Un padiglione… più padiglione degli altri
Un vero e proprio caso. Stiamo parlando del rifiuto opposto da diversi artisti all’invito a partecipare alla mostra collettiva al Padiglione Italia. Un interessante episodio di critica della critica (ovvero della curatela) da parte degli artisti stessi.
Schizofrenica Italia. Alla Biennale d’Arte di Venezia, a cavallo tra anni Zero e anni Dieci, passa dal non poter disporre di un vero e proprio padiglione nazionale, alla scelta di presentarsi alle Tese delle Vergini con due mostre collettive ipertrofiche (edizioni 2009 e 2011). La scorsa volta erano venti, adesso sono più di duecento (duecento!) artisti. Un’anomalia.
Paesi non proprio di scarso peso come Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Francia, Spagna, Israele, Svizzera, Polonia, Turchia, Canada, oltre a Brasile, Australia, Cile, Grecia, Corea, Austria – solo per citare alcune tra le partecipazioni più attese in Laguna – sono presenti in questa edizione 2011, come del resto generalmente anche nel recente passato, con mostre monografiche. Un’opzione, quest’ultima, preferita dalla gran parte delle nazioni partecipanti alla kermesse, per così dire di opportunità, consolidatasi da quando, a partire dal 1999, la mostra internazionale si è estesa anche agli spazi dell’Arsenale, abbracciando così un’area complessiva molto vasta. Il mondo opta quasi sempre per la formula “uno Stato un artista”, non tanto in ragione di spazi considerati inadeguati o angusti, quanto piuttosto sostanzialmente per evitare una sovrapposizione concettuale con la mostra collettiva internazionale.
L’Italia adesso fa l’opposto, provando a inserirsi come una specie di terzo polo in campo, con un progetto troppo affollato per non porsi come operazione isolata in mezzo alle altre partecipazioni nazionali, ma anche troppo nutrito per non apparire come contraltare localista rispetto alla collettiva maggiore. Già l’assunzione di una denominazione ad hoc (Padiglione Italia), che ricicla quella che ormai contrassegnava più che altro una struttura architettonica (il fabbricato centrale ai Giardini, ora Padiglione Centrale), costituisce un elemento di discontinuità, e pare segnalare la volontà di mettere su un padiglione… più padiglione degli altri.
Ecco che allora il rifiuto opposto da diversi artisti italiani all’invito a partecipare a una mostra come quella concepita per questa edizione 2011, aldilà delle esternazioni di stampo dichiaratamente “politico”, andrebbe preso in considerazione piuttosto come bocciatura preventiva nei confronti di un progetto valutato come fuori scala. Ovverosia, di un group-show considerato come destinato a non funzionare, proprio perché pantagruelico benché solo nazionale. Sgarbi o non Sgarbi. A prescindere dal chi e dal cosa. La sensazione è infatti che la pattuglia dei refusants non abbia gradito, non tanto il concept politicamente scorretto eventualmente sotteso (presentare il divario fra artisti accreditati dal sistema dell’arte e artisti segnalati dall’intellighenzia non specializzata), quanto proprio l’idea di una compilation made in Italy così gremita. Dichiarando così la propria avversione, in un’ottica di critica della critica (ovvero della curatela) da parte degli artisti stessi, circa l’attuale tendenza a presentarsi con un super-padiglione nazionale, in un contesto transnazionale inter pares come quello della Biennale delle Biennali.
In fondo, l’indovinello-tormentone dell’estate 2011 potrebbe rivelarsi proprio questo. Domandare e domandarsi se tutti gli artisti che hanno risposto “no, grazie”, compresi i mid career in fase ascendente, si sarebbero comportati nello stesso modo anche qualora il padiglione nazionale italiano, in linea con quanto proposto dagli altri stati partecipanti alla kermesse, fosse stato posto a disposizione di uno di loro, pur se dal medesimo curatore, per un assolo. E per converso, se quegli stessi artisti non avrebbero comunque declinato l’invito, di fronte a un progetto di mostra nazionale avente pari mole rispetto a quello di questa edizione 2011, anche qualora il curatore incaricato fosse stato, per assurdo, un Massimiliano Gioni.
Pericle Guaglianone
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