La storia dei writers italiani protagonista di una grande mostra al MAMbo di Bologna
Si intitola “Frontiera 40. Italian Style Writing 1984 – 2024” e riprende gli appunti e le suggestioni dei viaggi americani di Francesca Alinovi, la prima studiosa ad aver approfondito il fenomeno del graffitismo. Un progetto espositivo che ne raccoglie l'eredità critica, riunendo 181 bozzetti di diverse generazioni di writers italiani
Sebbene oggi siano protagonisti di diversi progetti di rigenerazione urbana, quando nacquero i primi writers non erano ben visti dalla critica d’arte. A restituirgli il giusto peso, sia in termini creativi che sociali, è stata tra gli altri Francesca Alinovi, approfondendo le diverse sfaccettature del graffitismo negli Anni Settanta. Un’eredità storica e critica che oggi prende forma nella mostra Frontiera 40. Italian Style Writing 1984 – 2024, ospitata al MAMbo di Bologna dal 13 aprile, a cura di Fabiola Naldi. Un progetto espositivo che raccoglie 181 bozzetti di diverse generazioni di writers italiani, incorniciate da un set sonoro curato da NEU RADIO, costituendo il primo tassello di un archivio “sonoro” in cui si raccoglieranno in itinere voci, racconti e memorie intorno alla mostra.
Infine, in ricordo della critica d’arte, Bologna le intitola la passeggiata che attraversa il Giardino del Covaticcio, adiacente alla sede del museo.
La mostra “Frontiera 40. Italian Style Writing” al MAMbo di Bologna
Le opere esposte sono perlopiù realizzate su carta, ma anche su tessuti e supporti di altro genere, sui quali si è intervenuti con grafite, pennarelli, marker, colori acrilici e, a volte, attraverso l’utilizzo di tecniche miste e simil collage che hanno dato origine a nuovi vocabolari stilistici. Negli sketches in mostra c’è la presenza di lettere con pochi accenni al figurativo, quasi a dimostrare l’uso di una lingua fatta di codici.
Le opere sono inserite in teche – che rimandano alla dimensione museale – dislocate in diversi spazi del MAMbo (quali: reception, foyer, mezzanino e primo piano), fornendo al pubblico una nuova e inedita chiave di lettura di un movimento a cui la critica d’arte non ha rivolto la giusta attenzione.
La street art secondo Francesca Alinovi
Nata a Parma nel 1948, Francesca Alinovi è stata un’attenta ricercatrice dei movimenti artistici più sperimentali emersi intorno agli anni Settanta e Ottanta, e la prima in Europa ad approfondire il fenomeno del graffitismo, da cui è nata la street art. Trasferitasi a Bologna per approfondire i suoi studi, Alinovi decise di dare forma alla mostra Arte di frontiera. New York Graffiti alla Galleria comunale d’Arte Moderna di Bologna, con l’obiettivo di restituire al movimento il suo posto all’interno del sistema dell’arte.“Gli artisti a cui penso (e che sono grosso modo quelli elencati nei miei articoli: Keith Haring, Kenny Scharf, Ronnie Cutrone, Donald Baechler, John Ahearn, Houston Ladda più i graffitisti propriamente detti come Futura 2000, Fred dei Fabolous Five, Crash, ed eventualmente altri), sono tutti giovanissimi, per il momento facilmente accessibili, corteggiatissimi da direttori di museo e da mercanti. […]”, scriveva la curatrice in una lettera datata il 28 settembre del 1982 a Franco Solmi, l’ex direttore del museo bolognese. “Insomma credo che il momento sia buono per mettere in mostra una situazione inedita che farà tanto e tanto parlare”. Arte di frontiera. New York Graffiti inaugurò nel 1984 ma, purtroppo, la curatrice non ebbe modo di vederla perché assassinata il 12 giugno del 1983 nel suo appartamento.
La mostra “Frontiera 40. Italian Style Writing 1984 – 2024” al MAMbo di Bologna. Parola alla curatrice Fabiola Naldi
“Sono passati più di 40 anni da quando Francesca Alinovi iniziò a scrivere di graffiti intravedendo nel concetto di frontiera l’evanescenza dei confini e nella contaminazione estetica una nuova Avanguardia”, spiega la curatrice Fabiola Naldi. “Negli anni in cui la studiosa raccontava di questa nuova ‘frontiera’, la pittura stava superando lo spazio della cornice, si stava espandendo nell’ambiente, si stava smaterializzando nelle visioni futuristiche in cui un’unica piattaforma avrebbe condiviso e contaminato tutti gli stili e tutti i linguaggi, sapendo però interagire con un luogo sociale, antropologico, culturale complesso. Questa visione premonitrice permise alla studiosa di vedere oltre la superficie, di andare dove non si dovrebbe andare, di incontrare, parlare e quindi capire tutti quei ‘kids’ che, armati solo delle loro lettere e del loro stile in veloce cambiamento, stavano addestrando una nuova generazione di autori, sconvolgendo le sorti di tutte le metropoli occidentali”.
Valentina Muzi
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