Il sovraccarico
L’Università del Maryland ha appena condotto un esperimento singolare (The World Unplugged), monitorando 1.000 ragazzi in 5 continenti. Alle “cavie” è stato impedito, per 24 ore, qualsiasi connessione a internet e ai dispositivi tecnologici. I risultati sono stati sorprendenti, prevedibili e terrificanti.
“Ok, vi farò una previsione per l’inverno:
sarà molto freddo, sarà cupo e tetro,
e sarà lunghissimo. Fino alla fine della
vostra vita.”
Harold Ramis , Ricomincio da capo
(Groundhog Day, 1993)
“Il senso del nulla mi ha invaso il cuore. […] Sento di aver perso qualcosa di importante”; “avevo l’impressione che mi fosse stato amputato un braccio”; “il silenzio mi stava uccidendo”: queste alcune delle impressioni e delle testimonianze. La maggior parte dei ventenni coinvolti nella ricerca ha vissuto come una violenza e una prevaricazione (“crudele”) l’imposizione del black out. Pochissimi – 1 su 5 in media – sono riusciti ad apprezzare fino in fondo questa condizione di vita, a quanto pare inedita al giorno d’oggi (significativamente, in Uganda e in Slovacchia).
E d’altra parte, se pensiamo alle operazioni che compiamo tutti quotidianamente, è facile proiettare il senso di un disagio che sfocia nell’ansia, con il calare dell’età anagrafica. Mentre scrivo questo pezzo al mio pc, sto ascoltando un album da un aggeggino che contiene quaranta dischi, e che non è neanche lontanamente tra i più potenti e sofisticati in circolazione (oltre alla musica, dentro ci sono documenti, immagini e registrazioni audio). Immediatamente prima di mettermi a scrivere, ho consultato la mail, e i miei siti preferiti di informazione (generalista e specializzata). Bruce Sterling, ne La forma del futuro, ha notato come le operazioni che compiamo quotidianamente, e l’ecosistema mediatico-tecnologico in cui viviamo costantemente immersi, siano praticamente gli stessi che 25 anni fa potevano solo essere immaginati dalla più ardita letteratura cyberpunk (di cui egli stesso è peraltro uno dei massimi esponenti).
O forse vi ho mentito. Forse – a parte la musica sul lettore mp3 – questo pezzo lo sto scrivendo a penna su un foglio di carta. Sono sul treno. Il mio portatile si è rotto. E se si spegnesse tutto improvvisamente? Se, a un certo punto, questo sovraccarico si trasformasse in silenzio? Se una catastrofe, o un evento imponderabile, ci facesse ripiombare nel Medioevo (un Medioevo che, è bene ricordarlo, è molto diverso da come siamo abituati a immaginarlo, al tempo stesso più civile e più brutale rispetto alla sua versione immaginaria e disneyficata)?
Niente più computer, niente più connessioni, né social network digitale. Né ubiquità sognate o presunte. Allora, il disagio che al momento è stato provocato da un esperimento limitato nel tempo e nello spazio verrebbe amplificato a dismisura, con conseguenze difficilmente immaginabili. Ma non impossibili da immaginare. Disorientamento, depressione, isteria collettiva. Disperazione sociale. E poi, magari, lenta e inattesa riconquista delle relazioni personali e affettive, dei propri riferimenti territoriali, della propria vita. Graduale riappropriazione – non solo simbolica – della realtà. E meritato accesso finale alle gioie dell’età adulta. Fine dei processi di infantilizzazione collettiva.
Magari, lo spegnimento non sarebbe poi così male.
Christian Caliandro
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #1
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