Sex in the fair. L’era dei guardoni
Ogni analisi che si rispetti ha bisogno di un confronto col passato. Stiamo per affrontare uno degli argomenti più triti dai salotti e dagli ambienti dell'arte: fiera sì, fiera no, tu ci vai? Rimbomba periodicamente nel microfono dei cellulari di galleristi, critici, artisti e collezionisti la domanda: tu partecipi? E se non partecipi, ci vai? E se non ci vai, hai ricevuto la VIP card? E se non ci vai e non hai ricevuto la VIP card, possiamo considerarti un emerito sfigato?
Ebbene sì, il concetto di fiera non è più quello del 1967, anno in cui si ritenne indispensabile la nascita della prima fiera di arte del mondo, Kölner Kunstmarkt, antesignana di quella che sarebbe poi diventata Art Cologne. Una fiera con gli attributi, direbbe qualcuno, nata per sintetizzare gli incontri e concentrare il momento della scelta di un’opera e del confronto con un’altra, in un giorno, o meglio un weekend. Un evento che avrebbe sconvolto le leggi del mercato, ma oggi non più pensabile come momento di gloria dell’arte.
Momenti studiati a tavolino per sfruttare al meglio e stimolare ancor di più la sindrome del collezionista compulsivo che, di fronte a tutta quella bambagia, non sarebbe riuscito a trattenersi dallo scegliere prima di altri il pezzo migliore. Su questo basico concetto, negli anni si sviluppò una vera e propria sfida all’acquisto sfrenato, pazzo, disperatissimo: l’importante era farlo prima di tutti gli altri. Una sorta di megastore dell’arte preso d’assalto durante il periodo dei saldi. Un momento in cui la gola del collezionista e le tasche del gallerista erano coinvolti in un amplesso senza neanche l’utilizzo di uno strumento contraccettivo. Si andava, si sceglieva, si pagava e si portava a casa. Una copulazione animalesca sfociava in un orgasmo da orgia.
Tutto questo andò avanti fino a quando anche chi voleva solo provare il brivido di passeggiare in mezzo a capolavori da migliaia di dollari, o iniziare a valutare l’acquisto di un’opera nel tempo, o bersi un caffè confabulando d’arte con esperti del settore, iniziò a frequentare il triste polo fieristico. La fiera di Colonia era ufficialmente aperta anche ai guardoni.
E così, quando nel 1970 nacque Art Basel, sull’onda dell’entusiasmo di galleristi e collezionisti, gli ideatori Trudl Bruckner, Balz Hilt e i coniugi Ernst e Hildy Beyeler decisero di studiare due vie. La via per la soddisfazione della sete del collezionista e la via per introdurre le megastar di Hollywood a osservare, stimolando in essi un processo cerebrale che li avrebbe condotti entro breve tempo a comprare arte invece di investire in un’azione della Chrysler o sperperare i propri soldi in accessori di moda, abbigliamento e automobili.
Si creò così la scissione tra l’invitato alla “First Choice”, che riceveva a casa una tessera da golosi dell’arte intestata a suo nome in un packaging da collezione, con accesso ai padiglioni prima degli altri e scorpacciata d’arte entro l’orario di apertura ai VIP, cioè coloro che si vedevano costretti a svolgere quel ruolo di guardone rimasto sguarnito. Tutto questo avveniva il giorno prima dell’apertura al pubblico, che in quell’occasione non poteva che occupare l’ultima posizione rimasta: quella del popolo mangia-brioche che circola senza sosta in attesa di scontrarsi con Brad Pitt, George Clooney o qualche calciatore a cui avevano suggerito di buttare un occhio sul mercato dell’arte moderna e contemporanea.
La “First Choice” risultava così una perversione esemplare che un sessuologo qualunque definirebbe: ninfomania dell’arte.
Ma i galleristi, esserini più furbi degli ideatori del format fieristico più in voga dei nostri tempi, lentamente, con colpi di reni e di telefono, ma soprattutto alle spalle degli organizzatori, riuscirono ad anticipare ancora il momento della “scelta privilegiata” tramite una private view per email delle opere disponibili che sarebbero state esposte negli stand della fiera. Qualcosa di sublime per la curiosità del collezionista. In un batter d’occhio la “First choice” era diventato il momento del guardone e il “VIP moment” quello delle brioche. Il popolo, rimasto ormai senza brioche, si trovava sempre più a dover sperare che quei VIP dal trucco fluorescente intercettassero lo sguardo del povero passante.
Tutto questo sistema andò avanti fino a pochissimi anni fa, esattamente quattro, e si arrestò proprio nel momento in cui la crisi finanziaria da oltreoceano iniziava a bagnare le spiagge dell’Europa. Erano gli anni in cui proliferavano fiere come Frieze, Fiac, Arco, Artissima, Art Forum e quant’altro. E alla domanda “Tu ci vai?”, c’era una sola risposta: “Ovvio, che domande!”.
Oggi, secondo la GFM – Guida delle Fiere nel Mondo, si calcolano circa 117 fiere internazionali d’arte, solo tra ottobre e metà novembre si svolgono sei fiere di “alto livello” tra Berlino, Londra, Parigi, Colonia, Torino. Se si divide questo dato per 365 giorni, si ha una fiera d’arte ogni 3 giorni circa.
Così a gennaio 2011, ben 44 anni dopo Art Cologne, nasce VIP – View In Private, la prima fiera d’arte contemporanea totalmente online. L’ideatore, James Cohan, ha previsto un accesso su registrazione, con la possibilità di dialogare tramite chat o per mezzo di una video-conversazione con il gallerista. Le gallerie invitate a partecipare sono di massimo livello e da tutto il mondo. L’interazione tra galleristi, operatori e collezionisti è diretta.
Non esiste costo dei trasporti, non esiste assicurazione, non esiste convulsione da polo fieristico, non esistono chiacchiere e strette di mano da bar, non esistono sguardi che si cercano o si negano, nulla di tutto ciò. Eppure si vende. Chi sta lì, non sta per guardare. Chi sta lì non vuole brindare, ammiccare o far vedere il proprio compagno preso il locazione per la serata. Chi sta lì non vuole neanche spendere soldi in un hotel per osservare l’ultimo Kentridge o un Giacometti introvabile. È tutto su schermo, tutto assolutamente accessibile da casa solo al collezionista e con un unico intento: l’acquisto o l’apertura di una trattativa su un’opera.
Il 2011 è l’anno in cui il Very Important Person è spodestato dal suo ruolo, oltre che del suo acronimo. Il 2011 è l’anno in cui il guardone non sa più cosa fare. Ma forse il 2011 passerà alla storia come l’anno in cui le gallerie torneranno a essere popolate di quegli stessi guardoni rimasti fuori dalla fiera più esclusiva dell’universo e, perché no, a seguire i VIP dentro i musei.
Giorgio Galotti
Gallerista in Roma con la CO2 Gallery
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