Biennalegate. Continuiamo così, facciamoci del male
Cronaca di una farsa annunciata. La Commissione Cultura alla Camera boccia la nomina di Giulio Malgara alla Presidenza della Biennale di Venezia e Galan continua a fare finta di niente. Nelle retrovie partono le solite pratiche di scambio. E la Biennale diventa merce su un banchetto.
Si è conclusa con un pareggio (23 voti favorevoli e altrettanti contrari) la votazione della Commissione Cultura alla Camera sulla nomina di Giulio Malgara alla Presidenza della Biennale di Venezia. Un pareggio che giuridicamente equivale a una bocciatura (la Camera non ha approvato) e che è stato invece sorprendentemente interpretato dal Ministro dei Beni Culturali Giancarlo Galan come una vittoria: “Sono molto soddisfatto del voto in commissione”, ha dichiarato poche ore fa, “d’altronde più di così non è tecnicamente possibile ottenere in quanto è proprio di ieri il passaggio di un deputato della Commissione al Gruppo Misto e quindi qualsiasi candidato ministeriale non otterrebbe comunque più di 23 voti”.
E se è vero che il voto non rappresenta un vincolo per la nomina di Malgara – c’è da scommettere che il Ministro proseguirà imperterrito nei suoi propositi – la condotta di Galan è per l’ennesima volta discutibile. Luigi Zanda e Giovanna Melandri hanno parlato, a questo proposito di “autismo istituzionale”, riferendosi al rifiuto del Ministero di dare il minimo peso alle voci contrarie che si sono alzate con forza, dal territorio veneziano e non solo.
La levata di scudi contro l’arrivo in Laguna di Giulio Malgara, il cui curriculum avrebbe lasciato a desiderare più di qualche osservatore, è stata infatti assolutamente bipartisan. Non è stato ascoltato il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, né il Presidente della Regione Luca Zaia, né tantomeno è stata considerata la rivolta nazionale e internazionale che ha fatto seguito alla notizia della sostituzione di Paolo Baratta. La petizione lanciata dal quotidiano La Nuova Venezia ha superato infatti le 3700 firme e negli ultimi giorni hanno cominciato a sottoscriverla anche molti nomi internazionali di rilievo nell’ambito della cultura come Nicholas Serota, direttore della Tate Gallery di Londra e Kathy Halbreich, direttrice associata del MoMA di New York. Tra i nomi illustri italiani spiccano invece quelli di Enrico Mentana e Riccardo Chiaberge, per il mondo del giornalismo, e di Salvatore Settis, Alberto Arbasino e Marco Tullio Giordana per quello della cultura, oltre ovviamente a una lunga lista di curatori e artisti.
Fa spallucce Galan, che dichiara al Giornale di Vicenza: “Anche se fossero dieci mila, cosa cambia? Io non ho mandato via Paolo Baratta. Ha terminato il suo mandato che è stato lunghissimo, è durato 8 anni. Ho ritenuto che fosse utile cambiare, che altri avessero caratteristiche diverse e adatte.” Ci si attacca alla logica del turn-over (o dello spoil-system?), che però sembra un principio da invocare solo quando fa più comodo. Non fa comodo ad esempio quando si tratta di riconfermare Marco Müller alla direzione (eccezionalmente interpretata, intendiamoci) della Biennale Cinema, portando il suo mandato a dodici anni complessivi (e c’è chi ha anche ipotizzato anche un veto dello stesso Müller su Baratta). E quali sarebbero le “caratteristiche diverse e adatte” necessarie per dirigere la più importante istituzione culturale italiana e una delle più importanti al mondo? Senza nulla togliere a Malgara, ci sembra che, se proprio Baratta andasse sacrificato in nome del bizzarro convincimento che squadra che vince si cambia, di nomi qualificati in materia se ne potevano trovare. Magari manager internazionali. Certo, forse non sarebbero stati così vicini al Presidente del Consiglio; forse non avrebbero testimoniato a favore ai suoi processi…
Giusto per completare il quadro della situazione, bisogna tener bene presente l’ottimo lavoro svolto da Paolo Baratta negli otto anni di Presidenza: una personalità capace e tenace, in grado di mettere d’accordo tutti – Comune, Provincia, Regione, enti culturali, privati – che ha rilanciato la Biennale a livello internazionale rendendola stabilmente l’istituzione culturale più importante d’Europa (proprio l’ultimo ente da sacrificare alle logiche spartitorie). E a rafforzare l’impressione, sono arrivati nei giorni scorsi i numeri della Biennale Arte, che registra un record assoluto di visite e di incassi, con un incremento del 14% rispetto alla scorsa edizione. Ancora più incoraggianti i risultati complessivi della Biennale tutta. 16,6 milioni di entrate nel corso del 2011, tra biglietti, sponsorizzazioni, vendita di merchandising: per la prima volta nella storia, le entrate proprie hanno raggiunto il livello dei contributi pubblici attesi per l’intero esercizio.
Si ignorano i risultati, si ignora l’opinione degli enti locali, si ignora il parere del mondo della cultura mondiale. Infine si arriva al voto, volutamente accelerato proprio per evitare qualsiasi consultazione, si incassa una sconfitta, e si continua a far finta di niente. A questo si aggiungono le voci di un possibile voto di scambio della Lega, che avrebbe accettato di sostenere la nomina di Malgara in cambio di finanziamenti vari (per il Festival verdiano della lirica, per la Fenice, per l’Arena di Verona…). È quello che lascia intendere, ad esempio, Paola Goisis, deputata del Carroccio: “abbiamo chiesto al Ministro Galan risposte su due progetti di legge, uno sullo spettacolo dal vivo e uno sui festeggiamenti del centenario di Giuseppe Verdi. Se saranno positive, noi faremo la nostra parte”. E non sorprende di certo una ipotesi di questo tipo se si parla dello stesso partito del dito medio, del Governatore della Banca d’Italia da scegliere solo perché “nato a Milano” o della patetica difesa delle pensioni di anzianità (roba esclusivamente italiana) poiché “sono al Nord per i loro due terzi”. Un modo di fare politica sottosviluppato, premoderno, incivile.
La Biennale di Venezia, dunque, un’istituzione culturale che è ormai patrimonio internazionale e non soltanto italiano, vede le sue sorti legate alle onnipresenti e bieche logiche di scambio politico (per di più di carattere ultra-locale). Una pratica che si svolge ormai alla luce del sole, tanto è ritenuta “normale”, e che ha invaso irreparabilmente tutti gli ambiti, non escluso quello culturale. La sensazione è che Malgara, suo malgrado, sia un prodotto dell’atmosfera da Basso Impero che ormai da troppi mesi si respira nel paese. Un’atmosfera che ha messo da parte la logica rompendo gli argini del contegno e della decenza istituzionale, politica, culturale.
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