Intervista a Mrfijodor, lo street artist graffitaro
Stavolta la nostra ricognizione sulla Street Art fa tappa a Torino, dove vive Mrfijodor, all’anagrafe Fijodor Benzo.
Mrfijodor è lo pseudonimo di Fijodor Benzo. Ha provato per anni ad avere una tag come tutti i writer, ma alla fine si è accontentato del suo nome di battesimo. Bambino dalla spiccata vena creativa, ha cominciato realizzando mostri con i mattoncini LEGO e disegnando sui muri della propria cameretta.
Negli ultimi anni la sua produzione è stata molto varia, passando dalle installazioni ai murales tematici, ma anche performance e graffiti, di cui si occupa dal ’94. Realizza opere i cui soggetti sono solitamente forme elementari che trasportano messaggi diretti e ironicamente responsabili; alla base una chiave di lettura semplice, per poter sempre dialogare con il fruitore. Molto spesso, i suoi lavori sono contrassegnati da una critica sociale o ecologica, usando come arma un sorriso infantilmente stupito e uno stile spontaneo e diretto, libero da elementi tecnici complessi. È uno dei fondatori dell’Associazione Il Cerchio E Le Gocce, associazione culturale di Torino che dal 2001 promuove le culture underground, la Street Art e il graffiti writing.
Perché hai scelto Torino come città per lavorare?
Ho sempre avuto amici torinesi, da ragazzi passavano le estati in Liguria, quindi già alla fine degli Anni Novanta mi capitava di salire a trovarli e di girare per Torino. Uno fra tutti è Corn79, dipingiamo insieme dal ‘97 ed è sicuramente una delle persone che ha influenzato di più la mia vita artistica. Sempre in quegli anni alcuni dei miei migliori amici si sono trasferiti per studio sotto la Mole e io mi sono fidanzato con un’“indigena locale”. In pratica per un motivo o per un altro ero sempre qui e ho cominciato a conoscere la città e le sfumature di quella Torino post-industriale, unta, cupa, underground ed energetica che era prima di cambiarsi il vestito per le Olimpiadi invernali del 2006.
Nel 2001 alcuni miei amici storici hanno fondato l’Associazione Il Cerchio E Le Gocce, la prima associazione italiana con un focus su graffiti e arte urbana. Ho cominciato praticamente da subito a collaborare con loro e a fine 2003, insieme a Mauro149 dei Truly Design, ci hanno fatto progettare un grande muro per gli uffici del Toroc, la società che organizzava gli Olympic Games.
Quindi cosa accadde?
Avevo voglia di vivere in una grande città e nell’autunno del 2004 mi sono trasferito provvisoriamente qui ma alla fine ci sono rimasto. Torino la sento come casa, anche se spesso il cemento e l’inquinamento mi chiudono emotivamente fino a farmi scappare. Quando posso torno nei miei posti, che sia a Imperia per fare un bagno tra gli scogli o a Ormea per respirare un po’ di aria alpina. Non credo che l’essere umano sia un essere stanziale, immagino la vita come quella degli antichi pastori, in transumanza, cambiando zona a seconda del tipo di lavoro che devo fare, seguendo il cambiamento delle stagioni.
Comunque a oggi qui ho casa, una compagna con la quale convivo, uno studio in un posto che amo e degli ottimi compagni; inoltre mi sono creato una rete di amici e colleghi con la quale sto molto bene.
Che ruolo ha l’artista oggi, secondo te, e il curatore che lo segue?
Il ruolo dell’artista è lo stesso da sempre, ovvero esprimere se stesso. L’arte altro non è che l’espressione dell’essere umano in diverse forme, da quella pittorica a quella teatrale, l’evoluzione tecnica ha portato a nuovi media ma il fine non è cambiato.
A oggi, a differenza dei secoli passati, l’artista ha una quantità di impulsi e interferenze esterne che, per forza di cose, lo alterano. La società ci riempie di input sociali, culturali, energetici e anche emozionali. Possiamo essere colpiti emotivamente da una catastrofe dall’altra parte del mondo o scoprire le bassezze umane tramite i social. Forse tutto ciò influenza in qualche maniera la nostra visione del mondo, dell’estetica che ci circonda e i lavori che produciamo.
Il curatore è una figura diversa, per certi versi nuova, per altri penso che sia anche un po’ artista/creativo. Nel senso che usa come mezzo di espressione gli artisti che ama e che apprezza. Alla fine inventa un contenitore per far interagire al suo interno persone, come se fossero colori per dare forma ai suoi sogni. O almeno è così che idealmente mi immagino la figura di un curatore, anche se trovo la maggior parte di loro meno interessanti degli artisti che invitano, anzi, molti bilanciano la loro poca inventiva sfruttando le capacità di artisti blasonati, per avere un risultato alto.
Cosa cambierà nella Street Art, a tuo avviso, dopo questa pandemia?
Secondo me a livello istituzionale potrebbe avere un incremento. Più che altro il comparto culturale avrà difficoltà a realizzare attività sociali come concerti, mostre o cose del genere, quindi potrebbe essere che le amministrazioni si metteranno a decorare muri per mostrarsi attive vero la collettività, ma senza assembramenti. I piccoli comuni perderanno sagre, fiere e tutte quelle attività più popolari che tanto piacciono agli elettori medi.
Quindi mi immagino che ripiegheranno su cose diverse, visto l’andazzo più istituzionalizzato degli ultimi anni della “Street Art”. Penso che in molti si butteranno sulle decorazioni esterne, ma questo è un trend in crescita già da diversi anni. Probabilmente anche le attività più spontanee e illegali potrebbero vedere una nuova vita, questa clausura penso abbia fatto fermentare una creatività e una voglia di libertà mai viste prima.
Il tempo ci dirà quale sarà il risultato e l’evoluzione del nostro vivere nel prossimo futuro.
Come scegli i soggetti da rappresentare?
Non saprei, ogni lavoro ha una sua storia, alcune idee nascono nel dormiveglia e altre sono quasi un’imposizione che mi auto-infliggo. Per molti lavori mi viene data una traccia o un tema da seguire, anche se sembra più facile non è detto che riesca a farlo al meglio. Il percorso creativo, almeno nel mio caso, è molto casuale, alcune volte mi sembra di avere idee geniali e poi il risultato è pessimo. Altre volte, mentre mi sento vuoto di idee, tiro fuori un buon progetto. Penso che nel percorso di un artista la cosa più lenta e complicata sia il trovare un proprio linguaggio narrativo e grafico. Molti artisti mainstream preferiscono ad esempio focalizzarsi sulla tecnica e conseguente marketing a discapito, se posso permettermi, di una ricerca artistica più autentica o personale.
Perché e quando ti sei avvicinato alla Street Art?
Per me, cresciuto tra il mare e le Alpi liguri, era la cosa più esotica possibile. Ai miei tempi, parlo della metà degli Anni Novanta, c’erano solo i graffiti, era inimmaginabile farlo diventare un lavoro, anzi, erano la controcultura brutta e cattiva delle periferie delle grandi metropoli.
Come molti adolescenti ero il classico “bastian contrario”, quindi odiavo il calcio, tutto quello che poteva piacere alla mia famiglia e alla maggior parte dei miei coetanei, ma avevo anche il bisogno di appartenere a qualcosa. Questo mio bisogno, insieme a un’attitudine per il disegno, mi hanno fatto spontaneamente appassionare ai graffiti. Inoltre mi sono sempre interessato di esplorazioni urbane, infatti mi è sempre piaciuta molto l’azione che c’è dietro i graffiti, dal nascondersi allo scappare per non farsi vedere. Il mio primo disegno l’ho fatto in un posto abbandonato dietro il cimitero di Oneglia: feci due disegni in due giorni, erano talmente brutti che per circa un anno non toccai più gli spray. Mi resi subito conto che per fare qualcosa di decente e in posti visibili ci voleva allenamento, dedizione e tempo per acquisire la tecnica. Se sei bravo e sei anche veloce, sai cosa fare e farlo venire come vuoi.
Come proseguì la tua attività?
Dalle mie parti non c’era molto, da bambino ero rimasto affascinato da un muro disegnato sulla mia scuola elementare, penso fosse dei fratelli Rossetti. Ma le prime cose legate ai graffiti tradizionali che mi colpirono erano delle tag di Enok (il rapper Inoki che è originario di Imperia), delle tag di Paniko, dei flop di Paok e Dank di Torino ma anche dei lavori di Sherif e Iwok a Sanremo.
La mia fortuna è stata poi conoscere ragazzi che mi fecero prendere bene e con i quali andare a disegnare. Oltre al valore artistico del movimento, ho sempre apprezzato il valore aggregativo, come dicevo all’inizio l’appartenenza a una sorta di tribù.
Nel ‘96 ebbi la mia prima crew MDL, Matti Da Legare, con Odio, Rams, Kyro, Meteo e Mattia Krampo, ma si sciolse abbastanza in fretta, mentre l’anno dopo creai insieme a Corn79, Odio, Krampo e Sushi l’ADC, Amici Del Cazzo, che è poi la mia crew storica. Sono ricordi dell’adolescenza, ma, per quanto acerbi, sono una parte fondamentale della mia crescita e della mia formazione creativa. Persone come Sushi, che è mancato nel 2002, e Odio hanno dato un apporto enorme al mio modo di essere ma soprattutto di vedere il mondo.
La Street Art secondo te.
Preferisco l’espressione Urban Art, ma comunque a entrambe do un significato simile ovvero l’atto di scendere in strada e usare le città e gli edifici come supporto per realizzare un’opera di arte visiva, poi che sia un murale, una installazione o un poster poco importa.
In generale comunque questa definizione, che trovo un po’ troppo volatile, la unisco agli atti spontanei e illegali più che alle grandi facciate, che preferisco denominare muralismo contemporaneo nato dall’immediatezza tecnica e stilistica dei nostri giorni.
Ho sempre amato il termine graffiti e la definizione graffitaro, proprio nel modo dispregiativo e volgare che usa l’uomo medio per descrivere certe azioni nelle città. Lo so che per la maggior parte dei writer è un’eresia, ma a me piace, che ci posso fare?
Ho sempre amato il modo che hanno certe persone di saper dialogare graficamente ma anche concettualmente con i muri delle città. Anche se forse, più che i disegni, spesso mi soffermo ad apprezzare le scritte storte degli ubriachi, come se fossero le urla più sincere della nostra società, con molte meno sovrastrutture delle opere di tanti artisti famosi. Comunque su questo argomento si potrebbero spendere ore e ore di ragionamenti e dialoghi che forse è più interessante fare dal vivo che leggere in un’intervista.
Su cosa ti stai concentrando, artisticamente parlando?
Penso che col passare del tempo io stia diventando sempre più illustrativo e pure didascalico, a volte mi do fastidio da solo per questa cosa. Però mi sembra di migliorare tecnicamente per quanto non mi reputi un maestro della tecnica, anzi, mi sono sempre trovato molto grezzo e scoordinato ma forse è anche stato il mio punto di forza che mi ha permesso di creare un qualcosa di diverso dal tecnicismo.
Al di là di queste mie considerazioni, non saprei risponderti in maniera sincera perché non ragiono molto a tavolino sulla mia ricerca, cerco di evolvermi in maniera naturale o almeno ci provo. A questa domanda, forse, risponderebbero meglio i miei amici e colleghi che seguono i miei lavori da anni. Penso che sia molto complesso per un artista comprendere la propria crescita, non è scontato che ci sia. Con i propri occhi si ha sempre una visione molto romantica del proprio lavoro ma anche alterata da quelle che sono le fatiche della vita e il superamento delle avversità; i fruitori esterni spesso sono più equilibrati nel dare un giudizio.
Di cosa ti occupi all’interno dell’Associazione Il Cerchio E Le Gocce?
Dopo Corn79, che è il presidente e uno dei fondatori, sono il membro più anziano del gruppo. Come nella maggior parte dei piccoli gruppi tutti facciamo un po’ di tutto, diciamo che la mia attitudine mi ha portato spesso a occuparmi della didattica dei workshop, della parte comunicativa o anche semplicemente dell’accoglienza degli artisti ospitati dai nostri progetti.
Mi piace molto cucinare, quindi spesso ho improvvisato banchetti e cene per la parte conviviale, che comunque reputo importantissima per conoscere e farsi conoscere.
Da casa mia sono passati un po’ tutti, da Aryz a ZedOne, da Escif a Ericailcane. Alcuni si sono trovati così bene da fermarsi più a lungo dei progetti, pensa che Etnik è rimasto quasi quattro anni…
Al di là della mia ironia, in associazione, come dicevo prima, mi occupo di diverse attività. Da circa tre anni seguo, per Il Cerchio E Le Gocce, come coordinatore, insieme all’associazione Monkeys Evolution e dopo che abbiamo vinto due bandi comunali, il progetto MurArte. Principalmente organizzo i workshop negli istituti superiori della città e coordino laboratori più tecnici, ovvero quegli appuntamenti tra artisti professionisti e ragazzi che seguono MurArte. Negli anni abbiamo invitato artisti legati alla Street Art come Guerrilla Spam, Artez, Zibe e Nibla, ma anche gestito appuntamenti con un focus sui graffiti con Reser, Sera KNM, Chase e Swet. Alla fine penso che le associazioni servano per mettere in connessione persone, istituzioni e per aiutare gli artisti a sviluppare progetti sia personali che comunitari. A volte anche solo prestare una scala e dei secchi può aiutare a concludere un lavoro al meglio, giusto per fare un esempio davvero semplice, ma il nostro è ben più articolato.
Come avete affrontato il lockdown?
Durante questo periodo di isolamento siamo comunque rimasti attivi senza demoralizzarci troppo ma reagendo con creatività e ottimismo. Il progetto più importante è stato #urbanartistpertorino, un’asta benefica dove artisti di Torino, e non solo, hanno messo in vendita delle opere, devolvendo tutto il ricavato agli ospedali torinesi. Alla fine abbiamo raggiunto la cifra di quasi 9mila euro. Ed è proprio questa la parte sociale dell’arte che reputo importante ed efficace. Con i nostri soci di Monkeys Evolution abbiamo spinto i ragazzi di MurArte a disegnare su altri supporti per la futura mostra Arte in Quarantena, per tenerli attivi nell’attesa di ritornare sui muri ma anche per abituarli a non disegnare solo con gli spray. Inoltre abbiamo lanciato, in collaborazione con Caravan SetUp, #COLORAVIRUS, un passatempo dedicato ad adulti e bambini per il periodo di permanenza a casa. Abbiamo raccolto le opere di 80 artisti per un totale di 150 disegni, in un unico libretto da stamparsi a casa. Tutti i nostri progetti riescono a funzionare perché negli anni ci siamo guadagnati la stima e la collaborazione di decine di artisti, senza il loro lavoro e la nostra perseveranza non si riuscirebbe a fare nulla. Penso che anche la città di Torino sia stata fondamentale per noi, sia per la libertà che ci ha dato negli anni, sia per la continuità progettuale che è riuscita a mantenere nei diversi momenti politici e amministrativi, continuando a credere nel nostro lavoro.
Progetti per il futuro?
Non ci voglio pensare, non ne ho proprio voglia. Preferisco sfruttare questo momento di immobilità per pensare alle mie idee e ai miei progetti in maniera distaccata come se non mi appartenessero, per poi affrontarli a tempo debito. Inoltre sono anche un po’ scaramantico e parlarne potrebbe portarmi sfortuna!
‒ Alessia Tommasini
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