Intervista allo street artist italiano Tellas tra sperimentazione e rigenerazione urbana
Il muralismo sardo e l’arte contemporanea, origine e quadratura del cerchio nell’opera dello street artist cagliaritano amato negli Stati Uniti. L’intervista
Riconosciuto nel 2014 dall’Huffing Post degli Stati Uniti come uno dei 25 street artist più importanti al mondo e nel 2015 inserito nella Contemporary Urban Guide come uno dei più influenti artisti al mondo, Tellas, al secolo Fabio Schirru (Cagliari, 1985) è il protagonista di questa intervista che ripercorre la sua carriera dagli esordi fino a una breve anteprima dei progetti futuri.
Intervista a Tellas
Iniziamo con le basi: la tua formazione e gli artisti di riferimento.
Il mio primo approccio creativo è avvenuto nel 1997, dopo aver visto delle riviste che al periodo si occupavano di hip hop in generale. Nella parte finale della rivista c’era una sezione riguardante i graffiti. Quella cosa mi aveva colpito molto, e dopo poco avevo cercato degli spray dal ferramenta per provare delle lettere su delle pareti abbandonate attorno a dove abitavo. Volevo farli anche io, sentirmi libero di scrivere il mio nome dove mi piaceva senza dover rendere conto a nessuno. Questo step è poi stato fondamentale essendo il primo approccio a una superficie verticale. Durante gli studi accademici ho invece capito che volevo avere una ricerca differente, e non solo fermarmi a quella delle lettere. Oltre gli artisti di riferimento che han dato il via alla parte pubblica e murale, posso citare alcuni nomi come Phase2, Sol Lewitt, Cy Twombly, Morandi e Olafur Eliasson.
Quando ha avuto inizio la tua carriera?
Verso il 2005 ho avuto la fortuna di incontrare nella città dove ho studiato (Bologna) persone che considero tra le icone del muralismo contemporaneo, soprattutto quello del primo periodo. Vedendo i loro lavori, scambiando esperienze mi son interessato alla pittura murale di grandi dimensioni. L’idea di poter dipingere una superficie di 2-3 piani e trasformare uno spazio in un arco di tempo ristretto con solamente un’asta telescopica e dei rulli e pennelli mi sembrava una cosa davvero potente. E soprattutto portare sul muro la mia ricerca, e non fermarmi alla rappresentazione delle lettere.
Da dove origina l’esigenza di esprimerti attraverso la rigenerazione urbana?
Credo che il lavoro dell’artista abbia solo una piccola percentuale in quella che viene chiamata Rigenerazione Urbana. Questo compito va dato agli architetti, e ovviamente alle istituzioni.
In parole più semplici: non credo che una facciata dipinta possa cambiare il modo di vivere di un quartiere se mancano le aree verdi, il controllo sui rifiuti o se oltre queste mancanze i palazzi hanno problemi strutturali.
Ritornando alla domanda, nel luogo dove sono nato e cresciuto (la Sardegna), il muralismo ha un importante tradizione che risale agli anni ’60, perciò li conosco da quando ero bambino. E la componente che mi è sempre piaciuta e che considero fondamentale è quella dell’azione pubblica. Un’opera dipinta su muro diventa poi di chi ci abita, e fruibile da tutti.
E questa è una differenza a mio parere molto importante rispetto alla pratica in studio, e all’arte nelle gallerie o musei. Cosa che comunque nel mio caso va in parallelo. La maggior parte dei muri che dipingo nascono comunque dal mio studio.
Tellas: arte e rigenerazione urbana
Ricordi il tuo primo intervento?
Il primo intervento non lo ricordo. Credo siano state varie sperimentazioni con spray e pittura nelle campagne accanto a casa mia. Non li definirei proprio interventi, ma degli studi, degli sketches.
Se dovessi pensare a un primo e vero intervento è la partecipazione all’edizione 2011 del Nuart, al periodo forse il festival di muralismo più importante in Europa.
Definisci il processo creativo di un tuo murale.
Per prima cosa vado a vedere, se possibile di persona oppure attraverso maps, dove la parete è situata. Questo mi permette di capire il contesto per creare un lavoro che abbia il più possibile un senso nello spazio in cui è collocato.
Tante volte parto alla ricerca di paesaggi, immagini e storie del posto, per poi fare diversi disegni. Molto spesso i progetti murali sono dei collage di vari disegni e sketches. Altre volte parto dalla palette colori, e poi vado a creare il progetto questi.
Nella realizzazione solitamente disegno prima con un’asta e un rullo, se possibile mi aiuto tenendo dei riferimenti come le finestre e balconi.
La maggior parte delle volte l’opera è diversa dallo sketch. Dipende sempre dal momento in cui sto lavorando. A volte il posto, oltre che il momento, ti consiglia diverse soluzioni rispetto al progetto iniziale. Credo sia anche il bello di questo lavoro.
Quanto c’è della tua terra nelle tue sperimentazioni?
Il paesaggio della Sardegna e soprattutto quello arido e aspro del campidano sono stati fondamentali nella mia ricerca. Ragionando con Alessandro Toscano, a mio parere uno tra i migliori fotografi in Sardegna, e anche lui proveniente dalla mia stessa zona, ci siamo detti che sintetizzando il Campidano questo è formato dal giallo del paesaggio arido e dal blu del cielo. E in effetti questi due colori sono spesso parte della mia palette colori, specialmente nei gradienti. Il paesaggio in generale è il principale elemento che osservo. E di sicuro quello della Sardegna è la base da cui sono partito per poi studiare gli altri.
La Sardegna nell’arte di Tellas
Dallo spazio pubblico a quello privato delle gallerie. Il passaggio è stato spontaneo?
In realtà è avvenuto da subito. Simultaneamente oltre che lavorare su parete ho sempre portato avanti il lavoro in studio. Ho sempre cercato di separare le due cose, e sentirmi libero di usare diversi linguaggi a seconda del medium. Dal disegno alla pittura fino all’installazione e agli ambienti sonori.
Vedo la ricerca come dei periodi, delle esperienze che poi finiscono e che a volte ritornano. Di conseguenza percepisco il mio lavoro in maniera seriale, sia su parete che in studio, come ad esempio durante il covid ho lavorato a una serie chiamata “mimesi”. Al momento sto lavorando ad un’altra serie chiamata “Patterns and grids”, un mix tra la fredda geometria delle griglie, contrapposta all’organicità dei pattern, forse la parte più conosciuta del mio lavoro.
Il tuo medium più congeniale.
Va a periodi anche questo. Di base, mi trovo molto bene a lavorare nello spazio aperto, e pubblico. Mi piace la connessione e interazione che si crea con lo spazio, il tempo e con le persone che ci abitano so solamente passano davanti. Altri periodi, sopratutto nei mesi piú freddi e con meno ore di luce, preferisco stare in studio a fare ricerca e lavorare su altri supporti, lavorare per gallerie e collezionisti. Oppure semplicemente per me.
Hai lavorato in tutto il mondo. Cosa rappresenta per te il viaggio?
L’opportunità di viaggiare mi ha dato tanto negli anni. Probabilmente sarei stato un altro artista o un’altra persona senza il viaggio. I neo-muralisti hanno questa fortuna, rispetto a un artista che passa tutto il tempo a esprimersi in studio. E nel mio caso è stato fondamentale, per come si è evoluta la mia ricerca. Inoltre, il viaggiare ha creato una sorta di comunità di artisti: un network di persone da tutto il mondo che scambia idee, esperienze e di tanto in tanto ci si ritrova a dipingere nelle stesse città nello stesso momento. Di tutto questo chiamiamolo “movimento” forse è la componente che mi è sempre piaciuta di piú.
Un piccolo riassunto di 10 anni di viaggi si trova nel libro “Appunti”. Prodotto da Press Press nel 2020, raccoglie 180 disegni tratti dai miei sketchbooks, tutti realizzati durante i miei viaggi.
Emergenza climatica: l’uomo che soccombe davanti alla natura che continua a devastare. Mi parli della serie di lavori dove hai affrontato questa tematica?
Ho cominciato ad affrontare questa tematica più o meno nel 2010. Ho creato per primo un lavoro seriale di incisioni e monotipi, lavoro che è durato per circa un anno.
Da questi son partito per lavorare alla mia prima mostra personale a Roma, alla galleria Wunderkammern nell’ottobre 2016. Chiamata “Clima Estremo”. Una mostra alla quale son ancora molto affezionato.
Ricordo ancora quando Giuseppe Pizzuto mi ha chiesto di fare questa mostra mi ha semplicemente detto di sentirmi libero senza legarmi all’estetica dei muri che stavo realizzando al periodo.
Forse per questo son ancora contento quando rivedo le foto delle opere installate. Questa tematica riecheggia molto spesso nella mia ricerca ed è ancora alla base dei miei lavori: clima, ciclo delle stagioni, catastrofi naturali.
La Sardegna sta per essere invasa da migliaia di pale eoliche. Come possiamo sopperire a questa catastrofe?
La Sardegna è una terra sfruttata da tanti anni tra servitù militari, raffinerie e la questione dell’eolico è l’ennesimo esempio. Non sono contro le nuove energie, ma non dalla parte della speculazione.
Arte e emergenza climatica in Sardegna
Mi sono sempre chiesta perché tra tralci, racemi, fogliame e rami emergano all’improvviso pietre. Hanno a che fare con il nome che hai adottato?
Le pietre sono un soggetto ricorrente nelle mie opere. È quell’elemento primitivo che mi riporta all’origine. E nella storia della terra dove son nato e cresciuto ha una particolare importanza.
Son sempre stato attratto da figure megalitiche come i menhir, ad esempio, e a questa possibile sacralità che gli viene attribuita. Ora che ci penso ho cominciato a disegnare le pietre prima dei pattern, è un soggetto molto forte e che ho poi utilizzato per dare un nome a quello che faccio.
Oltre che alla natura tue opere sono legate alla musica. Quali sono i tuoi gusti in merito?
Intorno al 2008 ho avuto questa idea di rappresentare con la musica gli stessi elementi che utilizzavo in pittura, creando dei paesaggi sonori. Con un registratore ho campionato suoni e paesaggi che visitavo, per poi creare un lavoro chiamato “Progetto Abitare”.
È un’esperienza che è durata per qualche anno. Riguardo gusti musicali, questo va a periodi. Se devo pensare a degli artisti che negli ultimi anni ho ascoltato particolarmente cito Loscil, Burial e Flying Lotus.
E per quanto riguarda il cinema?
Ad essere sincero non ho mai guardato tanti film. Grazie alle piattaforme web diciamo che guardo qualcosa in più, soprattutto in inverno. Una figura che mi è sempre piaciuta è quella di Harmony Korine.
I progetti futuri di Tellas
L’ultimo libro letto
“L’isola di cemento” di Ballard.
Qual è il tuo pensiero in merito all’AI?
L’ho scoperta recentemente e mi sembra interessante, oltre che pericolosa.
In un’epoca in cui la maggior parte delle persone fanno affidamento a qualunque cosa legge e vede sul web, questa potrebbe davvero essere un’arma di manipolazione. Come lo sono tutti i media d’altronde.
A cosa lavori in questo momento e quali sono i tuoi progetti futuri?
In questo momento sto lavorando a dei nuovi lavori in studio. Principalmente su tela, ma anche altri materiali come legno, neon e tessuto. Sono all’inizio di una nuova ricerca che non so bene quando terminerà, probabilmente nel prossimo anno con una mostra.
Roberta Vanali
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