Beato lui!
Questa passerà alla storia come la Primavera dell’Arte Pubblica. Da Firenze a Roma, le polemiche, le discussioni, i dibattiti e i confronti si susseguono. Il protagonista principale continua a essere lui, il Papa Beato di Oliviero Rainaldi installato davanti alla Stazione Termini. Una scultura brutta, a cui già ci siamo affezionati.
La vicenda che sta circondando di polemiche la nuovissima statua firmata da Oliviero Rainaldi e dedicata al Beato Papa Giovanni Paolo II sta passando il segno. Sta ammantando di ridicolo, di patetico, di sciatto una tra le più grandi personalità internazionali di tutto il Novecento. Sta umiliando l’immagine della capitale d’Italia in un periodo nel quale (tra biennali di scultura e direttori di museo che se la danno a gambe) questa immagine davvero non abbisogna di ulteriori scossoni.
Tutti sono saltati sul carro dei censori della “scandalosa” scultura del Papa polacco. Pare una garitta, pare un cesso pubblico, verrà abitata dai rom, ha la capoccia che pare tanto quella del Duce. Stampa, politica, alte gerarchie ecclesiastiche: la bocciatura è stata unanime. La scultura è brutta. Vabbene, succede. Quando si decide di incaricare un artista – con sto vizio di farlo senza concorso – capita che l’opera non sia ciò che ci si aspetta. Capita (anche se no, non dovrebbe capitare) che il bozzetto sia completamente diverso dalla fusione effettiva del bronzo. Capita che tutti siano concordi nel definire il lavoro non consono.
Ma tutto questo giustifica e legittima richieste fuori dalla grazia di Dio, come la composizione di una commissione di saggi per giudicarla, come il lancio (adesso?) di un concorso internazionale per modificarla, come addirittura la volontà di rimuoverla a furor di popolo, naturalmente dopo l’ennesimo falso referendum cui la Giunta Alemanno ha abituato i suoi cittadini?
Davvero un’opera d’arte pubblica può essere rimossa, eliminata, buttata via solo perché “non piace” alla gente? Ciò che non piace alla gente ha davvero scadente valore artistico? E ciò che invece piace è davvero meritevole di essere esposto in spazi pubblici? Rabarama, Mitoraj, Botero piacciono da matti alla “gente”. Solo per questo possono avere il via libera – come effettivamente fanno – a occupare militarmente una preoccupante percentuale di piazze italiane?
In un Paese dove si fa arte pubblica in maniera scadente da anni; di più: in un Paese dove da anni l’arte pubblica è totalmente ignorata e passata sotto silenzio, già solo il fatto che si parli di una scultura, per giorni, su tutti i giornali, alla televisione, è cosa rimarchevole. Già solo il fatto che la gente si confronti, già solo il fatto che la gente protesti, già solo il fatto che becere associazioni di estremisti cattolici appongano manifesti di sfottò (è successo ieri, sempre addosso alla statua del povero beato) è positivo. Perché l’arte pubblica si fa con le sculture, non con inquietanti calchi fedeli all’originale. E quando si fanno sculture, può capire che queste vengano fuori discutibili, impacciate e goffe come questo lavoro di Rainaldi. Non sappiamo come la vedete voi, ma il concetto che vorremmo affermare è che qualcosa di brutto è molto, ma molto meglio di qualcosa di banale.
Se dal Campidoglio o da Oltretevere sono così convinti che l’opera non sia adeguata, tutto dovranno fare fuorché arrivare all’assurdo di rimuoverla. Diventerebbe, ancor più di quanto non sia oggi, la scultura più famosa del mondo. In barba a chi la considera inadeguata. Senza contare quanto il brutto “tiri” e quanto porti male, ad Alemanno e non solo, annunziare rimozioni e spostamenti di opere d’ingegno. Anche la Teca dell’Ara Pacis firmata da Richard Meier era ed è (in gran parte a ragione, per la verità) brutta e fuori scala, sta di fatto che da anni è diventata uno dei cinque musei più visitati della città. Allo stesso modo, il Papa di Rainaldi è da giorni e giorni circondato acca ventiquattro da stormi di turisti con telefonino in mano a mo’ di macchinetta fotografica. Perché il brutto smuove le meningi, pone dubbi, elimina le certezze e cancella aure rassicuranti. Anche quando si parla di sacro.
Comunque, la chiosa più adeguata l’ha pronunciata Francesco Giro, sottosegretario alla cultura: “Queste polemiche non fanno che danneggiare l’immagine di Roma. Ma poi, volendo sostituire l’opera, chi pagherebbe? Il Comune?”. Al Campidoglio e alla Pontificia Commissione per le opere d’arte se ne facciano una ragione: la scultura è lì e ce la dobbiamo tenere. E il fatto che molti cittadini la critichino vuol dire una cosa sola: la considerano già parte della città. Una città che, quanto a brutture, avrebbe ben altro a cui pensare.
M. T.
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