L’importante è partecipare
Ultima tappa per la prima edizione del Premio di Arte Partecipativa, a cura di Julia Draganovic e Claudia Loeffelholz, che domani 15 ottobre presenta nel centro di Bologna il progetto vincitore dell'artista Pablo Helguera. Reduce dall'opening della Biennale di Mercosul - è nel team curatoriale - e dalle consuete fatiche del MoMA di New York, Helguera è venuto in Italia e ne ha parlato con noi.
Un chiosco in centro a Bologna, 20 giovani operatori culturali, stazioni radio che trasmettono un programma studiato ad hoc, un ciclo di incontri e iniziative di accompagnamento dedicate ai temi del giornalismo d’arte. Dicci la verità: che cosa pensi dei giornalisti? Non è che con Ælia Media vuoi in realtà offrire la tua alternativa?
Certamente stiamo offrendo un’alternativa. Se stessimo cercando di riprodurre esattamente ciò che già esiste, sarebbe inutile, non credi? In ogni caso, non ci stiamo sostituendo a nessuno. Quanto a ciò che penso dei giornalisti: credo che un progetto d’arte messo in forma di scuola temporanea di giornalismo radiofonico non possa in alcun modo rappresentare una minaccia per la stampa, poiché in fondo non è molto di più di un prototipo, un esperimento per immaginare un canale radio condotto da un artista.
Bologna ha effettivamente una tradizione importante nell’uso “alternativo” dei media…
Mi piacerebbe pensare che, attraverso questo progetto, stiamo aiutando a sottolineare l’importanza delle radio libere di Bologna, la loro storia, e il lavoro delle tre stazioni partner con le quali stiamo lavorando in città: Radio Città Fujiko, Radio Kairos e Radio Città del Capo. Penso, infine, che sia sempre utile chiedersi quale sia il ruolo della stampa nel dibattito artistico e, allo stesso tempo, come possano gli artisti beneficiare della consapevolezza e dell’impegno che i giornalisti offrono nella cronaca quotidiana.
Che cosa significa, se parliamo d’arte contemporanea, la parola ‘partecipazione’? Detta così potrebbe sembrare una sorta di involucro vuoto, di cui si perde il significato.
Le parole in sé sono sempre vuote, oltre il loro significato nominale. Perciò, se tu dici solamente ‘partecipazione’, significa proprio poco. L’ago della bilancia consiste in come viene invocata la parola ‘partecipazione’ e come tu le dai significato, cosa vuoi dire attraverso essa. Questo è vero non solo in campo artistico, ma anche in ambito politico e sociale. Che cosa significa partecipare in democrazia? Stai partecipando votando o sei, in un senso più ampio, un attivista politico? Nell’arte ci sono diversi gradi di partecipazione e tutte le opere che spaziano attraverso di essi assumono un significativo impegno.
L’importante è partecipare?
È importante non solo partecipare, ma determinare cosa non è significativo rispetto a un impegno carico di significato. Questo dà modo di estendere sia le idee offerte dagli artisti all’interno di una cornice interattiva, sia il livello con il quale i partecipanti vengono coinvolti. Dal mio punto di vista, quest’ultimo ha parecchio a che vedere con le aspettative del pubblico e gli statement o le dichiarazioni degli artisti o dei curatori a proposito di un particolare progetto. Anche esporre a una mostra può essere “partecipazione”, ma quando molti di noi si riferiscono a questa pratica, l’obiettivo è, in realtà, parlare di un impegno sociale che coinvolge uno scambio attivo ed esperienze durature, al di là delle azioni, intese in senso solamente nominale.
Il lavoro che svolgi presso il MoMA [Pablo Helguera è direttore dell’Adult and Academic Programs, Department of Education] è la diretta conseguenza della tua ricerca artistica? Come si coniuga quest’ultima con gli obiettivi del museo?
Il mio lavoro al museo non è una conseguenza della mia ricerca artistica e la mia vita di artista non per forza deve incontrare gli obiettivi di ogni istituzione. Penso che nel mondo dell’arte ci ritroviamo spesso davanti a persone che ricoprono più di un ruolo e – bello o brutto che sia – io sono una di quelle. Certamente sono interessato a creare scambi tra il mio lavoro al museo e la mia ricerca artistica, e ciò che imparo in un ambito arricchisce senz’altro l’altro.
L’Italia, come molti altri Paesi europei, sta affrontando delle problematiche che sono innanzitutto generazionali. Approfondiamo il ruolo dei venti giovani che hai coinvolto in Ælia Media: quali esigenze nel loro modo di procedere ti sono sembrate prioritarie? E se dovessi, dalle impressioni che hai raccolto, tracciarci un ritratto sui giovani creativi italiani, quali parole useresti?
In questo gruppo di lavoro ho visto semplicemente un grande desiderio di “fare cose”, di avere l’opportunità di lavorare insieme e sviluppare un progetto che possono chiamare il “proprio progetto”. Mi sono accorto che, quando dai loro l’opportunità, immediatamente diventano creativi, riflessivi, impegnati con chi li circonda. Penso che i progetti che stanno sviluppando per Ælia Media siano bellissimi.
Nel tuo progetto per il Premio di Arte Partecipativa si punta l’attenzione sui nostri anni ‘70. Perché hai scelto di parlarne? Quali chiavi di lettura quel periodo può, a tuo parere, dare all’Italia di oggi?
Facciamo più che altro riferimento alla storia delle radio alternative e dei movimenti studenteschi degli anni ’70, anche se questo è solo uno dei tanti argomenti che saranno affrontati. Penso che sia importante per le nuove generazioni essere consapevoli di questa storia, senza portarci a ricordare un certo passato in maniera nostalgica, ma comprendendo le preoccupazioni sociali e culturali, vivendo e riflettendo su come al giorno d’oggi, in quest’epoca così differente, possiamo produrre un’azione collettiva, mostrando le preoccupazioni che attanagliano il nostro presente.
Lo scorso 10 settembre hai inaugurato in Brasile, come educational curator, l’ottava Biennale di Mercosul – Essay in Geopoetics che, stando alle parole del chief curator Josè Roca, vuole mostrare delle alternative all’idea convenzionale di nazione, per discutere nuove cartografie, i rapporti tra le condizioni politiche e geografiche, un posizionamento tra il regionale e il globale, le via di circolazione e di scambio del capitale simbolico, la cittadinanza in aree non urbane, lo status politico delle nazioni immaginarie e il rapporto tra scienza, viaggio e colonizzazione. Ok, c’è crisi, ma queste “nuove mappe” cosa hanno a che vedere con la vita delle persone? Come la mettiamo con il concetto di community?
Sembri molto spaventata! Non solo dall’idea di un progetto d’arte che si occupa di giornalismo, ma anche da una biennale del remoto Brasile che possa ripercorrere le mappe dell’Italia. Non c’è bisogno di una biennale sudamericana per dire che le nazioni sono dei costrutti culturali, o che l’affermazione della loro esistenza passa attraverso una nuova mappatura dovuta alle guerre o ai massacri – che, in ogni caso, sono in qualche modo connessi con la vita delle persone. Il dibattito su che cosa veramente costituisce una nazione è materia di interessi economici e politici, e questo causa l’impossibilità per alcuni Paesi di diventare nazioni o per alcune nazioni di divenire autonome. Il nostro modo di definire il concetto di comunità ha a che vedere con l’immagine che abbiamo di noi stessi: qual è la nostra bandiera, il nostro inno nazionale, la nostra rappresentazione visiva del mondo. L’arte ha un ruolo in questo. E, inoltre, può aiutarci a reimmaginare noi stessi nei termini di chi vogliamo essere davvero, invece di chi diciamo di essere. Cosa succederebbe se tutte le comunità avessero l’abilità di reimmaginarsi, invece di avere altri che lo fanno per loro, invece di vivere in uno stato di invisibilità?
Ecco, cosa succederebbe?
La Biennale di Mercosul sta cercando di figurarsi questo concetto di nazione nello stesso modo in cui Ælia Media sta reimmaginando il rapporto che le arti visive a Bologna hanno con i media. Possono essere entrambi un pericoloso o un innocuo esercizio, ma questi sono ambiti di discussione che devono essere affrontati, a meno che ci riteniamo soddisfatti dello status quo. E io sono sicuro che sono molto poche le persone che vogliono tenere le cose nel modo in cui sono oggi. Perché non provare a dare una mano, anche solo un po’, con l’arte?
Santa Nastro
Bologna // 15 ottobre 2011
Pablo Helguera – Ælia Media
a cura di Julia Draganovic e Claudia Löffelholzwww.artepartecipativa.it
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