Alla scoperta di Freeman Alley, il vicolo di New York pieno di street art e gallerie

A ridosso del New Museum, da comune via di passaggio del Lower East Side, Freeman Alley è diventata epicentro di creatività, che si esprime fuori e dentro le gallerie d’arte. Persino negli spazi di un hotel…

Chi vive a New York da molto tempo ricorderà l’anno in cui aprì il ristorante Freeman’s, all’epoca in una piccola via sulla cartina geografica del Lower East Side. Un cul de sac che col tempo è divenuto uno degli epicentri newyorkesi della street art. 

Freeman Alley a l’arte urbana a New York

Oggi Freeman Alley è un incrocio di arte urbana e gallerie, e il dialogo che avviene dentro e fuori la soglia di questi spazi è unico in città. I muri stessi della zona sono diventati spazi espositivi a cielo aperto, e contribuisce ad alimentare questo fermento anche l’Hotel Untitled, pensato come hub creativo di artisti di graffiti e murales. Convenzionato col New Museum, che gli ospiti dell’albergo possono visitare sempre gratuitamente, Untitled nasconde anche un bar all’ultimo piano, decorato dallo street artist canadese Stikki Peaches. Completano il quadro due gallerie, la Candice Madey e la storica Tibor De Nagy.

Due mostre da scoprire a Freeman Alley

Da Candice Madey, all’1 di Freeman Alley, fino al 2 marzo 2024 c’è John Houck con Perfect Temperature Lava, che celebra l’incursione del fotografo americano nella pittura al culmine di diversi anni di lavoro in studio: noto per i suoi scatti, Houck si muove costantemente oltre i parametri pittorici e materiali di una pratica in studio basata sull’obiettivo. L’artista non dipinge mai a partire da immagini fotografiche, concentrandosi invece su atti intenzionali di immaginazione: diversi esercizi in studio – come meditare su oggetti con una risonanza emotiva o invocare ipotetici paesaggi dalla memoria – sono integrati nella composizione di un singolo dipinto. In questo, i processi percettivi di Houck condividono un’affinità con i movimenti dell’inizio del XX Secolo che indagavano in modo simile il subconscio, tra cui il Simbolismo e il Surrealismo. Le tele di grandi dimensioni esposte in questo momento raffigurano vulcani, valanghe, cascate e paesaggi marini, sovrapposti a rappresentazioni iperrealistiche di oggetti sentimentali della famiglia dell’artista. 

Da Tibor de Nagy, invece, sempre fino al 2 marzo c’è Ken Aptekar con Says Me. Says You?, prima mostra dell’artista con la storica galleria, che presenta 16 opere su carta ispirate a manoscritti miniati medievali. Utilizzando i social network come strategia pittorica, l’artista porta i manoscritti miniati nel XXI secolo. Aptekar ha iniziato questa serie di opere, all’inizio della pandemia globale nel 2020, mentre si rifugiava nella sua casa in Borgogna: durante l’isolamento, lavorando con piccoli pennelli, penne calligrafiche e foglie d’oro, l’artista ha creato il suo scriptorium in un piccolo villaggio nella foresta di Morvan. “I miei manoscritti riflettono il mio intenso desiderio di comunicare qualcosa delle nostre vite radicalmente cambiate. Mi permettono di dare espressione a soggetti malinconici, frustrazioni politiche e alla follia della vita quotidiana“. 

Francesca Magnani

https://www.untitledat3freeman.com/

https://stikkipeaches.com/

https://www.candicemadey.com/

https://www.tibordenagy.com/exhibitions/ken-aptekar

https://www.instagram.com/thealleyry/?hl=en

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Francesca Magnani

Francesca Magnani

Francesca Magnani scrive e fotografa a New York dal 1997. Ha una formazione accademica in Classics e Antropologia alle università di Bologna, Padova, NYU; racconta con immagini e parole gli aspetti della vita delle persone che la toccano e raggiungono,…

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