Romaeuropa, Palazzo Grassi e ritorno. Com’è, ai tempi dei tagli, gestire grandi istituzioni culturali in Italia? Una sfida avvincente o una gran scocciatura?
L’incarico a Venezia è stata una parentesi come quella di Francofonia o gli incarichi all’Ambasciata del Portogallo e alla Camera dei Deputati francese. In ciascuno di questi viaggi fuori del mio diretto centro di interesse, che è lo spettacolo dal vivo e la performance, cerco la scoperta. La molla per Venezia è stata curiosità verso una città che ha stimolato tanta arte e tanta letteratura: lì ho scoperto la parte dell’arte legata al business e al mercato. Ma Venezia mi ha anche dato la grande opportunità di partecipare alla creazione di Punta della Dogana come spazio espositivo.
La “questione soldi” in tutte queste situazioni, anche se importante, non è sempre centrale. Così, se da una parte è vero che cercare i finanziamenti come elemosine è una grande scocciatura, dall’altra può diventare una sfida.
In realtà, per quanto riguarda Romaeuropa, gli stanziamenti per quest’anno dovrebbero essere mantenuti. Qual è il modello di business della fondazione? Qual è il tasso di autofinanziamento?
Sì, ci sono stati confermati i finanziamenti del Comune, mentre Regione e Provincia appaiono più in difficoltà. In totale nel 2010 abbiamo ricevuto circa il 47% di finanziamenti pubblici, fra Stato, Regioni ed Enti locali, mentre riusciamo ad autofinanziarci per circa il 53%. Interessante il fatto che circa il 75% del nostro bilancio è utilizzato per l’attività artistica, e solo il 25% per le spese di funzionamento della Fondazione. Altra cosa cui teniamo molto è lo sviluppo con i privati di progetti specifici: è il caso della Romaeuropa Webfactory insieme a Telecom Italia e della mostra Digital Life allestita a La Pelanda nel 2010 grazie alla Camera di Commercio.
Quale sarà il segno della sua gestione sulla Fondazione Romaeuropa? Qual è il suo programma?
Il mio segno sarà la continuità e quindi, paradossalmente, del cambiamento incessante. Romaeuropa è nata come una sfida, ricerca ed evoluzione continua. Questo è nel suo dna. Continueremo a inventare e cercare chi nel mondo crea, e in Italia rischia.
Continuerà la particolare relazione che lega il Romaeuropa alle arti visive?
Da anni programmiamo spettacoli di artisti che hanno una particolare sensibilità verso l’arte contemporanea: pensiamo a Jan Fabre, a Marina Abramovich, solo per citarne due nomi. Abbiamo anche organizzato delle mostre, come Digital Life, Sensi Sotto Sopra, una dedicata a Fabre, le installazioni alla Gnam. Quello delle arti visive, insomma, è per noi una scelta strategica. Con sviluppi anche nel futuro.
M. T.
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #1
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