“Non capisco perché l’arte contemporanea in Italia debba essere di esclusiva competenza dei personaggi della moda. Kounellis è qui perché ce l’ha voluto portare una sua importante collezionista. Per quanto mi riguarda, potrebbe anche staccare il suo lenzuolo e tornarsene a casa”. Così commentava Vittorio Sgarbi durante la preview del suo Padiglione in Biennale, puntando il dito contro quella che considerava un’opera “brutta”. L’importante collezionista in questione è Alda, ultima delle cinque sorelle Fendi. Una che in mezzo alla moda ci è cresciuta. Una che il progetto di Sgarbi lo ha apprezzato, in barba alle polemiche e alla critiche piovute da ogni dove. Noi l’abbiamo incontrata, per fare due chiacchiere su Sgarbi, ma anche per parlare del suo futuro Museo romano”.
Come la mettiamo con l’uscita infelice di Sgarbi su Kounellis? Pare che l’opera prestatagli non sia stata apprezzata…
Kounellis è uno che fa cose forti, barocche, teatrali, drammaturgiche. Colleziono solo lui, non mi interessa avere una casa che assomigli a una galleria. Difendo dunque l’artista, ma penso che Sgarbi in fondo… abbia ragione.
Ovvero?
Ha ragione quando attacca chi fa moda e poi sfrutta gli artisti per ritorni commerciali. Il nome Fendi è un po’ invadente, viene associato immediatamente al fashion, di cui in effetti per tanti anni mi sono occupata. Ma sapevo che per promuovere l’arte sarei prima dovuta uscire da quel settore. Infatti, dieci anni fa ho deciso di voltare pagina, così da poter lavorare con l’arte in piena libertà. Ho iniziato a promuovere spettacoli ed eventi senza scopo di lucro, tutti a ingresso gratuito. Mi sento come una missionaria che mette a disposizione dell’arte tempo, intuito e generosità. Se l’avessi fatto mentre lavoravo per l’azienda non sarei stata del tutto sincera.
Qualcuno dice che la moda sia una forma d’arte.
Non sono d’accordo. Per quanto meraviglioso sia, un prodotto di moda è fatto per il mercato. Un’opera d’arte, invece, è fatta per restare nella storia.
Il settore della moda e del design, però, danno una grande linfa a quello dell’arte.
Infatti, ben vengano gli stilisti. Anche se lo fanno per un ritorno personale, danno comunque agli artisti la possibilità di esprimersi. Ma sarebbe importante che la politica si occupasse di più del sociale e della cultura, valutando l’arte come una ricchezza per il Paese e favorendo la produzione di un pensiero alternativo.
La politica è sicuramente lontana dall’arte. Tanto che a curare il Padiglione Italia ci ha messo uno come Sgarbi, che di contemporaneo ne capisce ben poco. Però, dica la verità: la sensazione è che a lei Sgarbi piaccia moltissimo…
Io adoro le persone non banali. Vittorio è originale, infaticabile, diretto, energico… Non si ferma mai. In un momento in cui l’Italia è immobile, lui almeno rappresenta qualcosa di vitale. È preparatissimo nel campo dell’arte antica, ma è innegabile che non si sia mai sforzato di capire il contemporaneo. Ultimamente però ha dichiarato che antico e moderno, per lui, non vanno più distinti: tutta l’arte è contemporanea, ha detto. Mi ha fatto piacere questa sua affermazione. Finora aveva sostenuto la fine dell’arte, da un certo momento storico in poi. Adesso ha abbattuto ogni linea di separazione.
Che ne pensa di questo Padiglione Italia? Una cosa ignobile o una genialata?
Non l’ho trovato così disastroso. È lo specchio del suo temperamento, irruento e allergico alle banalità. Siamo di fronte a un nuovo modo di presentare l’arte, e io sono contenta che Kounellis, grazie al mio intervento, sia stato presente in questa Biennale.
Lei aprirà presto un nuovo spazio a Roma. Ci sarà un po’ di sano caos sgarbiano anche nel suo museo?
Sicuramente sarà un posto diverso rispetto ai comuni spazi museali. Il Maxxi, per esempio, era vecchio già da prima che nascesse. Vecchio come concezione. Bisogna essere nomadi, non imbalsamati e chiusi, mai uguali a se stessi. Sì, è vero, in questo senso sono vicina allo spirito di Sgarbi. Il mio museo sarà aperto giorno e notte, senza sosta, con attività diversificate, sarà una luce perenne nel cuore di Roma, punto di riferimento per la cultura internazionale. Il progetto si ispira ai Passages di Walter Benjamin: all’interno ci si muoverà come flâneur, in una rete di spazi che comunicano, con funzioni e identità differenti. Ci saranno artisti, artigiani, designer, creativi, giovani compagnie teatrali…
Ci spieghi meglio come saranno divisi gli spazi.
Una parte sarà destinata alla Fondazione Fendi, il resto lo affideremo ad altri soggetti privati, per singoli progetti. Un piano ospiterà delle foresterie per giovani artisti, a prezzi molto contenuti. E all’ultimo livello ci sarà una grande terrazza, con un luogo di ristoro. Tutto molto hi-tech, ma sempre con politiche volte al risparmio. Mi interessa che siano luoghi accessibili a tutti, non elitari.
Dove si trova il palazzo?
È uno spazio di 5.000 mq, con una posizione magica tra l’Arco di Giano e la Bocca della Verità, nel Foro Boario. Si trova su un terrapieno, come se fosse leggermente sospeso. Bellissimo.
Quando sarà pronto?
Il progetto è stato affidato a delle archistar internazionali, ma il nome è ancora top secret. Entro due anni sarà finito.
Così presto?
Si, andiamo avanti veloci, perché siamo liberi. I privati hanno la possibilità di gestirsi tempi ed economie. È per questo che non voglio di mezzo le istituzioni: non mi piacciono vincoli e ostacoli legati a burocrazie infinite e complesse.
Il suo progetto è ambizioso, un quartier generale per la produzione artistica a 360 gradi, che funzionerà a ritmo continuo e parlerà alla gente, alla città. È un impegno oneroso, da tutti i punti di vista…
Questo è quello che voglio fare. Mi dedico all’arte in maniera pura, disinteressata, ed è la cosa che amo di più al mondo. Quanto alle risorse, non è un problema. Ho progettato la mia fondazione preoccupandomi che per i prossimi 120 anni la mia famiglia sia in grado di coprirne gli investimenti. Per cinque generazioni il progetto Alda Fendi Esperimenti continuerà la sua missione.
Helga Marsala
www.fondazionealdafendi-esperimenti.it
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