URBANER, il portale per lo studio del Writing e della Street Art
Mentre impazzano in Italia le mostre ‘non autorizzate’ di Banksy e la Galleria degli Uffizi accoglie nella sua collezione una cosiddetta opera di Street Art, a Modena URBANER, Culture Urbane Emilia-Romagna, fornisce gli strumenti per mantenere integri i presupposti di base di Writing e Street Art.
Compirà a breve il suo primo anno di attività URBANER, Culture Urbane Emilia-Romagna, concepito come strumento di studio dell’arte e della creatività urbana in una prospettiva estetica, sociale e antropologica.
Nato come progetto dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Modena, su iniziativa di Pierpaolo Ascari, professore di Estetica all’Università di Bologna, Pietro Rivasi, curatore indipendente ed esperto di arte urbana a livello internazionale, Elia Mazzotti Gentili, graphic designer e art director freelance, URBANER ha come obiettivo la valorizzazione delle controculture urbane. L’attenzione, rivolta all’analisi dei processi culturali, consente di collocare le discipline oggetto di studio all’interno di un sistema più complesso, la città e i fenomeni che vi si verificano in relazione alla posizione assunta dai diversi attori coinvolti.
Il sito a oggi registra più di 17mila visualizzazioni con oltre 8mila accessi unici, un risultato che conferma l’interesse nei confronti degli argomenti proposti. I criteri di ricerca e di approfondimento adoperati coinvolgono il mondo accademico, strutturato e indipendente, i diversi ambiti istituzionali, i protagonisti della scena culturale emiliana. L’approccio metodologico va al di là del regionalismo, e, trattandosi “di culture capaci di creare legami, favorire appartenenze e connettere esperienze distanti nel tempo e nello spazio”, fornisce un modello applicabile su vasta scala.
LA SEZIONE DEDICATA ALLA RICERCA: LE INTERVISTE E LA MAPPA DIGITALE
La sezione Ricerca, nata dallo sviluppo de “L’Arte Urbana e i suoi processi culturali in Emilia-Romagna”, condotta in partnership con l’IBC, l’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali dell’Emilia-Romagna, oggi Patrimonio Culturale Emilia-Romagna, raccoglie sotto la voce Interviste le testimonianze dirette di chi ha contribuito alla scena culturale del territorio: artisti, amministratori, operatori culturali, centri di aggregazione giovanile, poli culturali, spazi sociali. A oggi sono 16 le interviste pubblicate e quasi altrettante sono in fase di pubblicazione. La narrazione traccia, sulla scorta della memoria individuale, un’identità collettiva, una memoria culturale che, parte integrante di quella più vasta del territorio, ricostruisce la storia raccogliendo la documentazione e riflettendo sull’impatto socio-culturale generato.
Altra sezione della Ricerca è costituita dalla Mappa. Una mappatura digitale su Google segnala opere sia autorizzate sia spontanee (per esempio la serie Chi è? del Collettivo FX) e spazi che hanno contribuito al radicamento del Writing e della Street Art, registrando anche interventi e luoghi che, pur essendo ormai scomparsi, costituiscono un valore che rimane immutato nel tempo per rilevanza culturale e distribuzione territoriale. I luoghi mappati, al momento più di 300, si incrementano anche grazie al contributo di artisti (ad esempio Collettivo FX, Dem), di organizzatori di festival (il RestArt di Imola, Icone di Modena), di istituzioni (Comune di Cotignola – RA, IPSIA Fermo Corni di Modena, l’Ufficio di promozione turistica dell’Unione dei Comuni della Bassa Romagna), di fotografi (come Dante Cavicchioli e altri).
IL CONVEGNO E LA UNLOCK BOOK FAIR
Con il sostegno di Andrea Bortolamasi, assessore alla Cultura del Comune di Modena, Claudio Leombroni, direttore ad interim dell’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna, e Stefano Ferrari, presidente PsicoArt – Associazione di Psicologia dell’arte APS, si è svolto a settembre scorso il Convegno L’arte urbana e i suoi processi culturali in Emilia-Romagna. La giornata di studio, curata e moderata da Pierpaolo Ascari e Pietro Rivasi, ha visto alternarsi le relazioni di Sarah Gainsforth ‒ Addomesticare la città: consumo visuale e produzione di spazio, Tamar Pitch ‒ Sicurezza, decoro e pandemia, Giorgia Silvestri ‒Lo scandalo dell’adolescenza nella città degli adulti, Francesco Spagna ‒ Street art, comunicazione, controcultura, Claudio Musso ‒ Rovesciare la prospettiva. Arti visive e cultura visuale nel Writing e nella Street Art, Fabiola Naldi ‒ Per una responsabilità “illegale” dell’artista, Enrico Bonadio ‒ Profili di diritto d’autore nel graffiti writing e nella street art, François Chastanet ‒ Graffiti of Names Textures: collective emergences of metropolitan visual identities from the urban tissues, Luca Borriello ‒ Per fare un Tavolo. Competenze e municipalizzazione della creatività urbana in Italia, Pietro Rivasi ‒ Siamo vandali, anzi artisti. Le regole del mondo dell’arte e quelle della scena.
“Il Convegno è stato solo una parte di un progetto più ampio”, dice Rivasi. “A ottobre abbiamo portato a Modena la Unlock Book Fair, una fiera internazionale di editoria indipendente su Writing e Street Art che, ideata da Javier Abarca, esplora esattamente gli stessi ambiti di URBANER, dando spazio all’intera produzione delle cosiddette culture urbane. Il nostro obiettivo è anche quello di creare degli stimoli attraverso i quali cercare delle risposte non retoriche e costruttive al binomio decoro/degrado – vandalismo/arte a seconda che si tratti di Writing e di Street Art spontanei o commissionati”.
Tra le relazioni presentate alla Unlock Boook Fair, l’intervento di Marta Bazzanella e Giovanni Kezich, Le scritte dei pastori nella Val di Fiemme, riporta l’attenzione sulla pratica della scrittura e del disegno spontanei, inserendosi tra quei numerosi studi accademici che ne confermano la prassi nel tempo senza soluzione di continuità. Generalmente, chi scrive di Graffiti Writing si limita a rintracciarne i precedenti nei graffiti rupestri e nelle scritte sulle pareti degli edifici di Pompei, eppure scritte e disegni (non troppo diversi da quelli che ritroveremmo oggi sui banchi di scuola) sono documentati sui sedili del Ginnasio di Delo o di Tera, riconducibili ai Templari nella tomba etrusca Bartoccini di Tarquinia, attestati in Salento dal XII al XVIII secolo così come sulle pareti affrescate dell’Oratorio di san Sebastiano ad Arborio tra la metà Cinquecento e fine Ottocento, fotografati da Brassaï a Parigi. Studiati, catalogati, compaiono su strutture che celebrano la storia come nel caso di Kilroy was here sul National World War II Memorial di Washington. Dunque, perché il ‘segno’ viene considerato ‘documento’ se inscritto nel passato e atto vandalico se tracciato nel presente, nonostante entrambi presentino motivazioni e modalità simili?
LE ISTITUZIONI. LA DOCUMENTAZIONE COME OPERA D’ARTE
La partnership con l’IBC, l’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali dell’Emilia-Romagna, oggi Patrimonio Culturale Emilia-Romagna, implica il riconoscimento del valore della catalogazione di opere di arte urbana in base a strumenti istituzionali e accademici, le schede OAC ‒ Opere/oggetti d’Arte Contemporanea. I parametri relativi alla circostanza di produzione spontanea / commissionata e all’esistenza dell’opera al momento della catalogazione sono essenziali, poiché l’istituzione riconosce e tiene conto della considerazione e del prestigio che nel Writing e nella Street Art assume l’intervento spontaneo, accogliendolo come opera d’arte anche quando si tratta di sola documentazione fotografica.
I conduttori del progetto sono consci dei possibili rischi insiti nel riconoscimento istituzionale. Conferire al Writing o alla Street Art lo statuto di opera d’arte, mettendone in risalto fittizi valori storici, artistici e culturali, prefabbricati dai ‘mercanti d’aura’ (secondo “le logiche sociali, economiche e culturali dell’arte contemporanea” individuate da Alessandro Dal Lago e Serena Giordano nel saggio edito da Il Mulino), arreca un danno non solo alla scena artistica, accreditando chi millanta credito, ma anche alle stesse opere in strada, esponendole allo ‘strappo’ che, in modo più o meno lecito, come per altro è già accaduto, potrebbe trasformarle in cimeli da museo o in prodotti da commercializzare. La schedatura, la catalogazione e l’archiviazione presso l’IBC della documentazione fotografica di opere non più esistenti fornisce la soluzione: la documentazione coincide con l’opera nella misura in cui, fissandola su supporto video o fotografico, ne rispetta e preserva la collocazione originaria scelta dall’autore. “Questo ragionamento” ‒ argomenta Rivasi ‒ “potrebbe suscitare perplessità. Si potrebbe obiettare che l’esperienza dell’originale nel suo contesto non può in alcun modo essere sostituita dalla foto. Vanno però tenuti in considerazione le modalità di fruizione interne alle due discipline: writer e street artist utilizzano spessissimo video e foto per esaminare e giudicare il proprio lavoro e quello eseguito da altri. Non sempre è possibile recarsi sui luoghi e gli originali a volte sopravvivono solo per un breve spazio di tempo, come accade nelle performance artistiche o per gli interventi di Land art. La documentazione consente di portare dentro spazi istituzionali le opere degli artisti senza snaturarle”.
Lo dimostra l’acquisizione da parte della Galleria Civica di Modena, oggi confluita all’interno di Fondazione Modena Arti Visive, delle installazioni Blackbook di Fra32 e SI di Zelle Asphaltkultur, realizzate assemblando delle fotografie di pezzi eseguiti senza autorizzazione: la documentazione, in questo caso fotografica, di arte urbana è a tutti gli effetti un’opera d’arte, “ponendosi in ideale parallelo con l’agire artistico di Fluxus”, sottolinea Rivasi.
UN SERVIZIO PUBBLICO A DISPOSIZIONE DI ISTITUZIONI E PRIVATI CITTADINI
URBANER, nato come servizio pubblico di consultazione, ha intenzione di ampliare i contenuti e i materiali relativi ai diversi aspetti dell’arte e della cultura urbana. La comprensione dei fenomeni permette di trarre conclusioni e procedere in modo consapevole. “Se l’opera di un artista attivo in strada” ‒ spiega Elia Mazzotti Gentili ‒ “viene accolta all’interno di un museo o di una galleria, sarà, a seconda dei casi, documentazione o post-graffitismo o arte contemporanea, non Street Art o Writing che, eventualmente, possono servire a definire il background dell’artista, certamente non l’opera”.
“URBANER” ‒ aggiunge Pierpaolo Ascari ‒ “pone il problema dello statuto di queste forme espressive, così fortemente collegate alla conformazione fisica e sociale dei contesti. Altrimenti, nel caso di musei e gallerie che affermano di esporre Street Art o Writing, si rubrica l’operazione alla stessa voce dei processi di gentrificazione e della loro natura predatoria. La logica è ancora quella del simulacro: come il villaggio turistico ‘immerso nella natura’ sta facendo a pezzi la natura, il modo in cui vengono gestiti e raccontati la Street Art o il Writing ‘al chiuso’ distrugge o perlomeno occulta gli aspetti più significativi e preziosi di quanto avviene in strada”.
Nei musei, alle mostre, nelle gallerie, al pubblico si presenta la “riduzione estetica, che è la forma stessa della nostra cultura dominante” (Jean Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, ed. Feltrinelli), e che costituisce, per il Writing in particolare, la minima parte, e neppure la più importante a volte, di un processo complesso e articolato, fatto di studio, innumerevoli bozzetti, capacità tecniche, velocità di esecuzione, sudore e adrenalina, dell’odore della yard, della fratellanza della crew. La documentazione video e fotografica permette al pubblico di sperimentare parte di questo processo, di calarvisi, imparando a distinguere le modalità di esposizione delle opere e a fruirne senza alterare il rapporto degli artisti con la strada.
‒ Raffaella Ganci
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