La Biennale secondo noi della moda
Uno sguardo differente, ma non troppo, dalla rassegna d’arte più glamour al mondo. In altre parole, appunti di moda dalla Biennale di Venezia. Li firma, per Artribune, Clara Tosi Pamphili, niente di meno. Un percorso dall’eleganza del Padiglione dell’Austria, all’ineleganza di quello dell’Italia.
Dall’alto di una posizione vicina ma esterna, a noi della moda, dopo Venezia, piacerebbe tanto poter parlare solo delle cose eleganti e raffinate che abbiamo visto. Girare per la Biennale per noi non è proprio la stessa cosa che per voi. Confesso subito che guardiamo le cose a caccia di segnali da trasferire su abiti o accessori: perdonateci, è inevitabile.
È vero anche che siamo autorevolmente coinvolti grazie al lavoro delle fondazioni, alla passione del nuovo mecenatismo griffato che si sostituisce alle mancanze dello Stato nei confronti della cultura; quindi, ufficialmente riconosciuti e sufficientemente competenti, iniziamo a esprimervi il nostro pensiero proprio dalla Biennale.
Nella migliore tradizione giornalistica di moda, come avrebbe fatto Irene Brin in una sua cronaca di costume degli anni ‘50, vorremmo restare sofisticatamente asserragliati sul concetto di eleganza. Eleganza di pensieri, concetti, ma anche linee e forme. Velocemente, senza star a fare un lavoro di critica assolutamente di vostra competenza, scegliamo una cosa da non dimenticare: il lavoro di Markus Schinwald nel Padiglione Austriaco. Non vorremmo togliergli nulla celebrandolo per il rigore della sua eleganza, ma ci hanno colpito gusto e stile della migliore tradizione austriaca, capace di guidare un pensiero, seguirlo, vivisezionarlo fino a farne uscire la sua parte più esteticamente inconscia e inconfutabile. La confezione di una divisa, più che di un abito. Un elogio al silenzio e alla sospensione, al significato, realizzato con razionali operazioni architettoniche, alzando tutti i setti che compongono lo spazio interno del padiglione, disegnando un labirinto dove si incontrano i documenti di una presenza umana violata dall’inconscio, poi le immagini in movimento dei video perfette per riassumere la strada fatta fino a quel punto dalla nostra mente.
Vorremmo proprio poterci fermare qui, ma dobbiamo rispondere a chi ha citato più volte con disprezzo personaggi come Miuccia Prada e altri nomi “fashion”, ritenendoli responsabili di far coincidere il pensiero dell’arte con quello della moda. Al curatore del Padiglione Italia, Vittorio Sgarbi, oltre al chiasso, alla confusione, alla trascuratezza, alla volgarità, alla dimostrazione del peggio, alla furbizia di una strategia meschina che non si assume il coraggio della scelta, al tempo perso e all’occasione persa, allo spreco di energie economiche e fisiche, imputiamo soprattutto la totale ineleganza.
La confezione di un volgare abito da esibizione, lucido, pieno di bottoni che non si aprono, tasche finte, passamanerie, strass, ricami attaccati, balze, balze, balze a pois, a righe, dove i tessuti si sovrappongono senza unirsi, le cuciture sono evidenti; un abito per farsi vedere anche da molto lontano. Molto lontano, soprattutto dallo stile italiano.
Clara Tosi Pamphili
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