Caro Demetrio, ti scrivo…
Mica ve la sarete dimenticata la querelle fra Paparoni e Bonami? Quella iniziata su Kapoor e Ai Weiwei, che però fungevano più che altro da spunti iniziali? Come si sa, queste son cose che hanno gambe lunghe e code altrettanto estese. E così anche il nostro Vito Calabretta ha detto la sua. Con una lettera aperta.
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Caro Demetrio,
ti ringrazio del tuo doppio messaggio perché ci consente di discutere su alcuni aspetti del sistema dell’arte. Provo dunque a contribuire dicendoti la mia impressione. Non apprezzo Francesco Bonami per il lavoro che fa da anni e soprattutto per una caratteristica importante del suo lavoro: l’ambiguità. Tu citi alcune pratiche (storpiare i nomi, creare giochi gratuiti e volgari come quello del fagiolo) che vengono vendute come forme di ironia, ma sono qualunquismo. Ed ecco un altro importante tassello: il qualunquismo ambiguo.
Le occasioni per rendersene conto sono state molte, per esempio la mostra Italics, presentata a Venezia e poi credo a Chicago. Io stesso ne avevo scritto un commento per Peacereporter.net.
Penso che sia importante segnalare questo genere di atteggiamento e di personalità e tentare di ridurne la perniciosità, perché il danno poi va sempre risolto, che sia fatto nell’arte, nell’edilizia o nella giurisprudenza.
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Paparoni, Kapoor e Mercurio
Credo che sia importante poi chiedersi come mai tale perniciosità ha spazio nel sistema dell’arte. Credo che la risposta stia nel fatto che il sistema, così come oggi è strutturato e come si è consolidato negli ultimi decenni, abbia bisogno di qualunquismo, di melma e di disorientamento, perché all’interno di una situazione di questo genere è più facile promuovere i profitti. Diventando sempre più commerciale, promuovendo settori speculativi sempre più importanti e munifici, il sistema ha bisogno di emanciparsi dai meccanismi di confronto e di controllo, proprio come gli altri sistemi ai quali tu fai una veloce allusione: il sistema politico e quello imprenditoriale. Per poter vendere sempre di più, a oltranza, travalicando le esigenze delle persone che diventano meri compratori; per poter comandare liberamente sul destino delle persone, trasformate da cittadini a pedine manipolate; per realizzare tali obbiettivi, occorre liberarsi dei sistemi di confronto e di controllo, di quelli che talvolta vengono chiamati contro-poteri.
Il sistema dell’arte, oggi, funziona in gran parte così: è, in gran parte, certo, non in tutto, un’area-spettacolo dove tutto succede, viene digerito e riciclato in produzione industriale e dove non esiste più confronto. Basta che tu legga cosa si dice e scrive e come si dice e scrive degli eventi. La critica è quasi scomparsa e si parla della realtà prima che succeda (si parla o scrive per esempio di una mostra prima che venga aperta); gli organi che dovrebbero informare quasi sempre promuovono e capiterà anche a te di incontrare i “responsabili” di importanti organi di stampa impegnati a contrattare con i produttori di eventi le modalità per parlarne, attraverso redazionali che assomigliano molto alle pagine normali, oppure attraverso pseudo-critiche. Così strutturato, il sistema funziona secondo regole industriali-commerciali, ha bisogno di prodotto da vendere e di operatori commerciali che aiutino a vendere. Il ruolo del critico, in una cornice ideologica che Achille Bonito Oliva ha più volte ben espresso, è, in tale struttura, questo: creare le condizioni per vendere.
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Anish Kapoor - My red Homeland
All’interno di questo quadro, secondo me, occorre collocare il lavoro di Francesco Bonami e di altri. Il punto, a mio avviso, è: può essere sufficiente schierarsi contro le forme più becere del sistema attuale, contro gli Sgarbi o i Beatrice? Ha senso tollerare invece altre manifestazioni altrettanto becere solo perché, avendo meno potere, producono una quantità inferiore di danni? Continuiamo a osannare i rappresentanti più blasonati di questo sistema, i più corteggiati e pagati, anche loro disposti a dire un po’ di tutto a proposito del prodotto da vendere di turno? Sono meno dannosi perché la loro prosa è più elegante o perché si fanno pagare di più? È possibile non accorgersi che all’interno di una stessa galleria tu puoi trovare Kapoor e Beecroft, venduti come due paritetici illustri esponenti della scultura contemporanea? Abbiamo ragione di sperare che combattendo i peggiori saremo in grado di riaccreditare il sistema dell’arte? O forse vale la pena di lavorare, all’interno del sistema, in favore di pratiche meno industriali e commerciali, più coerenti con il processo dell’arte?
Il lavoro di un artista è difficilmente plasmabile alle esigenze di un’industria che richiede di ridurre la complessità e la ricchezza e di aumentare la disponibilità dell’opera e del lavoro a ridursi a icona vendibile. Lo vediamo attraverso il destino di tanti artisti che preferiscono operare in un ambito controllato, piuttosto che aderire alle richieste di una produzione ingestibile dalla loro mano.
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Vanessa Beecroft - VB29.014
Ecco, questo è a mio avviso il punto: quale sistema dell’arte possiamo avere come riferimento? Quali pratiche ci interessano? Quali modelli di comportamento e di produzione? Sono d’accordo con te sul fatto che Francesco Bonami non abbia nemmeno una retorica riconoscibile, leggibile, tangibile; ma credo che la presenza di questi epifenomeni possa essere per noi soprattutto l’occasione per confrontarci sulle tendenze e sulle opportunità che il lavoro artistico ci propone.
Ancora grazie e buon lavoro,
Vito Calabretta
L’opinione di Marcello Faletra
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