L’artista Flavio Favelli e il fattaccio del suo murale censurato. L’intervista

È la vicenda di un progetto d’artista rifiutato e censurato, poi riproposto e detournato con un escamotage. A raccontarla è l’artista stesso in questa intervista

Lo scorso 15 ottobre 2024 Favelli presentava Qualche Fiore, un murale nato a Casalecchio di Reno sulle ceneri del progetto Regal, la cui vicenda è interessante approfondire oltre che per il valore finale dell’opera anche per i suoi risvolti sociali e, magari, per gettare un po’di luce sulle intricate dinamiche che legano istituzioni e arte.  
L’opera consisteva nel dipingere su una cabina elettrica le immagini di quattro etichette di whiskey come se fosse una grande scatola. La “superscatola”, come la chiama Flavio Favelli, scompone l’idea di contenitore presentando sfuocate immagini-stemmi celebrati in passato dalla propaganda pubblicitaria. Poi qualcosa non ha funzionato, almeno per i committenti. L’artista ci racconta cosa in questa intervista. 

Allora, Flavio, siamo in dirittura d’arrivo con “Qualche Fiore”, l’opera d’arte pubblica realizzata sulla cabina elettrica di Casalecchio di Reno. Questo lavoro ha alle spalle una storia particolare che mi spinge a chiederti una breve cronistoria di come si sono svolti fatti, prima di addentrarci nella disamina del progetto specifico, perché i Fiori, correggi se sbaglio, nascono dalle ceneri di un altro progetto: “Regal”. Conoscere le vicende che si sono susseguite fino all’opera che ora possiamo ammirare credo possa essere un modo per capire molte cose, soprattutto del rapporto arte-istituzioni. 
Da tempo, da più di dieci anni, cerco di eseguire pitture su muri pubblici, credo sia importante creare nuove immagini nello spazio pubblico. Cerco di eseguire, perché dipingere su muri pubblici è quasi esclusivo terreno della Street Art e dei suoi festival, Street Art oramai diventata banale decorazione al servizio di istituzioni e aziende. A Bologna la commissione consultiva per l’arte nello spazio pubblico ha recentemente respinto un mio murale sui militari italiani e allora ho provato con Casalecchio di Reno, con un progetto su delle immagini per me importanti, Regal.  L’opera consisteva nel dipingere sui quattro lati di una cabina elettrica le immagini di quattro whisky, come se fosse una grande scatola per bottiglia con marche diverse, le più famose: Chivas Regal, J&B, Johnnie Walker e Ballantine’s.  

Come si sono svolte le cose? 
Ho quindi proposto all’Assessora alla cultura Simona Pinelli questo progetto che è stato accettato e ha avuto il permesso dalla Soprintendenza (perché in questo paese, una pittura su una cabina elettrica in periferia vicino ad un canale, deve avere il permesso della Soprintendenza). Ho scelto questo progetto per molti motivi: questi superalcolici hanno rappresentato uno stile di vita, un ideale, dei prodotti non solo da consumare, ma da vivere. La loro provenienza, la Scozia, un paese whisky-brand, dove il tempo sembra fermarsi e le cose buone e vere rimangono inalterate, supporta e conforta quell’animo nobile che ognuno crede di avere. Questi quattro prodotti hanno sempre veicolato un immaginario di potere, con stemmi e blasoni che danno esclusività a prodotti che esclusivi non sono.  

Ad esempio? 
Il Johnnie Walker, con l’etichetta obliqua e il personaggio elegante e snob così gentlemen o la compostezza formale del Ballantine’s con la bottiglia da medicinale e lo stemma reale di Scozia o il Chivas Regal, il più regale dei whisky come diceva la pubblicità, che incarnava un periodo storico inimitabile. O il J&B, che col proprio logo è stato spesso sulla prima pagina del quotidiano La Repubblica, condividendo, negli Anni Settanta, tante immagini tragiche, compreso il rapimento di Aldo Moro. Ogni famiglia italiana possedeva, e possiede, una di queste bottiglie, un po’ per dovere, per avere qualcosa di importante da offrire, un po’ per avere simboli del jet set, anche se con figure araldiche di un tempo, alcune volte per passione, le passioni maschili, e altre perché semplicemente usava così.  

Flavio Favelli, Qualche Fiore, 2024. Photo Massimo Gennari
Flavio Favelli, Qualche Fiore, 2024. Photo Massimo Gennari

Ho un ricordo: queste bottiglie in valigette eleganti che regalavano a mio padre. Chi le donava e chi le riceveva erano al centro di uno scambio di valori, di qualcosa di importante. Forse perché conferivano all’individuo ambizioni immaginarie grazie al meccanismo pubblicitario in grado di proporle al consumatore in cerca di un posto di rilievo nella società. 
Credo che la grande religione aziendale, cioè della gente che è devota, con un credo, a un prodotto, al fine di venderlo, sia una grande e folle religione coi suoi adepti e con le sue vittime. Ma mentre le religioni storiche promettono la salvezza, questa promette poco, quasi nulla, se non un po’ di calore che dà l’acqua di fuoco e illude, coi suoi slogan seducenti che non vogliono dire nulla. Un nulla ammaliante, che riempie tempi morti dell’esistenza e dà senso e conforta l’identità di intere masse. Mettere insieme quattro immagini-loghi-brand-simboli di whisky vuole dire rompere l’incantesimo della sacralità del prodotto che di solito è immacolato e ammantato dal suo potere, come è presentato nel set della pubblicità. Il ruolo della buona arte è anche mettere le cose dove di solito non ci stanno e la superscatola Regal sarebbe stata una specie di colonna dipinta in modo differente dai facili segni ribelli della Street. Regal avrebbe indagato il potere di queste immagini regali e nobili, di grande seduzione legate ad un prodotto. Cambiare il significato dell’immagine di un prodotto, perché la cabina dipinta non poteva essere scambiata per una pubblicità tradizionale, vuole dire scomporla, vederla in altro modo; ed è questo uno dei compiti dell’arte, fare vedere le cose in altro modo. Ma questo è stato vietato da E-Distribuzione gestore della cabina. Credo che questo paese, da Carosello a Berlusconi coi suoi consigli per gli acquisti, nonostante il grande peso che hanno avuto nel costume italiano, abbia un rapporto ambiguo con la pubblicità. 

Poi se l’arte evoca la pubblicità allora viene bollata con sufficienza come pop. 
E anche si censura, perché la pubblicità la si guarda, ma non fino in fondo e Regal la voleva guardare in faccia. Ricordo un recente bando pubblico per artisti del Comune di San Lazzaro di Savena (in provincia di Bologna) che recitava a proposito dei possibili sponsor per le proposte d’arte: non devono riguardare o contenere messaggi relativi a: propaganda di natura politica, sindacale, religiosa e produzione o distribuzione di tabacco, prodotti alcolici, materiale pornografico, armi, droghe legali, promozione del gioco d’azzardo… L’arte non può essere confusa con la realtà e con queste regole da paese dittatoriale, gli artisti produrranno opere addomesticate per non turbare la cittadina di Seahaven di The Truman Show. Il tabacco e l’alcol sono legali in Italia e recentemente a Milano uno street artist ha dipinto una pubblicità di un whisky su commissione, pagato dall’azienda Jameson. L’intento del progetto Regal, invece, era quello di mettere insieme diversi brand, senza nessuna commissione, perché l’arte è libera e conduce ad un pensiero libero, mentre la pubblicità è a pagamento e impone consumo.  

E quindi cosa è successo? 
Appena prima di iniziare l’opera, il Comune di Casalecchio ha chiesto a E-Distribuzione, che gestisce la cabina, di verificarne la sicurezza. E qui sono iniziati i problemi. E-Distribuzione ha chiesto di vedere il progetto e lo vieta perché non rispetta i valori dell’azienda. Seppur non di proprietà di E-Distribuzione, la cabina elettrica rappresenta l’azienda. L’azienda chiede, senza nessun compenso per l’artista, la scritta sul muro “E-Distribuzione” e che l’opera diventi di sua proprietà. Nonostante l’imbarazzo per le richieste, ho pensato che abbandonare il campo sarebbe stato peggio; magari l’azienda avrebbe chiamato uno degli street artist che avrebbe seguito il banale stile delle cabine sostenibili che da tempo supporta. Il progetto Regal, censurato, è un progetto d’arte di un artista e ogni progetto d’arte, in un paese occidentale, che si ritiene libero, non può essere censurato. Il grande errore di E-Distribuzione è di avere letto, come del resto fa spesso la politica e purtroppo il cittadino non informato, il progetto esclusivamente in modo letterale. L’arte, proprio perché è arte, deve essere difesa nella sua eccezionale condizione di differenza e alterità. 

Quindi E-Distribuzione ha apposto un veto definitivo, nonostante le immagini non avessero nessuna connotazione pubblicitaria? 
In Regal, le immagini dei brand dei whisky non erano whisky, ma rappresentazione, opera d’arte. Si è mai visto una pubblicità in Italia con quattro marche di brand differenti insieme dipinte a mano libera? E, visto che non siamo in un paese mussulmano, non si capisce il divieto. Ma forse E-Distribuzione hai nei suoi valori quello di astenersi all’alcol? E cosa direbbe uno scozzese di questa vicenda? Che la sua bevanda nazionale è scomoda? O basta mostrare dei brand per vietarne la rappresentazione?  

O forse il problema è la pubblicità. 
Ma come ho detto Regal sarebbe stata un’opera d’arte, che sta su un altro piano rispetto alla realtà, ma questo l’azienda non lo capisce, come non lo capisce la politica, come l’opinione pubblica e come la Street Art, perché si ritiene che un’opera d’arte corrisponda al solo significato letterale, come i monumenti ai re o alla Resistenza. Ma ammettere e concepire un’arte solo celebrativa è solo riduttivo. È interessante poi che il Comune di Casalecchio e la Soprintendenza avevano dato il permesso all’opera d’arte Regal che sarebbe stata presentata con un incontro pubblico, mentre un’azienda privata, che opera nel mercato libero, censuri l’opera.  

Flavio Favelli, Qualche Fiore, 2024. Photo Massimo Gennari
Flavio Favelli, Qualche Fiore, 2024. Photo Massimo Gennari

E tu non demordi e proponi un altro progetto. Di cosa si tratta?  
Così ho dovuto fare un altro progetto, che sarebbe poi stato presentato ancora alla Soprintendenza per poi attendere i soliti mesi. Mi aveva colpito un’opera di Pino Pascali del 1964, dal titolo Ape, farfalle e fiori, dove l’artista dipinse, su acetato, dei fiori, come fanno i bambini. Allora ho pensato che potevo fare dei fiori, un po’ come hanno fatto i registi iraniani sotto il regime khomeinista, che con poesia, simbolismo e storie di bambini, hanno cercato di sopravvivere alla censura. Ho quindi proposto Qualche fiore, che non potevano rifiutare, così come il regime iraniano non poteva rifiutare quel tipo di cinema. Qualche fiore consiste in quattro tipi di fiori disegnati da me, uno per ogni facciata della cabina elettrica. Sono quattro fiori tratti da francobolli della Somalia, una serie del 1955, quando il paese fu messo sotto l’amministrazione fiduciaria italiana (AFIS), nonostante l’Italia fosse stata sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale. Sono francobolli con la scritta in italiano e in arabo, stampati a Roma. Fiori esotici, dai nomi strani e forme diverse di un paese lontano, ma anche vicino alla nostra storia.  

Con il riferimento alle ex colonie hai rischiato di nuovo che il progetto venisse bloccato
Non ho fatto riferimento all’origine di questi fiori, chissà cosa avrebbero detto: per queste aziende qualsiasi pensiero complicato e difficile è un nemico: il verbo aziendale è nessuna polemica, nessun pensiero, nessuna immagine strana perché il mercato, la prosperità ed il benessere possano scorrere tranquilli senza turbare i sogni di un cittadino regolare. E se deve avere arte, il popolo la deve avere facile e allegra, ed è la Street Art che dà tutte queste garanzie. Nel progetto avevo scritto che avrei dipinto a mano libera i fiori che avevo disegnato sul bozzetto, ma E-Distribuzione ha preteso che l’opera finale corrispondesse al rendering, evidentemente per evitare imprevisti pittorici – qualche petalo più grande del previsto? –  che avrebbero turbato i loro sogni tranquilli o i loro possibili clienti. Ecco dunque Qualche fiore. È una pittura spontanea, molto diversa dai bei fiori della Street Art. Sono fiori costretti dalla situazione culturale, sono fiori sofferti. Se la Street Art fa fiori, anche l’arte libera è costretta a fare fiori, perché come mi disse un cittadino arrabbiato: lavoro tutto il giorno e quando vado a vedere l’arte mi piacerebbe vedere solo cose belle. E i fiori sofferti non sono belli?  

Domenico Russo 

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Domenico Russo

Domenico Russo

Domenico Russo è laureato in Beni Artistici, Teatrali, Cinematografici e dei Nuovi Media presso l’Università di Parma. Ha collaborato con il Teatro Lenz e con la Fondazione Magnani Rocca. È impegnato come curatore in una ricerca che lo spinge alla…

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