Se questa è arte urbana. L’installazione di Roma Tiburtina finita lì per caso
L’ennesimo esempio d’improvvisazione e mancanza di programmazione culturale romana, per di più davanti a una delle principali stazioni ferroviarie d’Italia. O una potente espressione dell’imperversante “plop art”?
Me ne scendo dal treno a Roma Tiburtina, di prima mattina, la testa leggera dopo un solare fine settimana trascorso in campagna; leggera ma non per questo meno a rischio d’urti quando, nel traversare il piazzale antistante alla stazione con gli occhi persi a leggere un messaggio sul telefono, li sollevo appena in tempo per arrestarmi vicino, molto vicino, a un curioso artefatto.
C’ero già passato accanto altre volte, ma sempre troppo preso a rincorrere una coincidenza ferroviaria per soffermarmi ad apprezzare quello che il quotidiano urbano offre a uno sguardo più lento. Stamani però mi prendo un po’ di tempo, osservo, e non capisco: che cos’è?
Se questa è arte urbana. L’installazione di Roma Tiburtina
Scampato lo scontro, proviamo con l’incontro: giro così intorno a questo gruppo di giganteschi coni metallici, mistericamente mozzi, ma l’ermeneutica latita. Non una targa, non un manifesto, nemmeno uno di quei QR Code tanto in voga per provocare letture immersive. Se per questo, del resto, non c’è manco una delimitazione ben distinta dell’oggetto rispetto allo spazio circostante, col rischio appunto d’incocciarvi, se come me un po’ sbadati.
Mi risolvo infine a cercare online per scoprire, grazie a un articolo apparso su Il Messaggero del 2 febbraio 2023, che quanto ho di fronte è un’installazione intitolata L’isola dei golosi, rappresentante sette sac à poche – le tasche che s’usano in pasticceria per guarnire i dolci, insomma – e presentata dallo Studio Lemonot in occasione del Festival dell’Architettura tenutosi a Roma nel giugno 2022. Sempre secondo l’articolo, fino al gennaio scorso l’opera sarebbe stata posizionata vicino al Gazometro, dall’altra parte della città, poi spostata dove adesso si trova. Interessante la chiosa di un amministratore locale riportata nell’articolo: “È un’installazione provvisoria altrimenti sarebbe servito un bando”. E ancora: “È un’installazione artistica in un piazzale molto grande e vuoto che vuol essere un valore aggiunto alla stazione ferroviaria”.
Sono d’umore troppo estivo per dedicarmi a elucubrazioni su valore artistico dell’opera e auspicabile studio nella definizione di spazi condivisi, ma almeno alcune riflessioni volanti, prima di dimenticarmele come mio solito, le appunto.
Dalla pop art alla plop art
Per cominciare, se l’installazione era provvisoria a inizio febbraio, ora che siamo a fine agosto come va considerata, in parcheggio abusivo? Notevole poi, stando alle dichiarazioni riportate, l’approccio culturale-sociale mostrato nella scelta dell’installazione. Per la serie: siccome c’era tanto spazio in piazza, mettiamoci dentro qualcosa che abbiamo sotto mano e la riempia, hai visto mai non decori un po’. Ma se di decoro un tanto alla tonnellata si tratta, che almeno ci s’ingegni a suggerire qualche straccio di corrispondenza materiale o pur vaga ispirazione spirituale. A Milano, per dire, l’ago e filo dei coniugi Oldenburg-van Bruggen si dice rimandi alla moda meneghina e al congiungersi delle linee della metro a piazzale Cadorna, qui però cosa c’entra un omaggio alla pasticceria davanti a quella che è una delle più frequentate e meno gastronomicamente munite stazioni ferroviarie d’Italia? Per la cronaca, 150mila passeggeri transitanti al giorno, giusto un paio di bar e altrettanti fast food interni, a personale memoria.
C’è poco da fare, mezzo mondo urbano ormai sembra lanciato a battere la strada a effetto della (non tanto pop quanto) plop art, installazioni cioè affette da gigantismo e spesso reminiscenti oggetti d’uso comune, piazzate senza alcuna connessione con ambienti e atmosfere circostanti.
Ma, come si diceva, di solito si tenta almeno un po’ d’ironia che strizzi il video al colto e all’inclita, un bon mot a buon mercato da ricordarsi dopo la photo opportunity. Visto che in zona Tiburtina neanche tanto s’è fatto, provvediamo all’istante con una proposta di nuova intitolazione di cotanto trionfo delle tasche da pasticciere, che rimandi all’arguto immaginario oversize magrittiano. Ecco, dunque: Ceci n’est pas une pâtisserie. In effetti, si tratta piuttosto di un pasticcio.
Luca Arnaudo
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