Atroce ed elegante. La Biennale di Lione
La bellezza terribile della Biennale di Lione 2011 avvince e scuote. Un allestimento che sembra una partitura accoglie opere consce del presente, ma capaci di liberare l'immaginazione. Un successo per la curatrice Victoria Noorthoorn, e una biennale da considerare come tappa fissa.
Avvincente, raffinata, responsabile, l’11esima Biennale di Lione cattura lo spettatore con le opere e l’allestimento. È efficace come un film horror ed elegante come un poema romantico. Con in più una spiccata attenzione al presente sociale e politico, sublimato in opere la cui forma è veicolo del contenuto e non strumento di rimozione.
Una terribile bellezza è nata, recita il titolo mutuato da Keats, e un tema che può sembrare vago risulta più che tangibile visitando la mostra, dove la bellezza terribile assalta cuore, cervello e corpo. Merito da riconoscere alla curatrice argentina Victoria Noorthoorn. Fra i molti talenti dimostrati in questa occasione, spicca la sua capacità di ideare un allestimento di efficacia strepitosa. Ingombro ma chiarissimo, disturbante e divertente, simile a una partitura.
All’ingresso della Sucrière, il sipario che dà sul nulla di Ulla von Brandenburg vezzeggia e assieme irride il visitatore. Pochi passi, qualche opera terribile e sublime assieme (bare, ritratti carnali, performer impegnati in imprese da Sisifo), e un secondo sipario si apre. O meglio, non si apre, essendo il proscenio velato e buio. È l’allestimento a opera di Daniela Thomas di Breath, pièce brevissima e astratta di Beckett, senza attori. Il vagito che la conclude (ma potrebbe essere anche il rantolo di un moribondo) è un punto fermo nel percorso della mostra, agghiacciante in un modo non descrivibile a parole – e d’altronde Beckett stesso rinuncia alla parola, nel processo di scarnificazione del suo linguaggio.
Il prosieguo ha per forza di cose il sapore di un temporaneo scampato pericolo, e così fanno riflettere ma anche sognare l’installazione fantascientifica di Eduardo Basualdo (un’invasione d’acqua che colma a intervalli quasi tutta la sua stanza), le sculture di Erika Verzotti, artista da tenere d’occhio con il suo falso modernismo elegantemente desolato, le installazioni morbidamente post-umane di Marina De Caro, il video pieno di humour intelligente di Aurélien Froment. I vari mezzi espressivi scorrono uno a fianco dell’altro senza soluzione di continuità, la rivalità tra la pittura e gli altri mezzi non salta nemmeno alla mente in un allestimento così fluido. Forma e contenuto qui prescindono da ogni pregiudizio, cosa rarissima.
La sezione al Mac conferma questa sensazione. Anche qui una selezione mozzafiato, per quanto più sobria che alla Sucrière, con molti punti forti. Come la stanza di Eva Kotátkova, che simboleggia la macchina del consenso allestendo una perversa aula scolastica, luogo di tortura più che di educazione. O l’installazione di Diego Bianchi, non dissimile nei modi e negli intenti da quella di Hirschhorn nel Padiglione svizzero della Biennale di Venezia 2011. Ma il colpo da maestro sono due sale al terzo piano, in cui copulano opere di diversi autori, messe a stretto contatto. Nella prima sala, quelle di Marlene Dumas e Alberto Giacometti (il confronto tra espressionismo contemporaneo ed esistenzialismo poteva essere pericoloso in teoria, ma nessun intento reazionario risulta dall’effettiva messa in opera). Nella seconda, i ritratti folli di Elly Strik e di Christian Lhopital e le sculture scatologiche di Jessica Jackson Hutchins. Il tutto invaso dai chilometri di filo nero steso da Cildo Meireles, che si diramano da un’apparentemente innocua scopa appoggiata in un angolo.
Come una pausa per prendere fiato giunge la sezione alla Fondazione Bullukian, dedicata all’architettura utopica di Richard Buckminster Fuller e Yona Friedman. E come un’apertura finale arriva la sezione all’Usine Tase, con grandi installazioni consce che il presente è un terreno ingombro di detriti (proprio come lo spazio inutilizzato davanti all’ingresso). Ma si tratta di opere a loro modo anche giocose, valga per tutte il pollaio di Laura Lima, che applica piume sgargianti di altri animali a un gruppo di attonite galline, allo scopo di osservarne le modifiche nel comportamento.
Una Biennale di questa qualità, superiore per coerenza e valore a quella di Venezia di quest’anno, è di certo una biennale da visitare. E da considerare appuntamento fisso negli itinerari dell’appassionato d’arte.
Stefano Castelli
Lione // fino al 31 dicembre 2011
Biennale di Lione 2011 – Una terribile bellezza è nata
a cura di Victoria Noorthoorn
www.biennaledelyon.com
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