Ecco come salvare il Padiglione Italia (e la faccia) in quindici giorni
La Biennale di Venezia inaugura praticamente domani. E l’Italia, il Paese che ospita la più importante rassegna d’arte contemporanea al mondo, ancora non ha un Padiglione. Chi doveva curarlo ha ciurlato nel manico per mesi e poi è scappato dando le dimissioni. Di chi è la colpa? Di una politica di livello infimo, che gioca al totonomine e ai giri di poltrone sulla pelle di migliaia di operatori, appassionati, artisti, pubblico, collezionisti, galleristi, investitori. Insomma, in barba a tutti noi. E allora? Semplice la proposta di Artribune: che Galan accetti di buon grado le dimissioni di Sgarbi. E che nomini un giovane lucidamente folle per immaginare una mostra credibile in due settimane. Quello italiano potrebbe trasformarsi da padiglione più patetico a padiglione più interessante della rassegna.
Le ennesime dimissioni di Vittorio Sgarbi da curatore del Padiglione Italia, anche se forse lo stesso Vittorio Sgarbi non se ne rende conto (figuriamoci il Ministro Galan), stan facendo fare una figura ignobile, a livello planetario, a tutto il settore dell’arte contemporanea italiano. Stanno facendoci perdere credibilità, ruolo, immagine. Stanno infangando la nostra già poco brillante visibilità internazionale.
Scene ridicole di tal fatta (siamo ormai al “mi dimetto perché c’è la crisi libica“) sono un inedito nella storia della Biennale che, nonostante tutto, è e resta la rassegna d’arte contemporanea più importante al mondo. In questa rassegna ciascun Paese ha la sua presenza nazionale, una chance importantissima che arriva ogni due anni e che l’Italia sta utilizzando solo per seviziare se stessa, peraltro nell’anno del Centocinquantesimo anniversario della Patria.
Manca esattamente un mese all’inizio della Biennale, e il neoministro Galan ha il dovere politico e culturale di fare qualcosa. Innanzitutto le dimissioni vanno assolutamente accettate: rimandarle al mittente significherebbe ipotecare definitivamente la partecipazione italiana alla kermesse, visto il deficit assoluto di organizzazione, di chiarezza, di trasparenza, di rispetto verso gli artisti che ha contraddistinto questi mesi di preparazione. Le segnalazioni che giungono nelle redazioni della stampa di settore sono definibili in un solo modo: raccapriccianti. Parlare di pressappochismo è un eufemismo grande così. Con ogni probabilità Vittorio Sgarbi si sta dimettendo proprio perché ha capito che la mostra che aveva in mente non potrà inaugurare: non si sa chi sono gli artisti, non sono partite le organizzazioni per le mostre regionali, non si sa quali spazi si dovranno e potranno utilizzare nella città di Venezia visto che il Vittorio nazionale ritiene insufficiente gli sconfinati 3000 mq del nostro padiglione nazionale.
Non ci interessa ora sapere di chi è la colpa. Non è importante capire se la situazione si è generata a causa del pressappochismo del curatore, a causa della incapacità dell’apparato organizzativo, a causa dei millantati bastoni tra le ruote che Sgarbi avrebbe avuto. L’importante è reagire.
Dunque le dimissioni, stante la situazione, stante addirittura l’inesistenza di una lista ufficiale degli artisti invitati (le altre grandi potenze artistiche hanno “fatto i nomi” ufficialmente tra gennaio e settembre 2010!), le dimissioni, dicevamo, sono un’occasione da cogliere.
Galan deve agire in maniera performativa. Prendere in mano la situazione, rivoltarla a suo favore (politico) e a favore del Paese (culturalmente parlando). Deve sprigionare la quintessenza dell’arte di arrangiarsi che contraddistingue la nostra autolesionista civilizzazione.
Accetti di buon grado le dimissioni, azzeri quanto fatto sin’ora (si potrebbe confermare soltanto la rete degli inviti e delle mostre negli Istituti Italiani di Cultura, all’estero, dove l’organizzazione è già iniziata e in alcuni casi è in fase avanzata) e incarichi un curatore giovane, preparato, un “folle” in grado di riuscire, in due settimane, a mettere insieme un disordinato ma interessante compendio dell’arte italiana oggi. Magari una mostra in divenire. Magari una mostra che cambi durante i mesi di apertura della grande kermesse lagunare. Magari una mostra che ci accoglierà con gli artisti intenti a installare durante i giorni dell’opening riservato agli operatori. Il ritratto di un Paese che reagisce alla cialtronaggine, alla sciatteria, alla impreparazione, agli incarichi utilizzati come squallida merce di scambio nei bassifondi della politica di serie C.
Potrebbe essere divertente ed entusiasmante, per una volta. Tremila e passa metri quadri impaginati in quindici giorni. Una roba da andarci su tutti i giornali del mondo, caro Galan: il padiglione nazionale più visitato della Biennale. Una scarica di adrenalina. Una dimostrazione di vivacità intellettuale. Un regalo alle forze migliori che ancora soppravvivono, nascoste, tra le pieghe di un paese in declino inesorabile. Una capacità unica – questa non ce la toglierà mai nessuno, ne sappiamo qualcosa anche qui ad Artribune – di reagire alla grande alle difficoltà. Energia per tutti. Passaggio istantaneo, per tutti coloro che lavorano nel mondo dell’arte e per tutti coloro che seguono il settore con passione, dall’avere un padiglione di cui doversi vergognare ad averne uno, invece, di cui andar fieri. Dove accompagnare gli amici stranieri: “Vieni a vedere cosa diavolo abbiamo combinato in un mese“. Un mese: 15 giorni per pensare la mostra, 15 giorni per allestirla. Una atrocità istituzionale che farà parlare. Tutti.
Gli artisti bravi ci sono, altroché! Ma i curatori in grado di compiere l’impossibile? Beh, dopo tutto ‘sto papier non possiamo tirarci indietro e un nome lo facciamo: Andrea Bruciati. Il direttore della Galleria Civica di Monfalcone, che da oggi ci odierà a morte per il resto dei nostri giorni, potrebbe avere il profilo adatto per una totale pazzia come quella che abbiamo prefigurato.
Ora, Ministro Galan, la soluzione ce l’ha bella e pronta. Decida lei se salvare la faccia del Paese sul palcoscenico mondiale dell’arte, decida lei se rilanciare o se marcire, certificare una ulteriore, gravissima débâcle, accettare soluzioni tampone, rassegnarsi alla mediocrità. Ma in questo caso, caro Ministro, segua il consiglio di Vittorio Sgarbi: si dimetta.
M. T.
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