E dal Palazzo una voce tuonò: “Tagliate quel dito medio”
A giorni il Comune di Milano dovrà dire se “L.O.V.E.”, la scultura di Maurizio Cattelan, rimarrà in piazza della Borsa o sarà definitivamente rimossa. Secondo Demetrio Paparoni, quell’irriverente dito medio rimarrà in piazza anche se dovesse essere rimosso. Perché crea tanta inquietudine? Quale messaggio nasconde o manifesta? Un estratto (inedito in italiano) dal saggio in catalogo della mostra “Surreal versus Surrealism”, che Paparoni cura con Gianni Mercurio all’Ivam di Valencia.
Oggi i capitali cinesi circolano insieme a quelli occidentali nello stesso cyber-spazio che costituisce la forza dei nuovi poteri planetari senza volto. Le tesi di Zygmunt Bauman ci vengono in aiuto per la comprensione del fenomeno.
Per circa due secoli, spiega Bauman, si è ritenuto che potere e politica fossero indivisibili e che, in uno scambio continuo, ognuno orientasse l’altro verso il bene comune. Questo rapporto di interscambio è venuto meno quando, mentre da una parte si imponeva la globalizzazione, dall’altra non si sono create istituzioni politiche di carattere globale con le stesse funzioni e caratteristiche di quelle che regolano la vita dei singoli stati. È accaduto così che il vero potere, quello che incide sulle possibilità dei singoli di garantirsi una sopravvivenza, spostatosi nel cyber-spazio, condiziona l’economia dei singoli Stati senza che le politiche locali possano fare qualcosa per contrastarlo. Se ci fosse un improvviso mutamento negli scambi monetari o un assalto finanziario contro l’euro, ha ipotizzato Bauman, ci troveremmo a dover affrontare condizioni di vita alle quali non siamo preparati. È accaduto cioè che, mentre il potere è divenuto globale, la politica continua a esprimersi attraverso istituzioni locali.
L’atteggiamento del potere rispetto alle esigenze del mondo, ha chiarito ancora Bauman, è lo stesso del cacciatore nei confronti della natura: assai diverso da quello del guardacaccia e da quello del giardiniere. Il modo di agire del guardacaccia – riconducibile a quello del potere prima dell’avvento della modernità – muove dal presupposto che il mondo va bene così com’è, e dunque va difeso. Il giardiniere, invece, assunto da Bauman a esempio del potere nel tempo della modernità, interviene sulla natura con la pretesa di migliorarla, proteggendola nel contempo dalle erbacce infestanti. Questi due comportamenti si differenziano per il fatto che, mentre il guardacaccia pensa di dover preservare ciò che già è perfetto, il giardiniere ritiene suo dovere migliorarlo. Entrambi muovono da un presupposto di rispetto nei confronti dell’umanità. Ben diverso è invece il modo di porsi del cacciatore, il quale non si preoccupa delle conseguenze delle sue battute di caccia, cioè del fatto che in futuro possano precludere ad altri la possibilità di cacciare: quando il territorio non gli offrirà più prede, si sposterà altrove per dare l’avvio a un nuovo ciclo distruttivo. Per Bauman questo è quanto sta accadendo oggi nel settore dell’economia, che abbandona a se stesso il territorio che ha depauperato per spostare i propri interessi altrove, dov’è possibile avviare un nuovo ciclo di sfruttamento.
Parafrasando Bauman, possiamo dire che i surrealisti hanno agito nell’era del giardiniere, mentre l’artista contemporaneo agisce in quella del cacciatore. Mutato il contesto socio-politico, gli intellettuali si ritrovano a dover modificare il proprio atteggiamento nei confronti del mondo e a indirizzare le proprie attenzioni su metodi, modi e strategie attraverso cui il potere globale controlla e condiziona la vita delle diverse collettività locali, ma anche di chiunque possa disturbare i suoi piani attraverso un linguaggio creativo. La strategia del potere nei confronti dell’artista di oggi è gratificarlo e renderlo complice, inserendolo all’interno del proprio sistema di regole. Il potere globale non teme chi oggi intende muoversi nel solco del Surrealismo, né quegli artisti che guardano attoniti in cosa si è trasformato il mondo. I surrealisti combattevano contro il sistema e pensavano di poterlo sconfiggere, nonostante fossero poche decine di uomini: i loro nemici erano facilmente identificabili nella borghesia conservatrice, in Hitler, Franco, Stalin ecc. L’artista di oggi non sa con certezza chi sia il nemico del bene comune, sa però che la sua sopravvivenza è condizionata dalle scelte di un mercato che tratta gli artisti come prede.
La situazione si presenta senza via d’uscita. Che fare? Ogni artista reagisce naturalmente a modo suo. Un esempio di gesto poetico di ribellione al potere globale è L.O.V.E. di Maurizio Cattelan, una mano con il dito medio proteso e le altre dita mozzate, opera che l’artista si è autofinanziato e ha fatto collocare dinanzi alla sede della Borsa di Milano con la promessa di donarla alla città se dovesse rimanere quella la sua sede stabile. La scultura, in marmo bianco di Carrara, è alta 4 metri e 70 ed è posta su una base di uguale altezza e dello stesso travertino romano utilizzato per la facciata del Palazzo della Borsa. Il suo valore simbolico non risiede solo nello sberleffo ostentato dal dito medio proteso, quanto nelle altre dita mozzate, che stanno a indicare il coraggio di mostrare la mano pur nella consapevolezza che la scure potrebbe abbattersi da un momento all’altro anche sull’ultimo dito rimasto.
Rapportarsi al presente significa confrontarsi con le tante questioni irrisolte della storia. Nel 2001 Cattelan ha messo Adolf Hitler in ginocchio, mani giunte nell’atto di pregare e occhi rivolti al cielo per chiedere perdono dei propri misfatti. Per comprendere quanto attuale fosse il tema trattato poeticamente dall’artista, è sufficiente attingere a Internet o alle pagine di cronaca dei giornali. Apprendiamo così, ad esempio, che il 5 luglio 2008, all’inaugurazione del nuovo Museo Madame Tussaud di Berlino, un ex poliziotto disoccupato ha decapitato la statua di cera a grandezza naturale che riproduceva Hitler seduto dietro una scrivania, all’interno del bunker dove il 30 aprile 1945 trascorse le sue ultime ore prima di uccidersi. La statua era stata collocata dietro un tavolo per evitare che i visitatori si avvicinassero troppo e la fotografassero: i responsabili del museo erano perfettamente consapevoli che le contrastanti valenze simboliche dell’immagine non sono controllabili. Nel settembre del 2010, la comunità ebraica di Milano ha stigmatizzato come “messaggio inopportuno” l’esposizione dell’Hitler che chiede perdono di Cattelan e la sua riproduzione sul manifesto della mostra dell’artista a Palazzo Reale. Nel novembre dello stesso anno, il Bild Online – l’edizione Internet del quotidiano più letto d’Europa – ha diffuso la notizia che un chirurgo 46enne di origine ebraica dell’ospedale di Paderborn, nel Nord Reno-Westfalia, quando ha visto che un paziente aveva un’aquila del Reich appollaiata su una croce uncinata tatuata sull’avambraccio, si è rifiutato di operarlo. Nel febbraio 2008, nel gennaio 2011 e poi ancora nel luglio dello stesso anno, le autorità giudiziarie italiane hanno oscurato siti web che avevano messo in rete liste di ebrei italiani definendoli “facce da cancellare”, spesso con tanto di indirizzi e numeri di telefono. Ancora, la notte del 19 luglio 2011, per porre fine alle adunate di massa di giovani neonazisti provenienti da tutta Europa davanti alla tomba di Rudolf Hess, si è deciso di rimuovere la lapide con su scritto “Io ho osato” dal cimitero di Wunsiedel, in Baviera, è stato cremato il corpo e le ceneri sono state disperse in mare.
Questi “fatti di cronaca” interagiscono con molti altri che sembrano invece dimostrare come la fine di un’epoca cancelli tutte le questioni a essa legate. Sembrerebbe infatti testimoniare la fine di un’epoca l’inaugurazione nel gennaio 2011 di una statua in bronzo di Confucio, alta otto metri, posta di fronte al ritratto di Mao di piazza Tien-An-Men. Sembrerebbe testimoniare la fine di un’epoca l’eliminazione dai vocabolari russi, nel febbraio dello stesso anno, del termine tovarič (‘compagno’), che nell’era comunista doveva significare l’eguaglianza assoluta degli individui – termine curiosamente rimasto in uso in Russia anche dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Sembrerebbe testimoniare la fine di un’epoca la notizia del rimorso provato oggi dallo yemenita Shalom Nagar per essere stato l’esecutore materiale della condanna a morte per impiccagione di Adolf Eichmann, il criminale nazista detenuto in Israele con l’accusa di aver coordinato le deportazioni ad Auschwitz organizzando i tanti convogli ferroviari della morte. Le questioni legate a tali notizie sono strettamente connesse al potere evocativo del simbolo, per sua natura aperto al conflitto delle interpretazioni: la stessa immagine, la stessa parola, lo stesso suono, lo stesso gesto possono esprimere sul piano simbolico significati diametralmente opposti.
Caratteristica del simbolo nell’era di Internet e della tv satellitare è la sua capacità di permanere visivamente anche laddove si sia tentato di cancellarne la matrice. Nel 2001 i talebani hanno distrutto a Bamiyan, nel cuore dell’Afghanistan, due grandi Buddha scolpiti in pietra 1.800 anni fa, alti rispettivamente 38 e 58 metri. Osservando le cave vuote che le ospitavano, la nostra mente ricostruisce le statue mancanti rese familiari dalla presenza nei media. Nel maggio del 2011 il governo cinese ha messo fuori legge la pianta di gelsomino, facendone estirpare le coltivazioni e proibendone anche il commercio dei boccioli, che, cantati da poeti e rappresentati da pittori, nella tradizione cinese evocano armonia e prosperità: il divieto è stato la conseguenza del significato assunto dal gelsomino a partire dalla seconda settimana del febbraio precedente, da quando cioè recarsi silenziosamente in piazza la domenica con un gelsomino in mano equivaleva a manifestare in favore della libertà di espressione. Nonostante il governo adducesse a giustificazione del divieto il fatto che le piante erano state contaminate dalle radiazioni di Fukushima e contenevano veleni letali, i gelsomini sono entrati nell’immaginario collettivo cinese con il nuovo significato di simbolo legato al dissenso.
Ipotizziamo che un artista volesse esporre in piazza Tien-An-Men una scultura gigantesca che rappresenti dei rami in vaso di una pianta anonima. Probabilmente non gli sarebbe permesso: i simboli hanno il potere di apparire al di là della volontà dell’uomo e, come il gelsomino cinese, per quanto li si estirpi, prima o poi germogliano spontaneamente dove meno ce lo si aspetta.
Ipotizzare una situazione di questo tipo evidenzia come, mentre l’artista occidentale che si fa carico del principio di responsabilità agisce in un contesto che lascia comunque ai più creativi la possibilità di conquistarsi uno spazio, un artista che opera in una società che limita la libertà di espressione è sottoposto all’azione di due forze: da una parte quella del capitale senza volto che si fa potere che agisce nel cyber-spazio, dall’altra quella di chi governa la politica del territorio.
All’artista non è chiesto di farsi carico delle storture del mondo, ma è pur vero che considerare il principio di responsabilità è la premessa per qualsiasi partecipazione alla vita pubblica. Uscire dai temi del Surrealismo (scrutare l’inconscio individuale e il mondo onirico) ed entrare in quelli del Surreale (prendere coscienza delle strategie di condizionamento delle masse e dello sfruttamento delle merci e delle risorse) rappresenta per l’arte la possibilità di “comprendere”, nell’accezione che Wittgenstein attribuisce a questo verbo: sapere come andare avanti.
Demetrio Paparoni
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