Sex in the fair. L’era dei guardoni
Ogni analisi che si rispetti ha bisogno di un confronto col passato. Stiamo per affrontare uno degli argomenti più triti dai salotti e dagli ambienti dell'arte: fiera sì, fiera no, tu ci vai? Rimbomba periodicamente nel microfono dei cellulari di galleristi, critici, artisti e collezionisti la domanda: tu partecipi? E se non partecipi, ci vai? E se non ci vai, hai ricevuto la VIP card? E se non ci vai e non hai ricevuto la VIP card, possiamo considerarti un emerito sfigato?

Ebbene sì, il concetto di fiera non è più quello del 1967, anno in cui si ritenne indispensabile la nascita della prima fiera di arte del mondo, Kölner Kunstmarkt, antesignana di quella che sarebbe poi diventata Art Cologne. Una fiera con gli attributi, direbbe qualcuno, nata per sintetizzare gli incontri e concentrare il momento della scelta di un’opera e del confronto con un’altra, in un giorno, o meglio un weekend. Un evento che avrebbe sconvolto le leggi del mercato, ma oggi non più pensabile come momento di gloria dell’arte.
Momenti studiati a tavolino per sfruttare al meglio e stimolare ancor di più la sindrome del collezionista compulsivo che, di fronte a tutta quella bambagia, non sarebbe riuscito a trattenersi dallo scegliere prima di altri il pezzo migliore. Su questo basico concetto, negli anni si sviluppò una vera e propria sfida all’acquisto sfrenato, pazzo, disperatissimo: l’importante era farlo prima di tutti gli altri. Una sorta di megastore dell’arte preso d’assalto durante il periodo dei saldi. Un momento in cui la gola del collezionista e le tasche del gallerista erano coinvolti in un amplesso senza neanche l’utilizzo di uno strumento contraccettivo. Si andava, si sceglieva, si pagava e si portava a casa. Una copulazione animalesca sfociava in un orgasmo da orgia.

Ayako Rokkau - Colours in my Hand - 2011 - Delaive Gallery, Amsterdam - Art Cologne 2011
Tutto questo andò avanti fino a quando anche chi voleva solo provare il brivido di passeggiare in mezzo a capolavori da migliaia di dollari, o iniziare a valutare l’acquisto di un’opera nel tempo, o bersi un caffè confabulando d’arte con esperti del settore, iniziò a frequentare il triste polo fieristico. La fiera di Colonia era ufficialmente aperta anche ai guardoni.
E così, quando nel 1970 nacque Art Basel, sull’onda dell’entusiasmo di galleristi e collezionisti, gli ideatori Trudl Bruckner, Balz Hilt e i coniugi Ernst e Hildy Beyeler decisero di studiare due vie. La via per la soddisfazione della sete del collezionista e la via per introdurre le megastar di Hollywood a osservare, stimolando in essi un processo cerebrale che li avrebbe condotti entro breve tempo a comprare arte invece di investire in un’azione della Chrysler o sperperare i propri soldi in accessori di moda, abbigliamento e automobili.
Si creò così la scissione tra l’invitato alla “First Choice”, che riceveva a casa una tessera da golosi dell’arte intestata a suo nome in un packaging da collezione, con accesso ai padiglioni prima degli altri e scorpacciata d’arte entro l’orario di apertura ai VIP, cioè coloro che si vedevano costretti a svolgere quel ruolo di guardone rimasto sguarnito. Tutto questo avveniva il giorno prima dell’apertura al pubblico, che in quell’occasione non poteva che occupare l’ultima posizione rimasta: quella del popolo mangia-brioche che circola senza sosta in attesa di scontrarsi con Brad Pitt, George Clooney o qualche calciatore a cui avevano suggerito di buttare un occhio sul mercato dell’arte moderna e contemporanea.

Brad Pitt ad Art Basel

L'Oval del Lingotto, dove si tiene Artissima
Il 2011 è l’anno in cui il Very Important Person è spodestato dal suo ruolo, oltre che del suo acronimo. Il 2011 è l’anno in cui il guardone non sa più cosa fare. Ma forse il 2011 passerà alla storia come l’anno in cui le gallerie torneranno a essere popolate di quegli stessi guardoni rimasti fuori dalla fiera più esclusiva dell’universo e, perché no, a seguire i VIP dentro i musei.
Giorgio Galotti
Gallerista in Roma con la CO2 Gallery
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