Euroma2. Se la Morte va a fare shopping
Salutato ora come il più grande centro commerciale di Roma, ora come il maggiore d’Italia, se non dell’Europa intera, Euroma2 è in ogni caso – con i suoi 50mila mq di superficie calpestabile – uno shopping mall mastodontico. Pronto ogni giorno ad accogliere migliaia di clienti, che ne escono sorridenti o imbufaliti o magari solo stanchi, ma quasi sempre carichi di pacchi, buste e sacchettini. Un nuovo articolo della rubrica Inpratica.
La caratteristica che più colpisce il visitatore di Euroma2 è lo sfarzo roboante, o se si vuole pacchiano, che contraddistingue l’interno del centro commerciale e che intende rifarsi alla grandeur della Roma imperiale, benché il risultato ricordi più Dubai o Miami. È soprattutto attraverso un impiego massiccio di marmi bianchi e colorati e pietre dure (onice, malachite, lapislazzuli) che si intende impressionare chi percorre gli spazi del centro: un impiego in effetti impressionante, che non si vedeva a Roma dai tempi del completamento della decorazione della navata di San Pietro.
Superato lo stupore di fronte a tanta abbondanza, un’altra peculiarità conquista l’attenzione del visitatore, o perlomeno di quello un po’ più avvertito, e che non si trovi lì soltanto per una battuta di caccia all’ultimo modello di iPhone: mi riferisco alla ricorrente, anzi ossessiva presenza di simboli sepolcrali lungo la grande galerie sulla quale si affacciano i diversi negozi. Già il ricorso così pervasivo al rivestimento marmoreo potrebbe indurre il visitatore a pensare di trovarsi all’interno di un immenso mausoleo; ma è soprattutto a obelischi, vasi cinerari e lumini da morto che è affidato il compito di introdurre una nota dolente nel clima festoso del mall.
Se l’impiego di obelischi vuole innanzitutto rimandare alla loro presenza nelle piazze romane, è innegabile che essi furono associati al tema funerario almeno dall’età augustea (due “guglie” furono collocate all’ingresso del mausoleo del princeps) e poi nella Roma medievale, quando la fantasia popolare volle ripiena delle ceneri di Cesare la sfera bronzea posta al culmine dell’Obelisco Vaticano. A partire dal Cinquecento, l’obelisco, connesso all’idea di eternità per l’età veneranda degli esemplari antichi e per la sua associazione con la piramide, figura sepolcrale per eccellenza, divenne frequente nei monumenti funerari, per poi esplodere nei cimiteri otto-novecenteschi di mezzo mondo.
I vasi su corte colonne disseminati lungo la galleria sono chiaramente ispirati, nella forma dei recipienti, a vasi cinerari antichi e, nell’abbinamento vaso+colonna, alle tombe in forma di urne su sostegni che spopolarono a partire dal primo Ottocento e di cui si incontrano innumerevoli esempi nei cimiteri nostrani ed esteri. Quanto alle sorgenti di luce fiammeggianti che caratterizzano molti dei lampadari, sono assai simili ai lumini con fiamma che costituiscono l’aggiornamento nell’era dell’elettricità delle candele che si accendevano ai defunti.
La sola presenza degli elementi citati non basterebbe tuttavia ad autorizzare una lettura cimiteriale degli spazi del centro. A giustificarla è piuttosto la loro ossessiva presenza: senza scomodare i numeri esatti, basta dire che i vasi cinerari sono diverse decine, e che da nessun punto della galleria lo sguardo può spaziare senza imbattersi nel lugubre rintocco di un obelisco, di un’urna, di un lumino. Tale capillarità impedisce di attribuire al caso certe caratteristiche formali e di ricondurle piuttosto alla volontà di lanciare un preciso messaggio al visitatore più attento. Anzi, un duplice messaggio: innanzitutto, si vuole sottolineare la vanità della nostra civiltà dei consumi, che ci vuole intenti ad acquistare e accumulare, dimentichi che la morte ci attende, dopo tanto sperpero di tempo e di denaro. Quasi una visualizzazione del celebre “produci, consuma, crepa” gridato dai CCCP.
L’altro messaggio è più polemico, e rivolto direttamente ai frequentatori del centro commerciale: “Siete già morti, siete dei morti viventi, che non sapete sentirvi vivi se non quando venite a sputtanare un po’ di soldi qua dentro, che scegliete di chiudervi tra queste mura anziché di passeggiare all’aria aperta, che alla luce del sole preferite quella di neon e lampadine”.
Naturalmente si tratta di messaggi che i geniali creatori di questo cimitero delle coscienze (lo studio Chapman Taylor, importante realtà nel campo dell’architettura commerciale) non potevano lanciare in maniera troppo smaccata: la committenza non avrebbe mai accettato un palese atto di accusa alla società dei consumi proprio all’interno di uno dei suoi santuari. Si è scelta quindi la strada di un doppio livello di lettura: quello “per tutti”, fastoso e spensieratamente stupido, e quello destinato a una ristretta cerchia di “iniziati”, in radicale e sorprendente contrasto con il primo. Quasi un ritorno, su scala monumentale, al carattere ermetico di certa arte del nostro Rinascimento.
In linea con l’oggetto dell’analisi, questa breve riflessione non può che chiudersi con uno spot: al romano o al turista cui venga voglia di ripercorrere le orme di un Alessandro Verri o di un Ugo Foscolo, lanciandosi nella meditazione sulle sepolture, si consiglia di lasciar perdere, per una volta, il Verano o lo splendido Cimitero degli Inglesi, e di portarsi all’Eur, dove lo attende un tripudio di marmi e folle in delirio, immagini di morte e consumatori che le ignorano: epico affresco che meglio non potrebbe rappresentare la vanitas vanitatum e mettere sottilmente sotto accusa il sistema di valori su cui si regge la nostra società, il sacrificio di ogni aspetto dell’esistenza – a cominciare dalla sua conclusione – sull’altare del mercato.
Fabrizio Federici
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