12 domande senza risposta per Jean Clair
Esce oggi in Italia, per l’editore Skira, “L’inverno della cultura”, ennesimo pamphlet in cui Jean Clair emette alti lai all’indirizzo di una contemporaneità che non comprende né condivide. Avremmo voluto intervistarlo, ma il francese ha deciso che “La Repubblica” era sufficiente. Niente e nessun altro. Allora, proprio mutuando dal quotidiano le 10 domande senza risposta (qui qualcuna di più), vi facciamo leggere cosa avremmo voluto domandargli se solo ci avesse concesso udienza. Naturalmente la discussione è aperta.
Negli ultimi anni lei ha dato alle stampe diversi pamphlet. A suo avviso, qual è l’appeal di questi brevi saggi “moralizzatori”? La Francia, che ne è la culla, continua a sfornarne un numero importante, e spesso di grande successo, come Indignatevi! di Stéphane Hessel.
Lei è il portavoce, l’alfiere di una posizione “reazionaria” che nel mondo dell’arte, soprattutto contemporanea, è piuttosto rara. Si trova a suo agio dietro questa “etichetta”?
Perché tanto astio nei confronti dell’arte contemporanea? Arte che in fondo, quando veste i panni del curatore, non disdegna. Penso ad esempio all’inquietante scultura di Ron Mueck che ha posto quasi a sigillo della sua mostra sulla Melanconia.
Se dovesse nominare un colpevole, un assassinio primario delle “belle arti”, chi sceglierebbe? Marcel Duchamp?
Lei è stato forse il primo ad attaccare frontalmente Breton senza esserne sopraffatto. Quanta responsabilità ha, a suo parere, il Surrealismo (con la sua “serietà da bidelli”) nell’attuale condizione? Lei sostiene infatti che siamo oramai in una condizione “paranoica” e che la cultura è in una fase “invernale”.
Ne La crisi dei musei, e ancora in L’inverno della cultura, auspica una sorta di selezione all’ingresso dei musei, ovvero alla cultura “alta”. Come risponde alla conseguente accusa di elitismo antidemocratico?
Ha definito “atrabiliare” il suo Diario uscito per Gallimard. La critica deve sempre essere accigliata?
Conosce Tomaso Montanari e i suoi scritti? A partire da posizioni politiche che mi paiono opposte, in molti frangenti approdate a conclusioni simili. Un esempio è la contrarietà alla movimentazione delle opere d’arte. Resta il fatto che, se è assurdo spostare un Caravaggio dalla nicchia di una chiesa, molte altre opere sono state concepite per luoghi che non esistono più, o sono transitati direttamente dallo studio dell’artista al museo. Dunque, come organizzerebbe un museo che non dovrebbe esistere?
Lei sostiene che il passaggio dal dominio della parola a quello dell’immagine ha contribuito a una maggiore superficialità. Ma l’alfabetizzazione di massa è cosa piuttosto recente nella storia umana. D’altro canto, anche l’arte antica, quella che aveva una funzione religiosa e cultuale, rivestiva pure il ruolo di Biblia pauperum, ovvero illustrazione per il popolo. Insomma, anche il museo contemporaneo può essere fruito a diversi livelli, come tutto d’altronde: certo ci sarà la superficialità di chi accede a una chiesa per osservare le credenti al banco innanzi, ma anche chi andrà per approfondire e verificare le proprie conoscenze, come ci si accosta a un rituale conoscendone regole, linguaggio e profondità.
Lei accenna a una distinzione fra “arte contemporanea” e “arte attuale”. Ci spiega cosa intende e se concorda su questo punto con Vittorio Sgarbi, che definisce – di conseguenza (?) – “mafioso” il cosiddetto sistema dell’arte contemporanea?
Un altro responsabile per l’attuale situazione, additato in L’inverno della cultura, è Harald Szeemann e la sua “storica” mostra When Attitudes Become Forms. Ci spiega cosa avrebbe originato o, meglio, legittimato quella esposizione?
Una considerazione che potrebbe disorientare i suoi lettori più affezionati è il “voto” eccellente che assegna alla copia delle Nozze di Cana del Veronese. Certo che questa non è una posizione conservatrice, anche se lei sottolinea come vi siano contro-esempi “disastrosi”. Immagina un museo di copie per il volgo e uno di originali per gli studiosi?
Marco Enrico Giacomelli
Jean Clair – L’inverno della cultura
Skira, Milano 2011
Pagg. 112, € 16
ISBN 9788857211534
www.skira.net
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