Dai Bolongaro. Dove l’arte non è di casa
Consigli per l’estate? Perché no, per una gita fuoriporta, una domenica al parco. Non un parco qualunque, però. Siamo andati a La Marrana, in quella Liguria schiacciata fra mare e monti, infilata tra Emilia e Toscana. Dove i Bolongaro hanno ideato un circuito d’arte ambientale di gran livello. E dove per tutto luglio in mostra c’è Tracey Emin.
25 giugno. Le cicale scandiscono il tempo con un canto ritmico e costante. Una luce limpida si poggia sul paesaggio. Dall’alto di un pendio affacciato su Sarzana e sulle Apuane scavate di bianco, si osserva il profilo di un orizzonte merlato, irregolare.
Profilo geografico ripetuto come un’eco in Il sogno, opera di Kengiro Azuma che funziona da barriera metallica, cancellando dalla vista la porzione più umanizzata del paesaggio e aprendo lo sguardo all’infinito oltre la siepe. L’incursione artistica sottolinea quanto già esiste.
Siamo a La Marrana, nella proprietà di Grazia e Gianni Bolongaro, oggi sede di una prestigiosa collezione d’arte ambientale. Un sito sospeso tra mare e montagne, in un lembo ligure intriso di memorie antiche che si sovrappongono a quelle popolari e personali. Le radici di Grazia nascono in questa zona, dove negli anni ‘80 acquista con il marito la casa coloniale e il primo nucleo di terreno de La Marrana, ai limiti del borgo di Montemarcello. Alla metà degli anni ‘90, a conferma di un interesse per l’arte ereditato dalla famiglia di Grazia, i Bolongaro organizzano due esposizioni negli ambienti interni della villa: il primo evento è dedicato a Carlo Mattioli, seguito da una mostra su Fausto Melotti.
Il riscontro di pubblico e critica di queste iniziative danno l’input per la formulazione di un programma più sistematico di promozione dell’arte contemporanea sul territorio. Dalla frequentazione con Giuliano Gori, ideatore del progetto pionieristico di arte ambientale alla Fattoria di Celle, in provincia di Pistoia, nasce l’intenzione dei Bolongaro di fare de La Marrana un laboratorio dedicato all’arte site specific. La formula ricorda da vicino quella di Celle: i collezionisti invitano artisti selezionati a intervenire con opere ispirate dal luogo e che ne propongano una lettura non convenzionale.
La presenza diretta degli artisti e la loro capacità di dialogare con il preesistente sono ingredienti fondamentali della ricetta de La Marrana. Ad esempio, in La forma della Montagna, Hamish Fulton descrive la sua camminata attraverso le Apuane, percorse insieme a Claudia Losi, inscrivendo parole sulla pietra dei sedili della veranda: da qui si può seguire con lo sguardo l’itinerario, motivo per cui Fulton rinuncia alla documentazione fotografica che solitamente accompagna la descrizione dei luoghi attraversati dai suoi passi. Ancora legandosi al luogo, Luigi Mainolfi costruisce una casa ideale con una struttura in metallo, proseguendo l’alzato di un rudere già presente ma non più funzionale.
Nonostante le affinità con il progetto di Giuliano Gori a Celle, esistono delle differenze che rendono La Marrana peculiare: innanzitutto il criterio esclusivamente ambientale, che non ammette in nessun caso opere “ambientate”, cioè create dagli artisti nello studio e collocate nell’ambiente dal collezionista o curatore. Inoltre, l’interesse verso i linguaggi multimediali, che intrecciano scultura, video e suono per evocare e narrare caratterizza il gusto dei Bolongaro. Infine, un’attenzione al significato dell’opera, al processo dell’artista e all’impatto sul pubblico, si fa preponderante rispetto all’estetica e alla fisicità dell’oggetto.
La componente sonora, quindi impalpabile, è fortissima in 155 a.C. (panca di battaglia) dei Vedovamazzei: i visitatori sono catapultati in un tempo antico quando, sedendosi su una panca nel parco, vengono inondati dai suoni di morte della battaglia tra i Liguri Apuani e l’esercito romano guidato da Claudio Marcello nel 155 a.C. Sussurrato è invece il suono di Le cose non sono quelle che sembrano, installazione di Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini che narra e arricchisce di dettagli interiorizzati una storia passionale bisbigliata dagli abitanti di Montemarcello e avvenuta in un passato non troppo antico presso La Marrana.
Artisti di generazioni e culture diverse, come Magdalena Campos-Pons, Alfredo Jaar, Jannis Kounellis, Jan Fabre e Joseph Kosuth intervengono sul parco de La Marrana, che conta fino a oggi 32 opere destinare ad aumentare, punteggiando il luogo di segni e storie da conservare.
E dal 2 luglio c’è una new entry: Tracey Emin. Le sue Tracce/di vita ruotano intorno all’installazione No love you’re not alone (2009), circondata concettualmente da quattro video che ripercorrono la sua carriera nel periodo 1995-2011.
Silvia Bottinelli
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