Giorgio de Chirico
Senza i suoi manichini e le sue piazze vuote e desolate non avremmo il Surrealismo. La pittura al di là del reale di de Chirico fu fondamentale per le Avanguardie future
Giorgio de Chirico è stato un pittore e scultore italiano, noto per aver posto i fondamenti della metafisica in pittura. Le sue opere, enigmatiche e intrise di profonda inquietudine, furono importantissime per lo sviluppo delle Avanguardie novecentesche. A cominciare dal Surrealismo: movimento che lo considererà in modo esplicito sua fonte di ispirazione.
Notizie biografiche di Giorgio de Chirico
La giovinezza greca
Giorgio de Chirico nacque nel 1888 in una ricca famiglia di nobili italiani, allora residenti a Volos, in Grecia. Il padre ingegnere e la madre baronessa gli assicurarono una formazione classica di alto livello, che comprese anche il greco moderno. Già a otto anni prese le prime lezioni di disegno, che lo condussero al Politecnico di Atene, dove si diplomò in pittura.
Studi tra Italia e Germania
Nel 1906, dopo la giovinezza passata interamente in Grecia, si recò in Italia, con la madre e il fratello. Prima a Milano, e poi a Firenze, per continuare nella culla della cultura rinascimentale gli studi artistici.
La sua formazione si concluse, poi, all’Accademia di Monaco di Baviera. È li che conobbe i pittori Max Klinger e Arnold Böcklin, principali esponenti del simbolismo tedesco.
La nascita della pittura metafisica
Un quadro in particolare è considerato l’inizio della pittura metafisica di de Chirico: L’enigma di un pomeriggio d’autunno. Lo dipinse nel 1910, dopo essere stato ispirato da Piazza Santa Croce, a Firenze.
Negli anni successivi, trascorsi a Parigi con il fratello, la sua produzione prese una strada nuova, nonché base dei futuri Simbolisti. Si immerse nella vita animata della città francese: partecipò al Salon d’Automne e al Salon des Indépendents, e frequentò artisti e intellettuali di spicco. Tra questi ci furono Apollinaire, Jacob e Picasso; ma soprattutto Gaugin, da cui si ispirò per la sua serie di piazze italiane. Di lì a poco, cominciò a includere tra i soggetti i suoi celebri manichini muti e compositi.
Il periodo ferrarese di Giorgio de Chirico
Durante la Prima Guerra Mondiale, i fratelli de Chirico si arruolarono come volontari, e vennero inviati nel reggimento di Ferrara.
Superato un primo periodo di difficoltà e spaesamento, la città degli Estensi divenne fonte di nuove ispirazioni. Abbandonando le piazze assolate, si spostò sul genere della natura morta. Genere tradizionale, ma che seppe interpretare in modo nuovo e personale. Realizzò composizioni di oggetti tra loro incongruenti, che accostavano oggetti di vita quotidiana a solidi geometrici e astratti.
Sempre a Ferrara, strinse amicizia con Carlo Carrà e Filippo de Pisis, suscitando in loro influenze ricambiate.
Giorgio de Chirico. Gli anni della maturità
Ormai celebre, de Chirico fu ammesso a partecipare alle Biennali di Venezia del 1924 e 1932, e alla Quadriennale di Roma del 1935. Si trasferì poi a New York, dove espose le sue opere alla Julien Levy Gallery.
La sua produzione non si limitò alla pittura, ma coinvolse anche le maggiori riviste di moda di allora (da Vogue a Harper’s Bazaar), e si estese fino al design di interni.
Nell’ultimo periodo si stabilì a Roma, e lì morì nel 1978 dopo una lunga malattia.
La poetica e lo stile di Giorgio de Chirico
Profondamente ispirato dal suo legame biografico alla Classicità greca, Giorgio de Chirico sviluppò una concezione pittorica al di là della realtà visibile. Il termine metafisico (ripreso dall’omonima filosofia greca) esprime a pieno questa volontà di non fermarsi al mondo concreto, ma di puntare oltre: verso ciò che è enigmatico e inquietante.
Il ritorno alla Classicità
Nato, cresciuto, e formatosi in Grecia, in de Chirico la Classicità era intrinseca nell’animo e nella mente. Le sue opere richiamavano spesso quel mondo perduto di bellezza idilliaca ed equilibrio. A volte con citazioni dirette (statue e architetture greche precise, come la Venere di Milo), a volte con il semplice silenzio e la perfezione delle atmosfere; l’approccio metafisico era però costante.
La presenza di un enigma irrisolvibile
Che ci fossero nature morte, o piazze cittadine, l’atmosfera delle scene era pervasa da un senso di enigma. Sorgevano domande sui soggetti presenti: su cosa significassero le vele accennate dietro gli edifici delle piazze, oppure come mai l’orologio segnasse un’ora inconciliabile con la luce solare rappresentata. C’era qualcosa oltre la realtà visibile, ma nessuno era in grado di spiegare cosa sia.
Le piazze desolate e assolate
Un tema chiave della sua pittura metafisica erano le piazze: ispirate alle città italiane, ma insolitamente deserte. Una delle opere considerate fondamento di questa corrente era “Enigma di un pomeriggio d’autunno”. Si trattava di piazza Santa Croce a Firenze, avvolta in un tempo indefinito, a cavallo tra la Classicità della statua e il presente delle due figure umane dipinte. Come in questo caso, spesso lo spazio aperto tra gli edifici era popolato da monumenti marmorei. Gelidi e muti, in genere di spalle, rivolti verso le pareti della piazza. Un possibile rimando alla siepe di Leopardi. Malgrado il tempo atmosferico fosse sempre assolato, era un sole che non scaldava. La sensazione restava quella di inquietante freddezza.
Colori caldi ma gelidi
La pellicola cromatica di de Chirico era un continuo ossimoro. C’era sempre il sole, ma mai il calore. L’uso privilegiato delle ocre e delle terre profonde aveva l’effetto contraddittorio di raffreddare le scene. Le architetture razionali aumentavano il senso di gelo e inquietudine; lo stesso valeva per le statue, il cui marmo era estraneo a qualsiasi accenno di caldo o conforto.
I manichini
Un altro soggetto caratteristico dell’artista erano i manichini. Composizioni di forme e materiali di varia natura, da cui emergevano freddezza e razionalità. Sembravano umani, ma non lo erano. Somigliavano piuttosto a robot, oppure a gelidi e impassibili automi. Mancavano in loro il sentimento e l’emotività, tipici dell’essere uomo.
Nel loro essere composti da tanti oggetti, suggerivano la condizione della gente comune, che consentiva al mondo esterno di farsi comporre, rinunciando a edificare se stessa in autonomia. Un’analoga passività risultava dalla mancanza nei manichini di braccia con cui agire, e volto con cui guardare ed esprimersi.
La realtà umana attuale era per de Chirico estremamente fredda e razionale, persa nel vano tentativo di misurare il mondo, come indicato dai righelli che componevano alcuni di essi. Vano: perché misurare spazio e tempo con metri e cronometri sarà sempre un’illusione.
L’incomunicabilità tra esseri umani
Tanto le piazze desolate, quanto i manichini senza orecchie né bocca, trasmettevano il silenzio caratteristico dei rapporti umani. Persino quando due figure erano accostate tra loro, come in Ettore e Andromaca (1917), i loro volti muti li mantenevano estranei l’uno dall’altro. Era l’immagine della società contemporanea secondo de Chirico, in cui era difficile comunicare tra persone, ma ancor più tra generazioni.
Emma Sedini