Premiato con il National Endowment for the Arts nel 1983 e presente alla Documenta 6 del 1977, nel 1980 Lucio Pozzi (Milano, 1935) è stato anche ospite del Padiglione statunitense della Biennale di Venezia perché, approdato a New York negli anni ‘60, prese la cittadinanza americana. I suoi cinquant’anni di attività artistica lo hanno portato in alcune delle più prestigiose collezioni, da MoMA e Whitney di New York al Pecci, passando per Panza di Biumo.
Come la vita di questo ultrasettantenne lombardo non ha una geografia nitida, anche il suo lavoro sfugge alle categorie: dai Level Group Painting (a partire già dai primi anni ‘70) ai video (presentati nel 1978 al MoMA), dai Rag Rug Painting (1996) alle Relocation (1990), alla tela 3×25 sulla facciata dell’Accademia di Belle Arti di Firenze (per realizzarla l’artista visse nel 2010 nel loggiato per tre settimane, dipingendo in pubblico).
Ora Lucio Pozzi è allo Studio Stefania Miscetti di Roma, dove si presenta in tutta la sua poliedricità con lavori realizzati con media diversi, seppur con una certa predominanza della pittura. Media e pratica artistica che tengono, però, sempre ben presente l’ambiente, sin dai suoi primi lavori realizzati nell’allora ancora poco noto PS1.
Appena entrati in galleria s’incontrano piccoli pannelli di un rosso intenso, attraversati da buchi perfettamente circolari disposti in modo apparentemente casuale, che sembrano segni dell’alfabeto Morse. Mentre i pannelli, nella loro ritmica disposizione, sembrano note di uno spartito…
In effetti, mi piacerebbe mettere in musica alcuni miei lavori, e che un musicista li suonasse. I 40 pannelli intitolati, appunto, 40 red planets, sono pannelli di compensato che mi hanno seguito per circa quarant’anni nei miei diversi traslochi. Un giorno, mentre stavo in studio, ed ero impegnato a dipingere un grande Flower Painting, mi sono nuovamente capitati tra le mani, così ho preso un trapano e ho iniziato a fare dei fori in vari modi, a diverse profondità, dipingendoli poi con smalto rosso, e realizzati uno al giorno (per questo ciascun pannello ha come titolo una data, dal 1° febbraio al 12 marzo 2010). Il mio procedere mi appariva così mistico, perché in tutto quel che faccio c’è un sentimento, una certa sensazione, quasi zen. Avvertire l’allestimento simile a uno spartito non è distante dalla sensazione che provavo mentre realizzavo i buchi. Perché per me è fondamentale vivere con grande attenzione a quello che si fa, senza generalizzare.
Per i pannelli hai determinato delle regole ben precise per la vendita: si parte da una quota base, che sale ogni volta che un pannello è venduto e, per ogni acquirente, non si può vendere più di un pannello.
Sì, è il modello Ryan Air: ogni volta che acquisti un biglietto aereo, il costo del posto aumenta. E siccome anche nell’arte vigono le regole del mercato, ho pensato di prenderlo un po’ in giro, inserendo nel prezzo il gioco, seppure sia un gioco molto serio. Infatti, negli anni ’67-’68, ho inventato Il gioco dell’inventario, che è la chiave di tutta la mia arte. Per le mie lezioni in classe ho realizzato un tinello in cui ci sono tutti gli ingredienti per fare arte: come un cuoco che cucina utilizzando tutti gli ingredienti con dosaggi diversi, così l’artista cucina le situazioni e fa arte utilizzando indistintamente pittura o scultura.
Ci sono poi i calchi di una zucca (The Eyes of Selen), a terra in un angolo, e, a parete, di due radici (The roots of Knowledge)…
Mentre The Eyes of Selen è un calco in alluminio fuso nella sabbia con escrescenze in ottone ed è di qualche anno fa (2004), gli altri due (The roots of Knowledge) sono fusione in alluminio una e fusione in bronzo l’altra, e sono stati realizzati appositamente per la mostra. Sono tre lavori connessi tra loro e con i tre acrilici su carta a parete, appartenenti alla serie Crowd Group, con fiori che occupano l’intero spazio del foglio e dove, nuovamente, è presente un rettangolo. Perché il rettangolo è una figura che esiste solo in verticale, come i muri, e perciò è fluttuante negli acrilici. Nel calco della zucca ho volutamente lasciato gli spurghi della fonderia, che sono le due escrescenze in ottone, perché, appunto, mi sono apparsi come due occhi abbinati alla ricca simbologia di questo frutto. Nell’opera, fondante il suo significato, è anche il titolo, come quello dell’intera mostra: se ti giri, vedi l’orizzonte che si addensa, cioè voltarsi e andare in polemica col progresso.
Daniela Trincia
dal 24 febbraio al 9 aprile 2011
Lucio Pozzi – se ti giri, vedi l’orizzonte che si addensa
Studio Stefania Miscetti
Via delle Mantellate, 14 – 00165 Roma
Orario: da martedì a sabato ore 16-20
Ingresso libero
Info: tel. +39 0668805880; [email protected]; www.studiostefaniamiscetti.com
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