Rabarama a Palazzo Pitti. Ma si può?
Non solo ce la dovremmo sorbettare al Padiglione Italia alla Biennale. Rabarama, artista nota ai più affezionati telespettatori di Telemarket, sarà anche a Firenze, in una grande mostra d’arte pubblica che l’assessore comunale ha bollato come “marchetta”. E la polemica monta.
Per l’arte pubblica italiana è un periodaccio. O forse un ottimo periodo. Insomma, dopo anni di indifferenza, finalmente se ne parla, ci si confronta, si litiga, ci si indigna, ci si schiera. Da Milano (soprattutto grazie a Maurizio Cattelan con i suoi bambini impiccati, anni fa, e con il suo dito medio, lo scorso anno), a Roma (l’ignobile Biennale di Scultura e la controversa statua del Beato Giovanni Paolo II di cui ri-parleremo nei prossimi giorni), passando per Firenze, dove un gran polverone si sta alzando nei confronti di un’esposizione di lavori dell’artista Rabarama in alcuni spazi pubblici della capitale mondiale del Rinascimento.
Il polverone non è nato – come sarebbe stato auspicabile – dal fatto che una città di indiscutibile valore artistico ospiti in propri significativi spazi pubblici delle sculture di discutibile valore artistico. La polemica è sorta invece per una dichiarazione dell’assessore alla cultura del Comune guidato da Matteo Renzi. Giuliano da Empoli non ci è andato tanto leggero e ha sentenziato che la mostra di Rabarama a Palazzo Pitti, Giardino di Boboli e dintorni non è altro che “una marchetta”. Un favore “agli amici degli amici”.
Null’altro che l’ennesimo scontro tra Comune, Soprintendenze e Polo Museale Fiorentino. Con la capa di quest’ultima istituzione, Cristina Acidini, intenzionata a rivolgersi ai suoi legali per testare il quoziente di diffamazione delle dichiarazioni dell’assessore. Oltre che ipotizzando vie legali, i funzionari del Polo Museale rispondono che è tutto in regola: è arrivata una richiesta, è stata ritenuta valida, è stata accettata a patto che la controparte si pagasse tutte le spese, compresi gli straordinari del personale. La cosa ci fa tornare in mente l’installazione della immonda scultura di Seward Johnson nel bel mezzo del quartiere Eur a Roma (altra area delicatissima e architettonicamente iper-pregiata), anche lì chi doveva decidere ha visto che era a gratis e ha detto sì. Senza badare minimamente alla qualità.
Già, la qualità. Qualcuno potrebbe dire che è opinabile. Che dipende dai gusti. Ma non è così. Perché l’arte è scienza molto più esatta di quanto si creda e i parametri per valutare se un artista è adeguato per certi contesti sono chiari. Rabarama dichiara alla cronaca di Firenze de La Repubblica che Giuliano Da Empoli dovrebbe documentarsi sul suo lavoro “perché tutto è disponibile su Google”. Già. Ma il problema, signora Rabarama, è che le opere d’arte, per poter avere la chance di confrontarsi con piazza Pitti o col Giardino di Boboli, non devono stare solo su Google, ma nei musei (in quelli veri) e nelle grandi mostre internazionali (quelle vere).
Ora, a parte il Padiglione Italia della prossima Biennale (che davvero non fa testo), in quali mostre internazionali è stata invitata Rabarama? In quali grandi pubblicazioni è presente con le sue opere? Quali indiscutibili teorici e critici d’arte hanno scritto di lei? Di più: in quali grandi musei del mondo sono collezionati i suoi lavori? Alla Tate è presente? Al MoMA? Al Reina Sofia? Al Pompidou? In quale grande museo tedesco? Non sono nomi a caso, sono i nomi che dovrebbero servire a personalità come Cristina Acidini per avere una impeccabile cartina di tornasole che consenta di dire un sì o un no credibile a proposte di collaborazione più o meno peregrine.
La Acidini ha verificato la presenza dell’artista Rabarama nelle grandi collezioni internazionali e ne ha trovato riscontro? Allora ha fatto bene il suo lavoro e ha salvaguardato gli spazi pubblici che le sono affidati. Se invece non ha effettuato questa verifica e se dunque, per puro azzardo, Rabarama non dovesse risultare presente in questi contesti, la Acidini avrebbe fatto non una marchetta, ma qualcosa di ancor peggiore: avrebbe umiliato i contesti unici al mondo che ha il dovere di tutelare.
Ma, d’altronde, per una città che ha ospitato una infinita schiera di bronzi di Botero, una Rabarama in più o in meno cosa può cambiare…?
M. T.
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