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Sono più di cinquanta i “certificati d’artista” in mostra negli spazi della Fondazione Bevilacqua la Masa a Venezia, che fino al 6 novembre ospita In Deed: Certificates of Authenticity in Art, a cura di Cornelia Lauf e Susan Hapgood.
Più di cinquanta contratti d’acquisto, che nero su bianco comprovano l’autenticità e l’originalità di altrettante opere d’arte, ne attestano la validità legale o semplicemente ne testimoniano il valore commerciale, alla stregua di una qualunque ricevuta fiscale. La mostra non si limita a tracciare la storia del “certificato d’artista”. Al contrario, indaga la natura ambigua di un documento che spesso non solo accompagna ma descrive l’opera, o addirittura la sostituisce.
È il caso ad esempio di Ben Vautier (Geste, 1961), il cui documento autentica come propria opera d’arte il gesto – performativo – di aver dato un calcio nel fondoschiena al suo acquirente. Oppure di George Brecht (Relocation, 1963-64 ca.) il cui contratto consente al firmatario la possibilità di definire i confini geografici dell’opera e di ricollocarla fino a cinque volte all’anno, qualunque cosa sia realmente quest’opera d’arte.
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Sol LeWitt
Come quello di Brecht, anche il certificato di Sol LeWitt (Wall Drawing #1217, 2006) comprova l’originalità di un’opera che, all’atto dell’acquisto, materialmente non esiste. Yoko Ono si spinge ancora più in là, chiedendo al collezionista di acquistare la libertà di disegnare una riga e poi di ricancellarla (Line Pieces I and II, 1964).
Il certificato di Yves Klein (Zones de Sensibilité Picturale Immateriélle, 1959) richiede al firmatario un vero e proprio atto di fiducia, che lo costringe a bruciare il documento al fine di possedere “assolutamente e intrinsecamente” il valore immateriale dell’opera.
Di diversa natura è invece il contratto sottoscritto tra Robert Berry e Stefan Brüggemann, che sancisce l‘alternarsi di uno scambio di ruolo tra l’artista e l’acquirente, imponendo il passaggio quinquennale della paternità dell’opera. Il documento dattiloscritto e firmato da Ian Wilson (Untitled, 1975) è invece la conferma della conversazione avvenuta tra l’artista e il compratore: la dichiarazione secondo cui quella conversazione ha avuto luogo è l’unica reliquia che il suo collezionista deve accontentarsi di possedere.
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Robert Rauschenberg
Il catalogo della mostra, edito da Roma Publications, contiene testi critici che tracciano la storia del “certificato d’artista”, facendo chiarezza sul suo valore artistico e sulla sua natura spesso ambigua: al contempo strumento commerciale e dichiarazione filosofica sulla natura di un’opera d’arte.
Tommaso Speretta
Venezia // fino al 6 novembre 2011
In Deed: Certificates of Authenticity in Art
a cura di Cornelia Lauf e Susan Hapgood
FONDAZIONE BEVILACQUA LA MASA
Piazza San Marzo 71c
041 5237819[email protected]
www.bevilacqualamasa.it
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