La libertà nell’arte? Fino a un certo punto. Succede alla Biennale
Censura alla 54. Biennale Internazionale di Venezia. Aidan Salakhova, espulsa dal Padiglione dell’Azerbaidjan, è ospite del Padiglione Italia. Che riafferma la propria sovranità nazionale e la libertà dell’arte. Ecco cosa è successo in Laguna.
La curatrice del padiglione dell’Azerbaidjan alla 54. Biennale di Venezia, Beral Madra del BM Contemporary Art Center di Istanbul, ha denunciato la pesante censura subita da alcune opere della russa Aidan Salakhova poco prima dell’apertura al pubblico. Durante la sua visita in anteprima al Padiglione azero, il Ministro della Cultura le aveva trovate offensive per il prestigio del Paese, ordinandone la copertura con lenzuola e la rimozione immediata nel proseguo della mostra.
Malgrado si siano svolti diversi incontri per tutelare l’artista e la sua opera, nonché per difendere la libertà dell’espressione artistica in un contesto internazionale che dovrebbe esaltare in ogni Paese le spinte creative e, laddove si presentino, le forzature, gli organi governativi sono stati inflessibili sulla decisione del Ministro di Baku, e le opere sono state rimosse. Dando vita a un affare di Stato.
Nel corso di oltre un ventennio di attività artistica, Aidan Salakhova ha sviluppato una riflessione sulla donna sotto il dogma religioso che va oltre l’Islam, si sofferma sui netti confini entro cui si ritaglia l’ortodossia religiosa e si apre a esprimere aspetti intimi e segreti del sentimento religioso in genere, ben al di là di un singolo credo e degli ordini clericali. La negazione della persona, la rinuncia alla propria singolarità: a ciò rimanda essenzialmente il simbolo del velo, attraversa l’ascetismo cristiano e il sacerdozio nel cattolicesimo degli inizi, ma anche il desiderio di disfarsi del corpo e dell’individuazione attraverso la meditazione, il digiuno e la clausura in Oriente.
Le corrispondenze nelle varie religioni diventano, per Aidan, incentivi per tornare sull’immaginario antico della Persia delle odalische e delle Mille e una notte (si ricordi che l’Azerbaidjan, prima che finisse sotto l’Unione Sovietica, era un’appendice continentale dell’Iran). E di questo Paese condivide una cultura fatta sostanzialmente di sabbia e petrolio, del canto dei muezzin e di territori battuti da forti venti polverosi e rotti dalla sfilata di minareti che si rincorrono all’infinito fra le dune. Il cerimoniale della liturgia inviolabile irrompe nel quotidiano, richiamando il fedele, ovunque egli sia, al senso del sacro. Le mute figure di Aidan sono rapite in un silenzio ultraterreno, ora colte con Polaroid ritoccate a olio, ora proiettate attraverso installazioni multischermo dove il sonoro esprime la litania lenta della preghiera.
Le opere colpite da censura sono un grosso cono di granito nero africano specchiante da cui spiccano mani femminili in bianco immacolato e una forma vagamente vaginale collocata a terra davanti alla prima, bianco e nero in contrasto di grande eleganza nella peculiare astrazione delle forme umane ridotte ormai a simboli chiarissimi. Le icone o Miniature persiane escono dalla tradizione dell’arte della miniatura quale si praticava sui libri sacri d’Oriente e d’Occidente nel Medioevo.
Il Padiglione Italia ha aperto le sue porte per accogliere le opere respinte dal governo dell’Azerbaidjan. Data la peculiare chiusura di queste forme, non è chiaro se, come noi crediamo, Aidan volesse dare una connotazione politica al suo lavoro, ma certamente – lungi dall’abbatterlo – la censura ha solo rafforzato il suo grande potere comunicativo.
Francesca Alix Nicòli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati