seguendo una linea decorativa e di compiacimento che porta proprio al declino della Street Art.
Il tuo modo di operare e intervenire è cambiato negli anni?
Il mio modo di operare nel dipingere non è cambiato molto: affronto con lo stesso spirito una parete ufficiale, così come una hall of fame o l’esplorazione di spazi abbandonati e, nonostante molti anni spesi a dipingere, il fermento e l’ispirazione sul mio lavoro sono continui e in evoluzione. Quello che è cambiato molto è il mio approccio a tutto ciò che circonda il settore della Street Art; mi trovo ininterrottamente a dover scartare situazioni, contatti e inviti per il rispetto sempre peggiore che si porta all’artista che, forse è meglio sottolinearlo, diviene l’ultimo della filiera a fare un minimo guadagno di tutto questo lavoro nonostante sia il primo a esporsi e, in alcuni casi, a fare fatica da decenni. Ciò che mi sorprende molto è l’assoluta mancanza di meritocrazia: in questi anni ho visto e continuo a vedere che la valutazione degli artisti è piatta e questo va a plasmare l’idea generale che ho del fenomeno della Street Art.
Quali tecniche utilizzi?
Principalmente lavoro con spray e acrilici in esterno, ma sono molto interessato alla realizzazione di installazioni e sculture. Infatti già da anni mi occupo di creare delle strutture che mi rappresentino e che siano in linea con il mio lavoro. Per questo motivo tra i materiali che utilizzo non possono mancare resine, legno, ferro, materiali plastici e altri prodotti in base al tipo di progetto di cui mi sto occupando.
Come scegli i “soggetti” da rappresentare? Come avviene il tuo processo artistico?
Come ho già accennato precedentemente il mio soggetto è la città, come spazio costrittivo e sempre più contorto. Questa ormai crea dei meccanismi di stress urbano che aumentano costantemente e mettono a dura prova le caratteristiche delle persone e del loro modo di agire, o meglio reagire. Da molti anni mi limito a dipingere delle forme che possano ricordare un dualismo tra il paesaggio urbano e l’elemento naturale.
Non sono ormai più interessato a dipingere figure o personaggi, anche se molti ricordano ancora il mio percorso del disegno dei character nel passato. Questa è una conseguenza naturale, per me, avvenuta in seguito all’esplosione del fenomeno della Street Art: quando il dipingere diveniva di moda e commerciale, fare ritratti e figurativi divenne, e lo è ancora, la richiesta principale più scontata. Io ho preferito dedicarmi solo alla parte geometrica astratta e sentirmi libero nel mio percorso senza compromessi.
La base di partenza delle mie geometrie rimane la lettera, non è importante che venga facilmente letta, decodificata e compresa nell’immediato. Per me è importante che le forme non siano mai casuali, ma che abbiano un legame col mio percorso da quando ho iniziato a dipingere graffiti fino a oggi.
Una domanda che rivolgo spesso è legata al fatto che le opere di Street Art, in particolare, sono soggette alla caducità del tempo. Se fosse possibile, saresti favorevole alla conservazione delle tue opere, oppure non ti interessa o saresti addirittura contrario?
Il fatto che i nostri lavori in esterno abbiamo una durata nel tempo limitata fa parte del fenomeno stesso. C’è da dire che se da parte delle organizzazioni si pensasse di più al supporto prima di dipingere o a riservare una parte del budget a una buona preparazione, si potrebbero avere lavori ben più duraturi nel tempo. Rivolgo quindi una critica, più che alla durata limitata dei lavori, a una frettolosa e superficiale preparazione dei progetti. C’è poi da dire che si cercherà, e già si sta cercando, di salvare solo alcuni nomi legati a un ritorno economico. Questo dunque è un problema che non tange tanto il mio nome ma alcuni street artist che magari non sono neanche d’accordo con questo tipo di processo, ma che ne sono vittime come è già successo negli ultimi anni.
Cosa ti colpisce di un artista emergente? Cosa invece ti piace recuperare di un classico?
Avere una buona tecnica oggi è estremamente facile, per cui anche un giovane alle prime armi in questi tempi può sviluppare ottimi lavori da un punto di vista estetico.
Proprio per questo motivo vedere copie o plagi spudorati di altri artisti da parte dei giovani, solo perché c’è fretta di arrivare “in alto” o essere “conosciuti”, porta questi ultimi a non studiare e a non progettare un percorso personale in modo adeguato. Di conseguenza armarsi di una qualunque foto scaricata e riportarla su muro col proiettore per me non è da considerarsi progetto artistico ma semplicemente decorativo.
Progetti per il futuro?
Oltre a dipingere in esterno vorrei lavorare su progetti materici e su installazioni. Mi piacerebbe creare qualcosa di permanente. Per quanto riguarda il versante indoor, mi piacerebbe sviluppare un bel progetto editoriale che già da anni è in cantiere.
Ho inaugurato una mostra a Parigi che proseguirà fino all’11 gennaio 2020 presso la GCA Gallery, 5 Solids Metaphor.
Di cosa si tratta?
È un’idea nata un anno fa, con la prima murata del progetto realizzata in Florida. Questo concept non è altro che un’estensione del percorso del mio percorso riguardo allo stile che da sempre baso sulla critica all’agglomerato urbano. Il progetto, che include 5 murate e 5 installazioni, è stato sviluppato in 10 diverse città tra l’Europa e gli Stati Uniti e comprende la mostra finale a Parigi con 10 opere + 1: 5 lavori su legno, 5 + 1 tele cucite su iuta e un photo reportage che descrive questo “1 year project”.
Da dove proviene questa idea?
Il concept di questa mostra e del relativo progetto proviene dalle teorie di Platone: quest’ultimo scrisse nei Dialoghi del Timeo (360 a. C.) quanto egli fosse curioso riguardo alla nascita e all’evoluzione del cosmo ed esplorava metodi per descrivere i concetti astratti con figure geometriche razionali. Gli elementi che infine Platone scelse per descrivere il Cosmo sono: Fuoco, Acqua, Aria e Terra. Più tardi inserì un quinto elemento che rappresentava l’Universo. La matematica platonica crea un ponte tra gli elementi naturali e i solidi razionali, per questo motivo Platone indica l’Aria con un ottaedro, l’Acqua diviene un icosaedro, la Terra è un cubo, il Fuoco un tetraedro e il quinto elemento, l’Universo, è simboleggiato da un dodecaedro. Nella mia evoluzione artistica analizzo e dipingo il dualismo tra la città e la natura dal punto di vista di un graffiti writer, rappresentando tutte le contraddizioni delle città come la cementificazione, la carenza degli spazi verdi, il disequilibrio, il degrado e in 5 Solids Metaphor ognuno dei cinque elementi è soggetto dell’evoluzione del mio lavoro ultra ventennale.
‒ Alessia Tommasini
http://www.etnikproduction.com/
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