Intervista a Luca Barcellona, l’artista calligrafo che scrive sui muri

I prossimi 19 e 20 maggio Luca Barcellona sarà in provincia di Treviso per scrivere sui muri di una piccola frazione. L’obiettivo: trasformare il paesaggio urbano in una sorta di libro espanso

Fratta, piccola frazione del Comune di Tarzo sui laghi di Revine, ospiterà, il 19 e 20 maggio prossimi, Luca Barcellona (Milano, 1978). L’iniziativa, parte del più ampio progetto Cortili Frattali. Il borgo aumentato sul lago, porta tra le colline del Prosecco uno dei più affermati calligrafi italiani nel mondo.
L’artista scriverà sui muri del paese, trasformando le case del borgo nelle quinte di un teatro naturale affacciato sulle colline trevigiane. Ogni testo diventerà una didascalia alla visione, ogni frase una versione street di motti e detti popolari, ogni parete una pagina di un libro espanso. L’evento, come già Luca Barcellona fece a Roma nel 2010, a Praga e Spoleto nel 2012, è un interessante dialogo tra scrittura e Urban Art, tra graffito e segno. Un’occasione per riflettere con l’artista sui confini tra segno e immagine, tra vandalismo e decoro.

Luca Barcellona, Avantgarden. Foto Alberto Pepe

Luca Barcellona, Avantgarden. Foto Alberto Pepe

INTERVISTA A LUCA BARCELLONA

La Street Art è anche una sovrascrittura del paesaggio. Cambia la narrazione dei luoghi? Ne allarga i confini visibili?
Sicuramente può esserci un approccio all’arte urbana che dialoga con l’architettura e il paesaggio urbano: nel mio caso, la scrittura utilizza il muro come foglio e l’interlocutore diventa chiunque gli passi davanti. Il messaggio lascia la sua forma intima e privata e diventa patrimonio comune, e parte integrante della città. Quando vivevo a Sesto San Giovanni, ricordo molto bene di aver dato appuntamenti a degli amici senza citare una via, ma una cosa tipo: “Troviamoci la, dove c’è la scritta NO ALL’INQUINAMENTO DELLA FALCK!”. Mi piace pensare che qualcuno faccia lo stesso con l’arte di strada.

La Street Art sembra andare in controtendenza rispetto a un contemporaneo segnato dall’individualismo. È una forma di partecipazione indiretta collettiva.
Questo dipende dalle situazioni: spesso gli interventi avvengono durante eventi organizzati quindi è normale, oltre che interessante, lavorare al fianco di altri artisti, condividere molto tempo con loro e conoscerli, a volte condividere il muro interagendo con le opere. Ma essendo io più un writer, negli interventi autonomi sono stato abituato a lavorare da solo. Tuttavia chi fruisce delle opere si trova inevitabilmente a visitare un museo a cielo aperto, questo crea un dialogo indiretto fra l’artista e la città.

Per te in cosa consiste la sorpresa generata da prospettive inedite guardando un’opera street su un territorio che conosci?
Sicuramente molte opere cambiano e connotano un quartiere, un angolo di strada: spesso sono dipinti enormi che non passano indifferenti, e va riconosciuto un certo effetto invasivo.
A me per esempio piacciono gli interventi più grafici e minimali, mentre spesso ti ritrovi costretto a guardare un gigantesco animale grande quanto un palazzo che potresti non voler vedere. Non sempre le opere sono ben accolte, perché le persone che abitano quegli spazi non vengono interpellate, non gradiscono, o non capiscono. Ma è la stessa cosa che accade con le grandi affissioni pubblicitarie, e questo dovrebbe farci riflettere su cosa effettivamente sia un intervento pubblico o privato.

Luca Barcellona, foto Lorenzo Barassi

Luca Barcellona, foto Lorenzo Barassi

Che differenza c’è per te tra ri-generazione urbana e decorazione? Quando si fa un vero intervento e non del banale vandalismo o, peggio, del decoro?
Mi sono sempre chiesto chi abbia facoltà di decidere su questi temi: una decorazione può essere anche vandalica, perché non richiesta. Personalmente credo ci sia un valore nell’incuriosire le persone, con lavori esteticamente gradevoli ma non facilmente decifrabili. Le lettere spesso vengono viste solo come scritte, non come arte tipografica, mentre viene preferita l’arte figurativa, spesso didascalica. Per osservare un’immagine di lettering serve la stessa predisposizione che occorre per apprezzare un quadro astratto rispetto a un paesaggio.

Di quali contenuti si dovrebbe appropriare la Street Art?
È doverosa una distinzione netta fra l’esigenza naturale e antica degli esseri umani di lasciare un messaggio con una scrittura qualunque, o un’azione provocatoria, rispetto a un intento artistico. Io cerco di scrivere frasi che facciano riflettere, o semplicemente pensare, stimolando l’attenzione alla bellezza delle forme, aspetto intrinseco della calligrafia già nell’etimologia del suo nome. Ma ultimamente ho anche scritto cose illeggibili, per mostrare che la scrittura non per forza comunica con la semantica, ma anche come elemento pittorico.

Un po’ asimmetrica rispetto al main stream, sembra che molta Street Art prosegua la sua vita sui social. Cosa ne pensi?
Penso sia inevitabile una vita parallela dell’arte urbana sui social, perché la può fotografare e postare chiunque: se indichi anche il luogo dove è stata fatta l’opera, può essere vista e collocata geograficamente da tutti, quindi il suo potenziale si amplifica, la si può vedere in tempo reale anche senza essere stato in un luogo, e poi durante un viaggio trovarcisi davanti.
I graffiti sui treni hanno questa funzione, più poetica, anche se le opere in movimento raggiungono ovviamente meno persone e le si vede per pura coincidenza.

Luca Barcellona, Power

Luca Barcellona, Power

LA SCRITTURA E LA CALLIGRAFIA SECONDO LUCA BARCELLONA

Quali cornici vuoi trasgredire?
In Lost in Strokes, la mia ultima mostra, ho scritto grandi quadri tagliandone poi i margini: in questo modo l’osservatore era obbligato a “perdersi nei tratti” (da qui il titolo), proprio perché privato dei riferimenti necessari alla lettura: margini, interlinea, leggibilità, inizio e fine del testo. Un po’ come quando uno guarda gli ideogrammi senza saperli leggere, ma apprezzandoli ugualmente per il rigore o la bellezza dei tratti del pennello.

Cosa vorresti che rimanesse del tuo passaggio, del tuo “esser stato qui” e non “esser più qui”?
“Lasciare il segno” è il senso stesso della scrittura, e, in generale, del dipingere. Vivo per questo.

Quando un segno grafico o calligrafico diventa comunicativo?
Quando si riesce a sentire qualcosa senza necessariamente leggerlo o capirlo.

Quanto sarebbe utile oggi la calligrafia nella scuola di primo grado?
È un argomento di cui discuto spesso, aggiornando la mia opinione: ora la scrittura quotidiana potrebbe scomparire dalle scuole come la calligrafia, rimanendo materia di nicchia. Come in molte cose che deleghiamo alla tecnologia, la perdita della scrittura significa abbandonare l’associazione mano-cervello. Sarebbe bello che questo non accadesse, perché la scrittura aiuta a fissare i concetti, a visualizzarli graficamente, oltre che a esprimere qualcosa di noi stessi, perché, anche se si impara un modello uguale per tutti, poi scriviamo tutti diversamente. Ma è una cosa di cui dovrebbe occuparsi la scuola primaria stessa, quindi la politica che dà le direttive. Si potrebbe insegnare la grafia a mano anche su device digitali: gli strumenti per scrivere sono sempre cambiati nei secoli, mentre il gesto molto poco.

Simone Azzoni

http://www.lucabarcellona.com/

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Simone Azzoni

Simone Azzoni

Simone Azzoni (Asola 1972) è critico d’arte e docente di Storia dell’arte contemporanea presso lo IUSVE. Insegna inoltre Lettura critica dell’immagine e Storia dell’Arte presso l’Istituto di Design Palladio di Verona. Si interessa di Net Art e New Media Art…

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