Americani a Roma
Quando Galileo non era esattamente benvoluto a Roma. Mentre adesso, all’American Academy, addirittura è il soggetto di un cabaret. Cogliamo una delle tantissime occasioni per raccontarvi cosa fanno gli Usa dell’arte nella Capitale. Dalla viva voce di Corey Brennan e Lexi Eberspacher.
Il lavoro del pittore è scandito dal ritmo di due momenti; nella meccanica del movimento respiratorio, l’artista si avvicina alla tela per stendere il colore, poi si ritrae per collocare il segno nell’ordine della composizione. Nell’ottica del pittore, la visione di Roma dal Gianicolo è sintetica; il colle offre quella certa silenziosa distanza, la condizione ideale per la messa a fuoco. La città eterna sembra acquisire un’inaspettata coerenza.
Alzando lo sguardo verso l’alto, invece, il Gianicolo non offre più il privilegio di cui ha potuto godere quel 14 aprile 1611 il nostro Galileo Galilei, che sul Gianicolo si trovava per presentare pubblicamente il suo telescopio. Visto dall’Urbe, il Gianicolo dissimula la bellezza di quel giardino calpestato 400 anni fa dal padre delle scienze moderne, e che oggi ospita la cosiddetta Casa Rustica. Qui, tra gli archi, le siepi e le arcate di rami, vive, in un tempo fuori dal tempo, una delle istituzioni americane di ricerca più prestigiose all’estero: l’American Academy in Rome.
Il ciclo d’eventi Galileo nasce per celebrare la coincidenza astrale che ha intrecciato a distanza di quattro secoli le storie di Galileo e dell’Accademia. Il 14 aprile, in occasione dell’evento conclusivo Galileo Cabaret, l’AAR spalanca le porte ai i suoi ospiti, li introduce a un palcoscenico inedito, a uno spettacolo fatto di continue sovrapposizioni di piani. I propositi neoclassici di McKim dialogano con la modernità del Galiei, la scienza incontra l’arte, le parole diventano immagini, i suoni emozione. Gli interventi dei 14 artisti coinvolti tracciano un taglio orizzontale tra gli ambienti dell’Accademia: ingresso, galleria, cortile, giardino, casa rustica.
In una sorta di battesimo della luce, l’opera Leoni di Paola Pivi depura e inizia gli avventori, li attende, in galleria, la serie di strumenti ottici della Specola Vaticana. Tutto accade sotto lo sguardo di un Ontani guiscardo (GalileoChiniLei). Oculari, lenti, telescopi, un Dj; malinconica nota glamour.
Oltre il cortile, il sipario si apre nel Bass Garden sul poetico I will keep a light burning di Renaud Auguste-Dormeuil, gli alberi custodiscono le note d’altrove di Culture Brothers, sfiorano le parole di Galileo’s Daughter di Dava Sobel. La Casa Rustica si offre alle magiche proiezioni di Galileo’s Eyes a cura di Enzo Aronica, l’intervento di Helidon Gjergji nelle fondamenta ammonisce a tenere sempre alto lo sguardo.
Galileo Cabaret ha offerto un buon ritratto del complesso di attività in cui l’Accademia è impegnata. Artribune incontra la responsabile del dipartimento programmazione artistica Lexi Eberspacher, il direttore della scuola di Belle Arti Karl Kirchwey e il direttore della Scuola di Studi Classici Corey Brennan.
L’AAR, per le potenzialità che offre e l’indipendenza da istituzioni nazionali, si pone come franco porto di scambio tra Roma e il mondo. “Dobbiamo la gran parte di questo onore al Roma Prize, che da anni assegna a circa trenta artisti, rappresentanti la massima condizione di eccellenza nelle discipline artistiche e umanistiche, una borsa di studio e la possibilità di vivere Roma da 6 mesi a 2 anni”, dichiara Corey Brennan.
Sempre più spesso, Roma e l’Accademia si riconoscono e si scambiano occhiate complici: “Da diversi anni la tendenza è quella di accorciare le distanze tra la vita dell’Urbe e l’AAR”, racconta Lexi Eberspacher. “Stiamo cercando di assottigliare il senso di timore reverenziale che il complesso sembra incutere sui normali avventori del panorama culturale romano. I risultati non mancano. I biglietti disponibili per Galileo Cabaret erano 400, abbiamo stimato una partecipazione di 700 presenze”.
Sul fronte produzioni, l’osmosi con l’ambiente cittadino sembra essere non meno prolifico. Ancora Lexi Eberspacher: “Le collaborazioni dell’Accademia col mondo intellettuale romano hanno portato risultati notevoli. Due esempi: ‘Beware of the Wolf’, ideata e creata a fianco di Lorenzo Benedetti, e più recentemente ‘Accademia Stanze Persone’, che si è avvalsa del contributo di Luca Massimo Barbero raccogliendo i lavori dei 15 artisti del programma Italian Affiliated Fellows in the Arts ospiti dell’AAR tra il 2006 e il 2011”.
Nonostante la crisi imperante, l’Accademia riesce a garantire uno standard di frequentazioni elevatissimo: musicisti e artisti di fama internazionale, intellettuali di grande levatura, premi Nobel. “Il fattore finanziario è tutto fuorché secondario”, sottolinea Karl Kirchwey. “L’AAR si può però avvalere della più sana cultura mecenatista tipicamente americana, se non manca in ogni caso il generoso contributo di enti italiani come, ad esempio, Nando Peretti Foundation”.
Luca Labanca
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