Banksy: accanimento terapeutico o interesse economico?
Lo street artist più famoso del mondo torna a far parlare di sé con le polemiche sorte intorno alla struggente opera realizzata a Venezia nel 2019…

La vicenda del Banksy e della sua famosa opera a Venezia (scoperta all’epoca proprio da Artribune) ha acceso gli animi. Infatti, c’è chi sostiene che l’opera vada tutelata, per il suo valore artistico, e chi invece preferirebbe vederne la graduale scomparsa, in linea con il luogo in cui è stata realizzata. Un’ipotesi che, effettivamente, sembrerebbe coerente, per la scelta di luogo, tema e periodo che la caratterizzano.
La storia di “Migrant child” di Banksy
Come indicato da Analisi dell’Opera, infatti, Migrant child rappresenta “Un bambino con un giubbotto nautico che, in piedi, alza il braccio destro impugnando il fusto di una pianta da cui si sprigiona fumo rosa. Il fumo scende dietro di lui lasciando una traccia sul muro. I piedi e una parte delle gambe del bambino sono immerse nell’acqua del canale”. Lo stesso sito indica che l’opera è comparsa nel maggio del 2019 a Venezia, durante l’inaugurazione della Biennale Internazionale d’Arte; e ne propone un’interpretazione: “Banksy compie questo intervento proprio a Venezia la città delle grandi navi da crociera. Inoltre dialoga con l’installazione che è presente all’Arsenale. Christoph Buchel espone la nave affondata al largo delle coste libiche nel 2015 nella quale trovarono la morte quasi 1000 persone che vennero intrappolate nello scafo”. Una serie di circostanze che lasciano supporre che la posizione esatta dell’opera sia stata tutt’altro che casuale. Non risulterebbe dunque folle ipotizzare che la volontà dell’artista potesse essere proprio quella di vedere il bambino a poco a poco scomparire senza sollevare scalpore, accettando tale scomparsa per abitudine o come epilogo inevitabile.
“Migrant child” di Banksy un’opera da salvare o lasciar andare?
In una chiave di lettura così metaforica, potrebbe risultare anche poetico l’intervento di strappare (letteralmente) quel bambino al suo destino. Tirarlo via dal luogo in cui lo attende una morte certa e curarlo per farlo ritornare a splendere, magari in un luogo meno angusto, più protetto. Per quanto questa sia la più bella versione possibile di questa storia, c’è un elemento che fa riflettere anche i più ottimisti: si tratta di un investimento troppo grande per essere davvero finalizzato al solo compimento di un atto poetico.

L’intervento di Banca Ifis nella vicenda Banksy
E infatti, venerdì 14 marzo 2024, il presidente di Banca Ifis, in un comunicato stampa dichiara: “Siamo lieti di annunciare l’acquisto di Palazzo San Pantalon, che in seguito ai lavori di restauro, e messa in sicurezza, sarà restituito a Venezia per arricchirne il già straordinario patrimonio artistico”. In altri termini, Banca IFIS, che dedica parte del suo posizionamento strategico al segmento arte e cultura, ha dapprima acquistato l’immobile e poi ha avviato le operazioni per il restauro dell’opera. È dunque chiaro che la tutela dell’opera “rientri in un’operazione economica ampia, all’interno di un percorso di collaborazione tra pubblico e privato” come riportato nel comunicato.
Banksy un interesse non solo artistico ma anche economico
Ad essere di interesse, dunque, sono anche gli aspetti meno poetici e più pragmatici della vicenda. E per capirli, bisogna ritornare all’atto primigenio, ovvero la sua realizzazione nel 2019. Di nuovo, è importante la collocazione, questa volta sotto il profilo giuridico, perché l’edificio su cui Banksy ha realizzato l’opera è soggetto a vincolo di interesse storico-artistico. Condizione che, per diritto, obbliga la Soprintendenza a sporgere denuncia per imbrattamento.
Questo tassello è rilevante nella misura in cui posiziona l’opera in un limbo giuridico per alcuni molto appassionante. Come confermato dall’allora sottosegretario Sgarbi (2023) che dichiarò di essere il deus-ex-machina dell’intera vicenda di restauro. “L’opera, in quanto abusiva, non dispone di particolari tutele; quindi non rientra nella diretta competenza delle soprintendenze. Mentre rientra pienamente nelle competenze della soprintendenza la parete su cui tale opera è stata realizzata”.
Il limbo giuridico in cui si trova l’opera di Banksy
In sintesi: c’è un’opera abusiva, per cui la soprintendenza sporge denuncia. Opera che, per la sua rilevanza, rientra nella dimensione dell’interesse pubblico. Come sostenuto Sgarbi in veste di sottosegretario, “ovvero nelle competenze della Direzione Generale Contemporanea del Ministero, che potrebbe farne quel che vuole, in quanto abusiva”. Tuttavia, a fronte del valore simbolico e artistico del lavoro, nonché delle richieste del Sindaco di Venezia e del Presidente della Regione, lo stesso sottosegretario ha richiesto l’intervento di un istituto di credito, che ha risposto comprando l’intero immobile, così da averne la piena disponibilità e procedere al restauro dell’opera.
La metaforica conclusione sulla vicenda del Banksy a Venezia
Proprio dalle dimensioni più pragmatiche emerge la metaforica conclusione della vicenda. Come Sgarbi segnalò nel corso di una conferenza stampa dedicata. Il Ministero, nella persona del suo sottosegretario, ha agito in una condizione di accanimento terapeutico. Esercitando un eccesso di tutela, al di fuori del proprio perimetro d’azione, tanto da dover ricorrere al sostegno di un privato. Viene da chiedersi: cosa sarebbe successo se l’opera fosse stata realizzata da un autore meno mainstream? Probabilmente sarebbe stata rimossa. Cosa che non è accaduta perché “l’effetto Banksy”, come indicato dalla stampa di quel periodo, ha avuto un’immediata eco mediatica; tanto che l’agenzia Engel&Volkers, che ne curava la vendita, pubblicò immediatamente le foto dell’opera sul profilo dell’immobile. Con i se e con i ma non si fa la storia, eppure è lecito chiedersi se, a questo punto, ad essere al centro della tutela non sia l’atto artistico ma l’effetto economico che ha generato.
Stefano Monti
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