L’arte spiegata ai bambini
Il Pompidou di Metz dedica una personale all’italiano Gianni Colosimo, noto per le sue irriverenti performance. Stavolta, l’artista torinese si rivolge al mondo dell’infanzia, con un progetto ironico che rivisita la storia dell’arte contemporanea attraverso gli occhi dei bambini. Con l’aiuto della figlioletta di due anni. In terra francese, fino al 4 ottobre.
Ha foderato la Galleria Pack di Milano con dollari veri, fatto incursioni al Teatro Carignano di Torino e inviato ad Artissima “messaggeri” performer dentro un carro funebre. Sua è la campagna pubblicitaria dedicata all’immortalità apparsa su riviste d’arte nazionali e internazionali.
Ora Gianni Colosimo (Torino, 1953) approda al Centre Pompidou di Metz con una mostra che lo vede nella posizione di “storico” e “didatta” dell’arte contemporanea. Si tratta di un riconoscimento importante, la prima personale di un artista italiano nel nuovo museo voluto per rilanciare la regione di Metz dopo la sua deindustrializzazione. Con lungimiranza e coraggio, i politici locali hanno chiamato il Pompidou a guidare un investimento che vanta 800mila presenze dopo il primo anno di vita e che pare destinato a cambiare i connotati culturali della regione a cavallo tra la Francia e la Germania.
L’arte contemporanea raccontata ai bambini si presenta con ventiquattro opere, intese come altrettanti capitoli di un libro in progress. Con esse l’artista torinese affronta i capisaldi dell’arte concettuale del Novecento, muovendo da un’esperienza biograficamente fondamentale come quella della paternità. “Dialogando” per due anni con la propria figlia di tre anni, Colosimo trova idee, oggetti e trattamenti che poi confluiscono nelle sue installazioni, che si muovono tra l’omaggio e la citazione; ma poi, a guardar bene, sono altrettanti approcci satirici al mondo dell’arte e al suo sistema. Usando l’escamotage del linguaggio infantile, Colosimo opera una specie di salto idealista. Usa la didattica come facciata per insinuare quel senso di morte a cui l’artista torinese lega molte delle sue opere, spesso usando la lapide come un totem per meglio denunciare quel senso di “fin de siècle” spesso esperito dagli analisti dell’attuale ipertrofia economica del mondo dell’arte.
Così, con spirito ludico e concettuale, la fontana di Duchamp diventa un vasino da notte straripante di monetine, il cavallo di Cattelan si trasforma in asino appeso che espelle dobloni d’oro (con sopra lo stemma e il volto di Re Vittorio Emanuele II) e la banda di 8,7 cm con cui Daniel Buren ha lavorato per quarant’anni decora una spiaggia in miniatura, con tanto di cabine e sdraio per bambini.
La mostra si apre sulle 1000 farfalle di Damien Hirst, installazione fatta con altrettanti disegni di bambini, prova ineludibile della visionaria creatività dell’infanzia e della sua originalità. Un insegnamento per tutti, come dimostrano i tanti visitatori divertiti nel trovare, in un luogo d’arte, così tanti oggetti connotati emotivamente, capaci di esporre un volto drammatico restando giocattoli. Come la tartaruga gonfiabile di Zoì Sofia, così si chiama la figlia collaboratrice di Colosimo, che ritraduce i giochi di Jeff Koons in una specie di ping pong percettivo: il metallo lucente, usato da Koons per imitare la plastica, ridiventa plastica che imita il metallo. Interessante cortocircuito tra materia e concetto, all’insegna della citazione più efferata, come quella di Beuys che prevede quattro lepri tassidermizzate in acrobazia attorno ad una slitta su cui poggi un bastone da mago. Sono i simboli usati per indicare la magia dell’arte ma anche per “torcere” il messaggio sciamanico dell’artista tedesco in una specie di cabaret che è quanto, secondo Colosimo, Beuys è diventato una volta passato nel tritacarne del mondo dell’arte, dopo che la sua utopia è stata inghiottita dal Moloch del valore economico.
Colorata, luminescente e ludica, questa mostra usa in molti casi la lapide o l’erma come basamento e come elemento decorativo. Nell’opera che rende omaggio alla mostra con cui Arman nel 1960 colmava di oggetti la galleria di Iris Clert in Rue des Beaux Arts, Colosimo satura lo spazio di una casa di bambole con ogni specie di giocattoli e pupazzetti. Opera didattica, si direbbe, se non fosse per quella base d’acciaio specchiante con le scritte bronzee a ricordare date e nomi, come una tomba posata sull’arte deceduta allora: nata e morta nel balenio di un istante utopico, immediatamente fagocitato dal sistema produttivo-espositivo-acquisitivo dell’arte ai nostri giorni.
Ai suoi interlocutori, Colosimo fa notare che Duchamp era un personaggio abbiente, ma anche un gran signore. Per lui, outsider di professione che ha trasformato la propria lateralità in “posizione” esistenziale, è questo il punto nevralgico da mantenere vivo: l’artista deve essere ricco per poter costruire gesti utopici sempre più ampi.
Lui sembra voler mettere in atto un tale programma. Si propone di riprendere il discorso dei grandi concettuali, e non solo, prima che questo venisse interrotto. Altre installazioni in mostra riflettono su Broodthaers, De Dominicis, Pascali, Chen Zhen, Manzoni, LeWitt, Paolini, Gonzales-Torres, Warhol, Fabre. E il work in progress avrà altri capitoli.
La storia dell’arte, almeno quella da raccontare ai bambini, non è ancora finita.
Nicola Davide Angerame
Metz // fino al 4 settembre 2011
Gianni Colosimo – Contemporary Art told to Children
www.centrepompidou-metz.fr
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