Da Milwaukee a Chieti. C’è Keith Haring
Keith Haring, indimenticabile star della street art newyorkese, è il protagonista di una mostra al Museo Archeologico Nazionale di Chieti. Fino al 19 febbraio è possibile incontrare i ventiquattro pannelli dello storico “Murale di Milwaukee”, realizzato nel 1983 durante una performance a cielo aperto.
1983, Milwaukee. Paradosso dei paradossi, la Marquette University paga un writer per realizzare un murale. Di solito, infatti, si verifica il contrario, cioè che sia il writer a dover pagare salate multe per aver disegnato su un muro. Di chi stiamo parlando? Di Keith Haring (Kutztown, 1958 – New York, 1990) naturalmente, all’epoca appena venticinquenne e alle prese con quello che diventerà noto come il “murale di Milwaukee”. Un’opera mastodontica realizzata per inaugurare l’Haggerty Museum of Art. 24 pannelli in legno, 30 metri di lunghezza, 2 metri e mezzo di altezza. Entrambe le pareti del murale sono dipinte: da un lato una sequenza di cani che abbaiano e bambini a quattro zampe, simboli distintivi dell’arte di Haring; dall’altro una serie di ballerini stilizzati.
Come racconta l’artista, “all’inizio la mia firma fu un animale, che diventò sempre più simile a un cane. Poi cominciai a disegnare un bambino che camminava a quattro zampe. E più lo disegnavo più diventava The Baby”. Il secondo lato del murale è più ricco, e i soggetti variano. Oltre ai celebri ballerini di breakdance, vediamo un televisore con le ali, dei cani, degli uomini con la testa di serpente e una gigantesca faccia con tre occhi che fa la linguaccia.
In mostra a Chieti, al Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo La Civitella c’è tutto il Murale di Milwaukee, un’opera che Haring non ha mai voluto chiamare “graffito”. “Questo non è un graffito, perché mi è stato chiesto di farlo. Graffito è un modo per dire che stai facendo qualche cosa di non legale.” È questo che dice l’artista americano mentre realizza l’opera a chi lo intervista e lo filma. Questo è lo spirito metropolitano che anima la sua arte, lo spirito di chi è abituato a disegnare di nascosto, in una perenne fuga da guardie e sorveglianti. Una creatività che non vuole essere costretta, che preferisce fluire e colorare gli spazi urbani, che trova perfetto luogo di espressione nelle stazioni della metro, sui treni, nei riquadri per le affissioni pubblicitarie rimasti bianchi. Tuttavia, i 24 celebri pannelli del murale racchiudono meravigliosamente lo spirito della street art, oltre ad essere una delle opere più importanti della collezione dell’Haggerty Museum of Art. A Chieti sono accompagnati da una serie di fotografie che ritraggono l’artista mentre, nell’aprile del 1983, dipingeva il murale, visitato ogni giorno da moltissime persone: curiosi, giornalisti, ammiratori.
Il suo lavoro è stato quasi una performance, proprio per il grande coinvolgimento di pubblico che Haring è riuscito ad attrarre durante l’esecuzione dell’opera. In mostra anche una video intervista nella quale il celebre esponente della corrente neo–pop si racconta, rendendo evidente il pensiero innovativo che animava la sua arte. Un modo di esprimersi quasi primitivo, che sfrutta linee istintive, e che ha cambiato per sempre il linguaggio della street art. Opere fatte di disegni semplici, linee nere, colori forti. Immagini che trasmettono una forte dinamicità e sfruttano la semplicità del tratto per essere immediatamente riconoscibili. E questo è solo uno dei tanti murali che Haring ci ha lasciato, solo uno dei tanti segni della sua creatività istintiva e straordinaria.
Maruska Pisciella
Chieti // fino al 19 febbraio 2012
Keith Haring. Il murale di mio Milwaukee
Catalogo Skira
www.alefcultura.com
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