Del Teatro Valle come risorsa. Anche economica
Doveva essere una tre-giorni di occupazione del teatro romano. Le risposte, almeno alcune, sono arrivate, tanto da far parlare di vittoria (parziale). Ma la questione non è affatto chiusa. E la protesta continua. Allora siamo andati a scovare qualche dato e qualche cifra.
I giorni di occupazione del teatro Valle sono passati dai tre annunciati il 14 giugno a chissà quanti altri ancora. Ieri gli occupanti hanno divulgato un comunicato in cui esplicitavano la volontà di continuare la protesta per tutto il tempo che riterranno necessario a chiarire se e come accogliere le dichiarazioni di intenti collaborativi dell’assessore alla cultura del Comune di Roma Dino Gasperini.
Due giorni fa è stata approvata la delibera per il passaggio della gestione dal Ministero dei Beni Culturali a Roma Capitale attraverso un protocollo di intesa a partire dal 1° luglio. Gasperini ha assicurato che il Valle resterà un teatro pubblico e ne sarà affidata l’organizzazione temporaneamente al Teatro di Roma in attesa di un bando. Il problema che gli occupanti si pongono è di vigilare sulla nitidezza – secondo loro niente affatto scontata – di tale bando e di contribuire alla compilazione attraverso dei tavoli di discussione partecipati dagli operatori del settore.
Ma non si tratta probabilmente solo di questo, e lo ha intuito il sottosegretario ai Beni Culturali Francesco Maria Giro, che mette le mani avanti parlando già di occupazione “illegittima e pretestuosa”. La paura è evidentemente quella di una rete di spazi che raccolgano le istanze di protesta e di mobilitazione culturale che da più parti emergono. Intorno a Sant’Eustachio si respira infatti una diffusa volontà di autorganizzazione da parte degli occupanti e, già dal primo giorno di assemblee, si parlava di una programmazione collettiva e di gemellaggi con spazi occupati come il teatro del Lido di Ostia, il De Merode alla Garbatella, l’ex cinema Palazzo a San Lorenzo. Riappropriazione e dignità alla cultura, tempo di cambiamenti, ora di svegliarsi: questo è quanto si declama nelle assemblee sulle poltrone di velluto rosso.
Ma cosa significa gestire uno spazio del genere per un anno? Chiunque se ne farà carico si troverà ad affrontare dei costi fissi di circa 1,5 milioni di euro (di cui 2/3 servono per pagare il personale fisso, composto da 21 unità più le maschere stagionali, il resto va per il mantenimento della sala). Negli ultimi 5 anni, nonostante la contrazione dei consumi culturali generalizzata, il Valle è riuscito sostanzialmente ad autofinanziarsi le stagioni grazie al botteghino e ad altri introiti. E se non è possibile recuperare i dati relativi all’andamento della stagione appena conclusa, perché gli uffici con le carte sono al momento chiusi, sappiamo però che la stagione 2009/2010 aveva chiuso con un + 39% di presenze, abbonamenti in crescita del 35%, incassi incrementati del 23%, che attestavano il Valle al primo posto in Italia fra i teatri di capienza media, sino a 600 posti – secondo la borsa teatro dell’Agis – confermando la positività di una scelta progettuale dedita alla ricerca, alla sperimentazione, alla formazione, con eccellenze nazionali e una vocazione internazionale.
È naturale che, alla luce di questi dati, oltre che dell’affetto della città per un teatro storico, nessuno possa rassegnarsi a un futuro incerto e rischioso. Se a ciò aggiungiamo che nel Lazio il volume d’affari delle attività teatrali negli ultimi anni si è attestato sugli 80 milioni di euro, e che parliamo della Regione in cui è aumentato di più (+25%) dal 2008, che la spesa del pubblico al botteghino in un anno è aumentata di quasi il 10% e in totale le presenze sono aumentate del 15%, mentre quasi ovunque in Italia sono in calo (dati SIAE), allora capiamo ancora meglio cosa significhi un teatro trainante come il Valle per questa città, per la sua economia e crescita culturale.
Perché non è vero che una gestione pubblica per cultura corrisponde sempre al foraggiamento di imprese in perdita e parassitarie, come una corrente di pensiero al governo tenta di far credere. È dunque particolarmente importante che un’istituzione così funzionale e funzionante venga guidata con competenza e trasparenza.
Cristiana Raffa
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